I fatti sono disconnessi gli uni dagli altri [40G]

L’uomo è pieno di sé quando ritiene che da un’azione derivi un suo merito o demerito, in quanto connette ogni azione con quelle successive, rendendole conseguenti a un suo operare da protagonista. È pieno di sé anche colui che restringe l’agire a un risultato, e poi se lo attribuisce, come se ciò che accade fosse originato dal suo agire.

L’azione si compie e non presenta né merito e né demerito di alcuno, e nemmeno un risultato, perché ogni azione inizia e termina, e l’azione che segue non è la conseguenza o la continuazione di quella precedente.
Ogni azione è in sé.

Quello che chiamate ‘risultato dell’agire’ è una pretesa che deriva dal protagonismo del vostro ‘io’. L’agire per fini evolutivi o per accrescere la propria importanza significa non riconoscere la gratuità, in cui tutto nasce e muore, senza nulla aggiungere e nulla togliere a nessuno né di meriti e né di demeriti presenti o futuri.

[…] Nei suoi processi interiori l’uomo, per valutare il risultato delle azioni che compie, le etichetta in base a una propria tipologia e anche alle intenzioni che ha messo in campo, cioè le connette al pensiero e all’emotività che hanno preceduto l’azione e che, se coerenti fra di loro, stanno indirizzandola verso la meta stabilita.

Il contro-processo (della via della Conoscenza, ndr) nega il vostro principio di consequenzialità e di causalità con cui interpretate il mondo intorno a voi. E vi dice che i fatti, le azioni, i comportamenti, i pensieri e le emozioni si susseguono, disconnessi gli uni dagli altri e da quel che li precede e li segue. Mentre, ogni volta che agite con l’occhio puntato sulla vostra progressione interiore, vi state servendo dell’azione, sovrapponendole voi come agente, il risultato come conseguenza del vostro progetto e l’obiettivo in cui inserite una meta che va ben oltre l’agire di quel momento presente.

Ora osserviamo il risultato, su cui già siete concentrati mentre state agendo; voi lo ottenete operando un processo di connessione fra l’azione, i pensieri e le emozioni.
Quel processo vi dà la sensazione di essere un ‘io’ agente, quindi voi gli artefici dell’azione che avete progettato coordinando insieme pensieri ed emozioni, e che lo scopo di quell’agire sia raggiungere la meta finale che caratterizza ogni azione da voi compiuta.

E il risultato ve lo rappresentate proprio come un’unitarietà di pensieri e di emozioni che confluiscono in un’azione a essi connessa e coerente col progetto e con la meta finale, anche se a volte un’azione può generare in voi un qualche conflitto. Questo capita tutte le volte che il risultato atteso non vi sembra coerente con il pensiero e con l’emotività che hanno concorso a produrre l’azione.

Fonte: La via della Conoscenza, “Ciò che la mente ci nasconde“, Gratuità, p. 37

In merito alla via della Conoscenza: quel che le voci dell’Oltre ci hanno portato non sono degli insegnamenti, non sono nuovi contenuti per le nostre menti, non sono concettualizzazioni da afferrare e utilizzare nel cammino interiore. Sono paradossi, sono provocazioni o sono fascinazioni, comunque sono negazioni dei nostri processi conoscitivi e concettuali.
Non hanno alcuno scopo: né di modificarci e né di farci evolvere. Creano semplicemente dei piccoli vuoti dentro il pieno della nostra mente. Ed è lì che la vita parla.

Per qualsiasi informazione e supporto potete scrivere ai curatori del libro: vocedellaquiete.vaiano@gmail.com
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Indice dei post estratti dal libro e pubblicati
Abbreviazioni: [P]=Prefazione. [V]=Vita. [G]=Gratuità. [A]=Amore.
Le varie facilitazioni di lettura: grassetto, citazione, divisione in brevi paragrafi sono opera del redattore: i corsivi sono invece presenti anche nell’originale.

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14 commenti su “I fatti sono disconnessi gli uni dagli altri [40G]”

  1. Colgo in questo post più che in altri la provocazione. Penso che finché nella ruota delle nascite e delle morti, sempre apporremo soggettività all’agire, non potrebbe essere diversamente.
    Occorre sempre ricordare che la dimensione del fare coesiste simultaneamente a quello dello stare.

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  2. Nel presente vivo attimo dopo attimo.
    (è come un viaggio senza bagaglio).
    Mentre delle volte, porto con me, una valigia carica di desideri, aspettative, reazioni…. .e… me ne accorgo dopo.

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  3. Il sovrapporre ai fatti il sigillo soggettivo è uno degli aspetti dell’umano, uno dei fattori della Vita come incarnazione nella forma umana.

    Rimango dell’avviso che noi viviamo l’Essere come contemporaneità di Essere e divenire.

    Il lavoro che ci è dato di fare è realizzare la comprensione dell’illusorirtà del divenire, il che non vuole dire “andare oltre il divenire”, sarebbe impossibile data la nostra struttura incarnariva, ma vivere il divenire a partire dalla neutralità dell’Essere.

    Vivere il divenire a partire dall’Essere sfignifica disarticorlarlo come divenire, tastarne l’incosistenza, comprenderne la fugacità, senza però compiere fughe in avanti, verso una dorata quanto illusoria possibiltà di vivere l’Essere in purezza.

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  4. Mi arrischio a dire castronerie….
    Anche qui un paradosso che se non ben interpretato e digerito può produrre ciò che la legge del karma ha prodotto nei paesi induisti, non azione.
    In realtà mi pare che ciò che viene sollecitato è l’andare oltre ciò che sembra, oltre la mente logica, la causa-effetto e guardare ad ogni fatto come senza colorarlo di giudizio.
    Appunto, gratuita!
    Non negare il paradosso, darsi la possibilità che sia così anche se non riesco ancora a vederlo è la mia modalità di affrontare l’argomento. Spesso la chiarezza arriva appunto non sotto forma di sequenza logica ma di intuizione. Oserei giusto dire “gratuità”

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  5. Ancora essere e divenire.
    Le due dimensioni che a fatica riusciamo a cogliere simultaneamente.
    Esiste l’azione in sé ma al contempo esiste l’azione nel divenire.
    La consapevolezza di questo livello di comprensione, porta a vedere il divenire come un processo in cui non vi è centralità dell’individuo, bensì processo in sé, interconnesso con tutto ciò che lo circonda.

    È l’io che muove producendo azione che si propaga intorno a quel cce ma che a sua volta ha avuto capacità di muovimento spinto da altri processi simili. Visto così l’io non può sentirsi il centro di nulla se non parte di un tutto.

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  6. Abbiamo appreso che c’è uno Stare ed un divenire.
    Nell’attimo presente c’è l’Essere, nel divenire, quello stesso Centro di Coscienza, ha un nome, muove cause, sortisce effetti. È l’io che apprende.
    Allora posso immaginare di porci degli obiettivi, una meta. Ma dobbiamo essere consapevoli che nulla ci appartiene.
    Ed anche se otteniamo dei risultati, per l’io soddisfacenti, dovremmo essere consapevoli che siamo semplicemente mezzi, strumenti di qualcosa che ci trascende.
    Quel merito, che sembra frutto del nostro impegno, è espressione di qualcosa di più grande e ogni nostro tentativo di ricondurlo a noi, in realtà ci allontana dalla Verità che vorremmo possedere.

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  7. Se vivo il momento presente è sto nell ‘azione senza colorarla, posso certamente dire di vivere nella gratuità e non collegare i fatti. Posso anche dire che il risultato di un’ azione non mi compete, ma è innegabile che un fatto può generare una emozione che rimanda ad una emozione simile già vissuta o genera un pensiero conosciuto. Siccome poi sono responsabile di fronte agli altri delle conseguenze delle mie azioni, come posso dire di non collegare i fatti, nel divenire? È dai fatti che apprendo.

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  8. Anche per me questo al momento è uno dei concetti più ostici del paradigma, soprattutto non riesco a calarlo in alcuni aspetti concreti del vivere.
    Ad esempio: in un progetto di lavoro costruito passo dopo passo, che prevede un inizio, lo svolgimento e la fine; oppure in una pratica sportiva in cui è evidente la progressione cosa vuol dire che i fatti non sono connessi?

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    • A Mariella
      Vuol dire che la legna che arde non diviene cenere.
      Puoi capirlo solo se applichi il paradigma dei fotogrammi, del film fatto da tanti fotogrammi.
      Nell’Eterno Presente non esiste il film che scorre, esistono i singoli fotogrammi di tutta la bobina: è la percezione dei nostri sensi che crea il senso dello scorrere.
      Nel proiettore cinematografico, quando si usava la pellicola, i fotogrammi li vedevamo in movimento perché la pellicola scorreva tra la lampada e l’obiettivo.
      Nella nostra realtà vediamo una realtà statica in movimento in virtù della permanenza delle immagini nella retina e della funzione della memoria.

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  9. Su questo post mi perdo. Non so se è la sede per chiarimenti. Ho sempre “sentito” un filo conduttore in tutte le mie esperienze in cui l’intento era stato messo. Dalla lettura mi è arrivato invece che siamo per così dire in balia degli eventi. Cosa mi sfugge del messaggio?

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