L’abbandono di sé, per conoscere la realtà e l’Assoluto

In questo Tweet cito l’incipit del Magnificat, ed Antonella commenta dicendo che il brano le “stride”.
Le rispondo: ” Questo passo è una meraviglia e, come le meraviglie, si svela all’anima che si abbandona ad essa.. “

La chiave della mia risposta è nel verbo “abbandonare” e di questo voglio trattare in questo post.
Ci si può approssimare alla conoscenza dell’Assoluto portandosi appresso il bagaglio delle proprie idee, simpatie e antipatie, adesioni e repulsioni?
Si può conoscere la realtà feriale e quotidiana, nostra e delle persone che ci stanno accanto, leggendola alla luce del ristretto e limitato punto di vista personale?

Sia nell’avvicinarci al trascendente, che nell’accostarci all’immanente, l’osservazione e l’ascolto limitati da un punto di vista univoco sono un limite che preclude la conoscenza, la consapevolezza e, naturalmente, anche la comprensione.
Il punto di vista personale sorge naturalmente di fronte a qualsiasi osservazione, a qualsiasi fatto, persona, situazione, ma esso è solo l’avvio di un processo molto più complesso.

Se qualcosa mi “stride”, la prima domanda che mi pongo è: perché?
Dell’indagine interiore abbiamo parlato infinite volte, non vi ritornerò.
Il passo successivo che posso compiere, è quello di decentrare il fuoco della consapevolezza da me, dalla mia reazione, all’intenzione dell’autore, al suo mondo interiore ed esteriore.

Chi dice o fa cosa? Chi è l’essere che parla, agisce, ama o odia, accudisce od offende che si presenta sulla mia scena?
Da cosa è mosso, trasportato o bloccato?

Non ho accesso al reale se non mi pongo queste domande, se non esco da me ed entro nel mondo interiore dell’altro.
Se rimango in me sono cieco, ma, soprattutto, sono morto, la vita non fluisce attraverso me perché io glielo impedisco rimanendo cristallizzato nella mia centralità.

Se mi è possibile decentrarmi da me, allora posso acquisire dati sull’altro e imparare a scoprire il suo universo.
Ma voglio farlo? A volte no, non voglio farlo.
Nell’intimo mio, su certe persone, certe situazioni, certe culture, certe manifestazioni ho già da tempo emesso una sentenza, e questa è inappellabile, dunque il mio interrogarmi su questo e su quello è puramente formale, non avendo alcuna intenzione di rimetterla in discussione.

A volte è la vita che ci induce a rivedere quel giudizio, altre il sopraggiungere di una comprensione: di certo la prima prepara la seconda.
Quando finalmente scopriamo il limite della nostra posizione, del nostro modo e del nostro mondo, allora il Reale può presentarsi e dire:

“Vedi, quella persona ha narrato in questi termini il suo rapporto con l’Assoluto!
Ora che puoi ascoltare quel che dice, quel che vibra nel suo intimo, non ti sembra meraviglioso ciò che dice e, soprattutto, ciò che prova?
Ora lo puoi comprendere perché anche tu sperimenti quella confidenza con l’Assoluto, perché anche tu lo conosci e allora puoi comprendere gli infiniti modi in cui altri lo hanno conosciuto!

Prima tu non capivi, e provavi fastidio, perché prigioniero della tua non conoscenza di Lui: come potevi comprendere qualcosa che altri comprendevano e a te rimaneva nascosta?
Tu non comprendevi perché non facevi il primo di tutti i gesti nel cammino mistico: cominciare a dimenticarti di te.
Così ti rimaneva nascosto sia il mondo che l’Assoluto-radice-del-mondo, e tu passavi le tue stagioni nell’ombra della tua prigione, troppo timoroso per aprire la parta e la finestra e lasciar entrare l’irriducibile, l’inconoscibile, il totalmente altro che, vestito d’umano, celava la sua natura divina.
Così non hai vissuto né l’umano, né l’Assoluto, finché non hai potuto cominciare a rinunciare a te stesso.
Cominciato questo, allora, semplicemente, il mondo si è rivelato nella sua essenzialità ai tuoi occhi e hai visto le mille parole, i mille modi, le mille strade che incontrano Dio, che lo narrano, che lo contemplano, e hai provato meraviglia.”


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3 commenti su “L’abbandono di sé, per conoscere la realtà e l’Assoluto”

  1. “Se rimango in me sono cieco, ma, soprattutto, sono morto, la vita non fluisce attraverso me perché io glielo impedisco rimanendo cristallizzato nella mia centralità”.
    Parole forti, che condivido pienamente e che intendo qui sottolineare, perché ritengo importante tenerlo a mente sempre. In ogni momento siamo chiamati a scegliere se vivere dando quello che vediamo per scontato e quindi rattrappirci in noi stessi o essere vivificati dalla meraviglia dell’Essere che si manifesta nel divenire in tutte le sue forme. Sempre siamo chiamati a scegliere, non solo quando ci incantiamo davanti a un fiore (e per molti anche questo passa inosservato come fosse inesistente), ma anche quando ci troviamo intrappolati nella meccanicità del giudizio di fronte a qualcuno che non si comporta secondo le nostre aspettative o credenze e che ci mette in discussione, facendo traballare le nostre certezze.

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  2. Ciascuno che narra il proprio rapporto con l’Assoluto è per me una ricchezza perchè parla al mio sentire e mi com- muove nel senso che mi fa muovere con lui, portandomi ad altezze per me ancora non raggiungibili.

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  3. È come quando si percorre un sentiero di montagna: ad ogni passo se alzo lo sguardo ho un panorama diverso perche il punto di vista cambia continuamente, cosi da avere la possibilità di percepire l’unità di ciò che vedo.
    Se non abbandono lo stesso punto di vista, quindi resto fermo, percepiro’ solo una parte del panorama nella convinzione che quella percezione rappresenta l’interezza del panorama stesso.
    La capacità di osservare e conoscere attraverso il punto di vista dell’ altro apre alle meraviglie che da soli non saremmo in grado di cogliere.
    Nel giorno che sta per cominciare mi sforzero’ di avere un punto di vista altro dal mio.

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