UN MONACHESIMO PER I SENZA RELIGIONE DEL TERZO MILLENNIO

È detto cuore grande, il cuore che è come la grande montagna, come il grande oceano, il cuore non parziale, non fazioso. Se porta in mano un ryō non lo considera leggero, se solleva un kin non lo pensa pesante. Avvolto dalle voci della primavera, non si sollazza negli stagni primaverili; anche se vede i colori dell’autunno, non per questo ha un cuore autunnale.
La competizione delle quattro stagioni è dentro un unico scenario, vede leggero e pesante con un unico colpo d’occhio. (E.Dogen, Tenzo Kyokun)

All’inizio del terzo millennio il monachesimo tradizionale delle religioni è in declino, nuove forme avanzano e sempre più diffusamente si parla di monachesimo interiorizzato sia in ambienti religiosi che estranei a essi.

Il Sentiero contemplativo da anni incarna una di queste forme, la Via del monaco, intesa come incarnazione dell’archetipo del monaco: il seguire un imperativo interiore che chiama senza sosta e conduce a sé, indirizza verso ciò che nella vita è essenziale, incontro alla realizzazione esistenziale di ciascuno.

Cosa è essenziale?
– La conoscenza.
– La consapevolezza.
– La comprensione.
– Il superare il proprio egoismo e l’aprirsi all’amore.
– Il perseguire l’unificazione interiore
:
* unificazione tra le diverse componenti costitutive dell’umano e i diversi livelli di consapevolezza e di sentire che lo coabitano,
* unificazione con ciò che costituisce il nostro mondo e dà origine alle nostre relazioni: minerali, vegetali, animali, umani, sovraumani.
* unificazione rivolta all’interiore e all’esteriore, all’intimo nostro come all’altro da noi e al cosmo in generale.

Il termine monaco ha un duplice significato: solo, unito.
Solo come ogni vivente di fronte alla responsabilità della propria vita.
Unito come “colui che scopre l’unità del tutto” e lo fa vivendo, facendo bene, sbagliando: sperimentando.
Non unito per acquisizione filosofica, ma per esperienza diretta.

Questo monaco non ha una legge cui obbedire, che non sia quella che sorge dal suo sentire e che è all’origine della responsabilità che sente verso tutte le creature.

Questo monaco non ha una religione e, non avendola, non appartiene ad alcuno, non serve alcuno, non risponde ad alcuno: conosce l’Essere-che-È come aspetto costitutivo della sua natura, come radice prima, come manifestazione unitaria e totale che accade in ogni adesso.

Questo monaco non ha una comunità tradizionale a cui appartenere e non è vincolato da obblighi, voti, promesse rivolte alla sua comunità e al suo Dio.

Questo monaco va nel mondo e crea le scene della sua vita, reagisce agli impulsi sulla base del compreso e del non compreso, nella consapevolezza piena che ogni cosa che accade è interpretabile in termini unitari superando la limitazione delle logiche duali e oppositive: nel mondo impara a non vedere solo il dettaglio, ma a legarlo all’insieme; impara a coniugare sé con l’altro; impara a contemplare il singolo fatto e l’armonia meravigliosa che celebra l’insieme.

Tutto parla a questo monaco dell’Uno Assoluto, tutto glielo svela, tutto lo incoraggia a perseguire una comprensione unitaria del suo essere, della sua vita, di tutti gli esseri e di tutte le vite.

Questo monaco non ha bisogno di credere, è l’archetipo del monaco che vibra in lui e che lo chiama, che lo attrae, che lo conduce, che lo corregge, che lo ispira, che gli infonde il fuoco della fede: è l’archetipo che crede, e crede perché è Ciò-che-E’.

Questo monaco rifugge da ogni immagine e idea di Dio: sente l’Essere Uno, lo sperimenta in sé, non ne ha bisogno e non vuole pensarlo.

Questo monaco vive nelle città del mondo e tra i monti, in famiglia, in comunità, in solitudine, non ha importanza: dovunque egli vada e sia, qualsiasi cosa faccia, coltiva la consapevolezza unitaria che fonde in una inscindibile realtà Essere e divenire e lascia che possa pervadergli il comportamento, il corpo, la mente, il sentire.

Questo monaco non ha una missione: il sentire, l’archetipo del monaco lo porterà, di volta in volta, incontro a questo o a quello, ad aiutare e a essere aiutato, a collaborare e a ritrarsi dal collaborare.

L’ascolto del sentire in sé è la prima grande opera di questo monaco che non ha un Dio da servire, né da seguire, perché si segue qualcuno che è altro da noi: ascolta, discerne, obbedisce a ciò che dal suo intimo sorge, e poi agisce.

Si cura delle conseguenze delle sue azioni nel mondo, è consapevole che a ogni gesto un equilibrio viene turbato per poi essere ristabilito: egli è cellula tra cellule, sentire tra sentire e insieme a tutti i viventi conosce e comprende.

Il monaco è consapevole che paga sulla propria pelle gli errori e si assume la responsabilità della sofferenza inferta al suo prossimo: non cerca di fuggire, né di nascondersi, affronta le sue giornate nella lucida consapevolezza che vivere è, senza fine, creare equilibrio e squilibrio affinché ciascuno abbia il necessario per conoscere, divenire consapevole, comprendere.

Egli è disposto a provvedere, a prendersi cura, a manifestarsi in maniera diretta e personale nei fatti: non delega, non è mai passivo, conosce il proprio posto e la personale funzione esistenziale, e, quando non la discerne chiaramente, la indaga.

Il monaco può riunirsi in comunità fondate sulla coabitazione o meno, può vivere nella propria famiglia, o in solitudine.
La sua giornata, sia che viva in solitudine, che in famiglia o in comunità, è cadenzata dai ritmi interiori:

  • L’ancoraggio all’Essere nella meditazione.
  • La possibilità di sviluppare conoscenza – consapevolezza – comprensione attraverso la relazione.
  •  Il tempo di solitudine e di ritiro affinché il ciclo del giorno possa interiorizzarsi: tutto è nato nella radice dell’Essere e tutto torna alla radice dell’Essere. Ogni giorno.

L’archetipo del monaco risuona nell’intimo di tutti coloro che sono pronti e sulle sue note si attivano, trovando così la propria direzione e il senso del personale esistere.

Eremo dal silenzio,
15 maggio 2021, San Costanzo, PU

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12 commenti su “UN MONACHESIMO PER I SENZA RELIGIONE DEL TERZO MILLENNIO”

  1. Viva il monachesimo per i senza religione.
    Unificazione che supera il dualismo ad es tra materia e spirito.
    Dove il peccato è semplicemente non essere riusciti a vivere secondo il proprio sentire. Ma questo non determina alcun giudizio di condanna; fornisce una mera indicazione degli ambiti migliorabili.

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  2. Nel leggere sovviene il concetto di anarchia che Ezio Bosso spiega come “obbedienza” al proprio senso di responsabilità.

    L’ascolto del sentire di se, questo il nocciolo!

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  3. Questo manifesto è un documento importante per chiunque si voglia confrontare con l’archetipo del monaco.
    È un prontuario da rileggere periodicamente e con cui misurarsi.
    È la sintesi credo non ulteriormente superabile: oltre, la parola si ferma, c’è solo l’incarnazione del compreso.
    Grazie.

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  4. Mi viene da dire un monachesimo adulto. Non di adesione ad una idea di monachesimo, ma il perseguire ciò che sorge dal Semtire, ciò che si sperimenta attimo dopo attimo.
    Liberi dalle convenzioni religiose, si persegue una spinta interiore ed ognuno sperimenta, conosce, comprende e diventa consapevole.
    Tutti è tutto, sono parte dell’Uno.

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  5. “Trovare il senso del personale esistere”
    Vivere il monachesimo anche senza trovare il senso del personale esistere.
    Vivere il monachesimo.

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  6. Questa visione di un monachesimo per i senza religione è lo sbocco logico e maturo di una ricerca spirituale iniziata da una vita.

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