Una voce: Nella via della Conoscenza si parla di stato dopo stato, quando la mente tace e non c’è nessuna pretesa di decidere come essi “dovrebbero essere” e dove “dovrebbero portare”. Nel vivere consapevolmente gli stati non ci sono né metri e né parametri per stabilire a che cosa servano, come mai si presentano e anche dove possano portare.
Gli stati parlano solo di se stessi, e questo significa perdere, perdere e perdere, ma non qualcosa che si possedeva: solo quello che si credeva di avere, vale a dire l’illusione di possedere. In assenza di illusioni, senza la ricerca di contraddizioni e senza inseguire la coerenza e l’armonia interiore, si svuota anche la consistenza dell’“io”.
Nella via interiore, voi avete strutturato la mente sull’illusione di essere coloro che possono superare “passo dopo passo” le contraddizioni e conquistare una maggiore armonia interiore. Il desiderio di evolvere si accompagna al bisogno di trovare risposte al proprio esserci e vivere singolarmente il rapporto col Divino. Sono i dubbi e le incertezze di chi non ha più nulla da conquistare evolutivamente a spazzare via il bisogno di certe domande e l’importanza delle risposte; dentro si impone un “Boh!” come unica risposta alla propria evoluzione. Non è possibile spiegarsi e dare una direzione a uno stato che passa e va.
Nel tempo del quotidiano c’è un variegato succedersi di fatti, di incontri, di pensieri e di emozioni, ciascuno dei quali si conclude in sé, perché compiuto, cioè senza aggiunte, senza richieste e senza aggiustamenti. Il quotidiano è qui e ora, è momento dopo momento, è fatto dopo fatto; tutto sorge e tramonta, ed è completo perché si conclude. Vivere il semplice quotidiano significa essere frammentati nelle tante piccole situazioni che si concludono a una a una, momento dopo momento. Si osserva ogni fatto così com’è, vale a dire disconnesso da tutto quello che voi umani mentalmente connettete. Ogni fatto è il suo semplice presentarsi e poi scomparire; non ha etichette che lo rendono importante, oppure problematico, oppure troppo breve da vivere.
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Il significato di stato non parla di movimento, ma di staticità e di intensità di osservazione nell’immobilità interiore. Questo significa che non lo si incontra nelle eccitazioni mentali, ma solo quando può trovare un punto di pacatezza, perché lì un piccolo fatto o breve momento mostra le sue sfaccettature, cioè i tanti brevi frammenti che nascono, si sviluppano e scompaiono, se lasciati andare.
Nell’immobilità interna si esprimono gli stati; ci si sente proprio assorbiti in ciò che è lì presente, con l’attenzione al gesto dopo gesto, perché l’accadere non ha bisogno di essere spiegato, e nemmeno ricercato, va semplicemente vissuto stando in.
Eppure l’uomo si arrovella in questo mistero e si domanda: “Per spiegarmi la successione di frammenti conclusi, devo pur trovare una motivazione logica”. Non è così. Si può solo venirne assorbiti: mai si può trovare una spiegazione al non-riconoscibile, che non equivale al vostro già noto e già incasellato mentalmente. L’accadere è provocazione per la vostra struttura mentale, perché vi sorprende e non si lascia controllare; lo si riconosce se resta non-noto e non motivabile: si presenta, sfila e va.
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Stato come staticità e intensità di osservazione…non sarei stata in grado di definirlo ma l’ho sempre sentito così!
Tutto sembra dissolversi e perdere consistenza. Appare l’identificazione nei processi del divenire, l’essere ancorati all’illusioni.
L’abitudine ad osservare i piccoli fatti nella quiete della mente e viverli per quello che sono, ciascuno concluso in sé.
Grande allenamento.
Sorge commozione alla lettura. Grazie