Quando il monaco deve abbandonare la ricerca

Il monaco è colui che dedica la propria vita al processo di unificazione, ma è anche colui che impara dalle esperienze, che diviene consapevole e comprende.
Una parte della vita del monaco è all’insegna del “conosci te stesso”, della ricerca e dell’analisi, dell’approfondimento della lettura di sé e del mondo.
Tutto questo avviene naturalmente, ma conosce anche un limite: viene infatti una stagione in cui l’analisi e la conoscenza iniziano ad incontrare una resistenza interiore, qualcosa che non sorge nell’Io, ma nel profondo dell’interiorità.
Il monaco sente che non è più quello il terreno privilegiato che lo deve impegnare nel divenire: i suoi giorni non gli sono più dati principalmente per conoscere, ma per contemplare.
Guarda i processi propri e quelli altrui e di quei processi evidenzia non il simbolo, non il significato nel divenire, ma lo stato che essi descrivono, esprimono dell’essere.

Dei processi coglie la serie di fotogrammi di cui sono composti, le singole scene, i fatti.
Non sviluppa pensiero e analisi, né giudizio sui fatti: li osserva, li contempla.
Potrei dire che il monaco accoglie i fatti, se non fosse che questa affermazione non ha alcun senso: per accogliere è necessario un soggetto, ma il monaco, in quella condizione, non è soggetto, né è interessato alle dinamiche proprie del soggetto.
La ricerca della conoscenza è connaturata al soggetto, ma quando questo muore, o si stempera, solo la contemplazione rimane come gesto vitale, e la contemplazione non è interessata, se non marginalmente, ai processi della conoscenza che vedono coinvolta la mente e gli altri corpi.

La contemplazione per sua natura trascende i corpi transitori, pur avvenendo tramite loro, semplici canali sensoriali:
– le informazioni che giungono dai sensi vengono illuminate dal sentire,
– si stabilisce un corto circuito tra sentire e sensazioni,
– la mente e l’emozione vengono sostanzialmente bypassate
– e l’esperienza è sentita, non pensata, non provata.

In questa condizione non c’è ricerca, né indagine, né tentativo di conoscere: ciò che è richiesto è la fine di qualunque moto indagativo affinché non sia il soggetto a protrarsi, ma sia la realtà a coglierlo, a sorprenderlo, ad illuminarlo, a compenetrarlo annullandolo nella sua specificità, scaraventandolo fuori dalla porta, o semplicemente ammutolendolo.
Ecco allora che la vita del monaco non è più un itinerare tra situazioni, dove l’una prepara l’altra e produce insegnamento consapevole, ma diviene un risiedere nei singoli fatti e l’insegnamento, che sempre c’è, è implicito, anche consapevole ovviamente, ma non più frutto di specifica ricerca e fatica.

A mani basse il monaco procede incontro alle piccole ordinarie scene della sua vita, e da esse viene trasformato: così come il secchio conferisce forma all’acqua, così il quotidiano insignificante plasma il monaco.
Non c’è sforzo nel monaco, né particolare desiderio di cambiare: c’è l’aderire alla mano del Dio-che-è che gli conferisce forma e sostanza.


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8 commenti su “Quando il monaco deve abbandonare la ricerca”

  1. Cercare di definire lo stato dell’Essere in questo momento, mi è difficile.
    A volte mi accorgo che c’è un “parte di me” che va oltre il pensiero e le emozioni che pur mi caratterizzano. Non so dargli un nome, né descriverlo. Segno, credo, che la ricerca non è finita.

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  2. La condizione che descrivi seppure percepita non caratterizza ancora in modo prioritario questa fase della mia esperienza. C’è sicuramente una tensione, una spinta verso il superamento identitario, ma molto mi intrigano ancora i processi del conosci te stesso e non lo dico con rammarico ma con gratitudine e riconoscenza. Imparo la pazienza .

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  3. Sì, in effetti è così… non c’è più ricerca. Le comprensioni semplicemente avvengono, senza essere precedute da tensione. Grazie.

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  4. Conosco ciò che viene descritto.
    Non più necessario l’indagare ma il lasciarsi pervadere dalla realtà, dove il tempo non ha piu significato, dove il soggetto stesso scompare…..
    Leggero è il procede!

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  5. Da tempo è comparsa una resistenza interiore per la ricerca del “conosci te stesso”. E’, questa , una stagione ormai passata. Vivo le giornate nell’ordinarietà ma, mentre anni addietro le esperienze erano “sentite”, e una consapevolezza altra mi investiva ora, rimane solo il fatto, una serie di atti vissuti per lo più, quasi senza coinvolgimento. Accolgo e benedico quel che è

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