Chiede Mariella commentando il post Il tempo necessario per contemplare il reale: “Questo vuol dire che anche dietro la violenza, lo sfruttamento, la tortura, ogni efferatezza c’è un impulso d’amore che ti spinge ad agire? Il deficit di comprensione produce un cambiamento di segno?”
Prendiamo il caso di un uomo che usa violenza alla propria compagna: se ascoltiamo ciò che afferma, vedremo che è convinto di agire per amore e, dal suo punto di vista, è certamente così non avendo tutti dell’amore la stessa comprensione.
Dal nostro punto di vista la sua modalità è aberrante ma, d’altra parte, una moltitudine di noi si gira dall’altra parte di fronte al dramma delle guerre, delle carestie, delle migrazioni: siamo più evoluti dell’uomo dell’esempio, ma siamo dei bruti in merito a tante altre questioni.
violenza
Violenza e violenze
Violenza. Dizionario del Cerchio Ifior
L’indurre qualcuno a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe fatto.
Messaggio esemplificativo (1)
Il problema è che voi vi accorgete della violenza, e la riconoscete, quando riguarda o ricade su voi stessi. Oh… si può anche dire che voi guardate la televisione, magari, e vedete il tale omicidio o la sparatoria tale e dite: «Ma guardate questi comportamenti violenti, io non farei mai una cosa del genere…» ma è sempre un cosa mentale quella che fate, un atteggiamento di superficie perché, in realtà, non vi interessa più che tanto quanto guardate attraverso quella finestra che è la televisione, anche perché, alla fin fine, non siete mai sicuri se quello che vedete o sentite sia veramente la realtà dei fatti.
Per accorgervi, quindi, della violenza, bisogna che la violenza arrivi a interessare voi stessi e, naturalmente, la parte più evidente del vostro voi stessi, ovvero il vostro Io, perché è quella che reagisce alla violenza.
Il problema è che voi vi accorgete della violenza, e riconoscete la violenza quando la violenza riguarda o ricade su voi stessi. Oh… si può anche dire che voi guardate la televisione, magari, e vedete il tale omicidio o la sparatoria tale e dite: «Ma guardate questi comportamenti violenti, io non farei mai una cosa del genere…» ma è sempre un cosa mentale quella che fate, un atteggiamento di superficie perché, in realtà, non vi interessa più che tanto quanto guardate attraverso quella finestra che è la televisione, anche perché, alla fin fine, non siete mai sicuri se quello che vedete o sentite sia veramente la realtà dei fatti.
Per accorgervi, quindi, della violenza, bisogna che la violenza arrivi a interessare voi stessi e, naturalmente, la parte più evidente del vostro voi stessi, ovvero il vostro Io, perché è quella che reagisce alla violenza.
L’Io, ricordatelo, è sempre pronto a fare violenza agli altri, ma – ritenendosi superiore – si offende tantissimo nel momento in cui la violenza viene fatta a lui!
La violenza non è fatta soltanto di atti violenti: la violenza è fatta di molte sfaccettature, tantissime, e – forse – il comportamento, come si può dire… in qualche modo subdolo o peggiore che si possa tenere è quello che porta alla violenza messa in atto attraverso le parole; certamente una violenza fisica vi colpisce sul momento per la sua manifestazione, per come viene messa in atto, perché – magari – l’individuo violento manifesta attraverso la sua espressione una condizione interiore particolare che vi colpisce, ma la violenza fatta con le parole invece, a mio avviso, è molto peggiore. Intanto, è difficile riuscire ad individuarla: non sempre vi accorgete che gli altri vi stanno violentando con quello che vi dicono, e poi restate comunque nel dubbio se veramente quella persona vi stava facendo violenza o se è stata soltanto una vostra impressione. Diventa, quindi, un comportamento dell’altro che va compreso, interpretato, e voi sapete che questo comprendere ed interpretare un comportamento altrui è una delle cose più difficili da fare. Se pensaste ai vostri politici, per esempio, vi accorgereste che conoscono benissimo questi movimenti, queste meccaniche psicologiche e le usano continuamente nel loro comizi, nei loro discorsi, nel loro usare la parola come mezzo di convinzione, di persuasione.
Fino a questo momento abbiamo parlato di quando voi recepite una violenza, e ho cercato di farvi vedere che la violenza ha tante sfaccettature e può essere ritrovata e ricadere su di voi in forme molto diverse ed anche inaspettate.
Ora, vediamo l’altra faccia della medaglia: le violenze che ognuno di voi fa. È evidente che, a questo punto, è necessario che voi stiate attenti a voi stessi per accorgervi di quando siete violenti, perché se non state attenti metterete in atto la vostra violenza e non vi accorgerete neanche di esserlo stati, anzi magari vi sentirete dei santi per come vi siete comportati. Però se voi analizzaste attentamente i vostri comportamenti, vi rendereste conto che il fare o il non fare qualche cosa nei confronti degli altri, che provoca quindi un mutamento di comportamento o di opinioni degli altri, vi gratifica o meno, vi dà qualche cosa o meno. Ecco, lì è il punto che – secondo me – dovete osservare con attenzione: è quel «qualche cosa» che vi dà, che vi può dare la misura di qual è l’intenzione con cui avevate agito (tacendo o non tacendo per esempio, usando quindi il silenzio come una leva per far violenza sulla volontà dell’altro).
Tu operi violenza se il tuo silenzio è fatto per riuscire a sovrastare l’altro, per ottenere prestigio o potere sull’altro. È sempre lo stesso discorso, non cambia niente: non ti deve importare quali sono le motivazioni dell’altro, tu devi capire le tue. L’altro poi avrà i suoi motivi, i suoi perché di violenza, ma sono problemi suoi che tu puoi o non puoi comprendere e che, magari, ti sfuggiranno per tutta la vita, o anche per tutte le tue vite, fino a quando non raggiungerai un certo punto di comprensione; ma tu puoi, invece, senz’altro arrivare a comprendere le tue motivazioni, perché soltanto tu puoi arrivare a comprenderle.
Vi ricordo che è possibile usare anche la dolcezza e l’amore, ad esempio, per tenere incatenate le persone, per far sorgere i sensi di colpa negli altri. Non vi è nulla che non possa essere usato per fare della violenza, miei cari, qualsiasi cosa può essere usata, completamente. Persino l’insegnamento delle Guide può essere usato per far violenza: pensate alle volte in cui combattete con qualcuno che non vuole credere. Non state cercando di far violenza in quel momento?
Se voi riusciste a sopraffare l’altro e a fargli dire «sì è vero quello che dici» sarebbe una cosa sentita la sua o lo avreste costretto, in qualche modo, per porre fine a quel tormento, anche soltanto perché sul momento gli conveniva dire di sì, e comunque non era una cosa sentita, quindi diventava un’imposizione da parte vostra?
Dunque, abbiamo parlato delle violenze che dall’esterno vi arrivano addosso, e che molte volte voi, giustamente, vorreste evitare. Non vi abbiamo accennato a come difendersi da queste violenze, ma questo mi sembra che sia un qualcosa che viene da solo, conoscendo un pochino l’insegnamento… le violenze sono assimilabili ai condizionamenti, e per difendersi da esse l’unica strada possibile è quella di conoscere se stessi ed ovviare col proprio sentire: nel momento che voi conoscete voi stessi e ampliate il vostro sentire, queste cose che dall’esterno cercano di imporsi a voi e quindi farvi violenza, queste violenze che gli altri cercano volutamente o meno di farvi, hanno meno peso e quindi diventano indifferenti per voi. E, d’altra parte questo è anche lo stesso modo che vi consigliamo per evitare la sofferenza. La strada, gira che ti rigira, è sempre quella!
Poi abbiamo guardato le violenze che voi fate sugli altri, e qua non ci sarebbe molto da aggiungere perché mi sembra che sia stato abbastanza chiaro il discorso.
Vi è, ancora, un altro tipo di violenza: ci sono le violenze che fate voi stessi a voi stessi. Queste sono veramente violenze o no, sono giuste o no, dovete porvi un freno o no? E qua è difficile dare una risposta. Ma se davvero voi non voleste fare una certa cosa siete sicuri che non la fareste? Pensateci un attimo.
Quello che proprio non volete fare, quante volte accade che lo fate?Io sono convinta, perché sono stata viva prima di voi e lo sarò ancora dopo di voi – probabilmente, ahimè – (e quindi per esperienza acquisita), che quando si fa qualche cosa di sbagliato, o qualche cosa che va contro la volontà, il volere, il desiderio di quella che è la vostra mente, ricordatevi, in realtà la si fa perché, sotto sotto, poi la si voleva fare, o vi erano dei motivi per cui la si voleva fare. Se non vi è nessun motivo interiore che spinge a fare qualche cosa vi garantisco, miei cari, che quella cosa nessuno di voi la farebbe mai. Se non aveste intenzione di suicidarvi ingoiereste mai delle pastiglie di cianuro? Zifed
1 La fonte del desiderio, pag. 156 e segg.
Dal volume del Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata.
Indice del Dizionario del Cerchio Ifior
La sopraffazione, i femminicidi
Non so quanto dipenda dalla mia storia psichica o dalle mie attitudini caratteriali il fatto che io non abbia mai alzato un dito su una donna. Ma so per certo che dipende in buona parte, per dirla molto banalmente, dalla mia volontà di non farlo; dalla mia educazione e dall’esempio ricevuto in famiglia; dalle mie inibizioni culturali, che mi fanno considerare indegna e vile la sopraffazione dell’altro; infine, e non ultimo, dalle mie convinzioni politiche, che mi conducono fortemente a credere che la libertà delle donne sia condizione (forse la prima condizione) della libertà di tutti.
Torniamo umani?
Torniamo umani, esorta Gino Strada dopo i fatti di Bruxelles. L’espressione è eloquente e contiene la convinzione che è possibile una umanità senza violenza e sopraffazione. E’ una convinzione e una aspirazione nobile, ma parla della realtà? Non credo, e qual’è allora la realtà?
Che cosa è umano? La pace è umana e il delitto no? Oppure l’umanità è un processo che dal delitto conduce alla pace, alla pacificazione interiore?
Se consideriamo l’essere umani come l’essere immersi in un processo che contempla tutte le possibili esperienze, dal delitto alla pacificazione, allora ciò che sta accadendo è profondamente umano.
Se vogliamo espellere il delitto, il male dal processo, allora c’è qualcosa che non ci è chiaro del processo stesso.
Come impara l’umano? Come imparano l’assassino, lo stupratore, il corrotto? Sperimentando.
Il terrorismo, la disgregazione, la via all’essenziale
C’è un dibattito ampio che coinvolge le persone con sensibilità religiose e laiche sulle scelte da fare, sui cambiamenti da operare per evitare che la mala pianta dell’intolleranza e della violenza si riproduca.
Le tesi sono molto articolate, dal mio punto di vista è particolarmente interessante quella che vede nei processi di disgregazione e di marginalizzazione sociale una delle origini.
Ma anche questa contiene un limite: le spaventose ingiustizie e l’iniquità intollerabile nella distribuzione della ricchezza servono a creare un clima di coltura ma, in sé, non posso scatenare ciò che non ha i presupposti per essere scatenato.
Se, esistenzialmente, a me non è necessaria l’esperienza della violenza, non la genererò. Se mi è necessaria, allora certamente l’ambiente nel quale sono inserito la favorisce e mi accompagna funzionale alla sua manifestazione.
Questa tesi, che sostengo, parte naturalmente da un presupposto: l’essere umano non è la conseguenza dell’ambiente nel quale cresce e si struttura ma, al contrario, è il fattore che quell’ambiente crea.
Una società prevaricatrice, iniqua, ingiusta fin nelle midolla non è generata da un manipolo di male intenzionati e di egoisti, è il frutto del sentire comune e ampiamente condiviso.
Il terrorismo, le esasperazioni spaventose del capitalismo (che pari per gravità e responsabilità sono) manifestano in modo eclatante un limite nel sentire individuale e collettivo: non sono l’origine, sono il frutto simbolico eclatante di un processo, di uno stato dell’interiore che riguarda tutti.
Qual’è la soluzione a mio parere?
Non continuare a dire sciocchezze sull’Islam; non limitarsi alla sola analisi sociologica dei fenomeni; non guardare al dito piuttosto che alla luna.
Qual’è la luna? Il deficit di sensibilità, di responsabilità, di altruismo che accomuna tanti di noi, la maggior parte di noi.
Cosa fare? Una cosa molto semplice: mettere al centro l’essenziale.
Cos’è essenziale? Il processo della conoscenza, il processo della consapevolezza, il processo della comprensione.
Questo essenziale non ha connotazione religiosa, né laica, precede semplicemente l’una e l’altra, è la cosa più naturale all’umano, è già quanto esso sta vivendo ma, siccome lo vive in modo inconsapevole, non sa governarlo e non sa eliminare da esso gli aspetti più dolorosi.
La conoscenza di sé e della vita è l’essenziale; la conoscenza delle relazioni e di ciò che esse portano, è l’essenziale; la consapevolezza dei processi mentre accadono, il vederli e il vedersi, è l’essenziale.
Dalla conoscenza e dalla consapevolezza coltivate come disposizioni centrali del proprio vivere, sorge la comprensione, il suo processo: ogni esperienza produce apprendimento e ciò che è appreso e compreso non verrà replicato tal quale, ma produrrà frutto nuovo, possibilità creativa nuova.
E’ così che si superano la violenza, l’intolleranza, l’egoismo sfrenato, la sopraffazione, la stupidità frutto dell’ignoranza di sé.
E’ un cambio di paradigma che questo tempo ci richiede: dalla centralità dell’egoismo e della persona/natura/merce, alla centralità del conoscere, dell’essere consapevoli, del comprendere attraverso la collaborazione, la condivisione, il rispetto.
Questa mi sembra la via per l’immediato e per il futuro, una via con un basso tasso di dolore.
Immagine da http://goo.gl/yfj4kF
Krishnamurti. L’intero spettro della violenza
La fonte della violenza è il “me”, l’ego, il sé, che si esprime in molti modi – nelle divisioni, nel cercare di diventare o di essere qualcuno – dividendosi in “me” e “non me”, in conscio e inconscio.
Giorni violenti
Ogni giorno ascoltiamo parole e concetti, vediamo atteggiamenti il cui tasso di violenza è insostenibile.