Attività dell’identità e comprensioni

L’io non trova riscontro nella realtà costituzionale dell’individuo.
Non esiste l’io che sente; esiste il “sentire”.
L’individuo non è colui che sente: è sentire individuale.
Così come Dio non è colui che ama: è 
amore.
Nel “sentire” non si conosce una verità,
ma si è quella verità. 

Questo è il brano del Cerchio Firenze 77 pubblicato oggi in “Letture per l’interiore”.
L’io introduce nel quotidiano un altalenante rumore di fondo fatto di pensieri, emozioni, sensazioni di varia natura.
Quell’altalenare è influenzato da innumerevoli fattori: l’ambiente vibratorio nel quale si è inseriti, il particolare momento esistenziale che si attraversa, le non comprensioni che si affacciano e dichiarano lo stato del loro cantiere.

Se l’ascolto si fa più profondo, si scopre che quel rumore è presente solo in superficie, oltre regna una condizione ben diversa caratterizzata da ampio spazio e neutralità.
Eppure quel rumore è indicativo, soprattutto quando alcuni dettagli di esso ritornano con una certa ciclicità.

Quel tale dettaglio parla di una sfumatura di non comprensione che ha necessità di essere lavorata e trasformata:

  • c’è opposizione, rifiuto, resistenza in merito a quel dettaglio?
  • c’è consapevolezza di quell’area di non comprensione?
  • nel mentre si analizza il dettaglio, appare chiara la realtà finale alla quale si tende, superata la non comprensione?
  • soprattutto, c’è un particolare attrito, una fatica nel vedere l’esito finale e nell’adeguarsi ad esso?

Mi interessa trattare il quarto punto, l’ultimo.
Se c’è attrito, c’è lavoro da fare.
Ma se non c’è attrito e chiara, facile e subitanea è l’adesione allo stato finale, allora significa che la comprensione è già ampiamente attiva, dunque il lavoro è su sfumature residue.

Questo ci dice che il rumore nasce essenzialmente nell’io/identità: perché, se non c’è una spinta rilevante e significativa a comprendere?
Perché l’identità è normalmente più indietro, più arretrata, più ottusa del sentire e dunque una comprensione che nella coscienza è già iscritta, può non essere pienamente assimilata dalla mente/identità.

Ecco allora, in questo caso, che è bene lasciarsi attraversare ed impregnare da contenuti come quello presentato all’inizio, perché ci ricordano la sostanza del reale ed offrono alla mente la possibilità di riflettere e di effettuare un grado del suo upgrade..
Offrono a noi, inoltre, la possibilità di appoggiare lo sguardo sull’orizzonte, invece che sul dettaglio continuando ad alimentarlo e rimanendovi impantanati, magari.

Quei contenuti offrono un respiro non contingente e nella sostanza dicono: “Non ti affogare in un bicchiere, guarda oltre, osserva l’Essere che ti conferisce forma e processo e su di quello impara a tornare senza fine.”

Ho già detto che tutto dipende dalla natura del dettaglio, dalla sua forza e ritmicità, nonché da quanto ci è facile balzare dal dettaglio alla comprensione finale, segno di conseguimento realizzato oppure no.
Da quanto descritto è evidente la natura del lavoro interiore e spirituale che quotidianamente, e senza possibilità di feria alcuna, mettiamo in atto senza sosta.


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5 commenti su “Attività dell’identità e comprensioni”

  1. “c’è un particolare attrito, una fatica nel vedere l’esito finale e nell’adeguarsi ad esso?”
    Mi interrogo… Non faccio nessuna fatica nel vedere l’esito finale, mentre l’adeguamento non mi risulta semplice né tantomeno automatico. Come se in questa mia fase esistenziale ci fosse ancora bisogno di manifestazione, o finalmente tale esigenza.
    Mi interrogo però se questo è solo una tana dell’identità

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  2. Se anche giungo a piccole comprensioni, la percezione che ho della realtà muta, cambia l’approccio. Aumenta la chiarezza e la capacità di ampliare l’orizzonte. Dura un attimo. Di nuovo osservo e capisco che è solo l’inizio.

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