Da ricercatore spirituale a monaco

Ricercatore spirituale: colui che indaga sé ed il proprio rapporto con la realtà con il fine della unificazione interiore.
Monaco: colui che ha trovato il proprio approdo, ha riconosciuto le coordinate del proprio procedere esistenziale e spirituale e dedica la propria esistenza all’unificazione interiore attuata in ogni momento del quotidiano e del feriale.
Il monaco ha riconosciuto, perché ho usato questo termine?
Il ricercatore indaga la realtà ed acquisisce elementi di conoscenza, di consapevolezza e di comprensione: quando questi elementi superano una certa massa critica, nella persona matura una consapevolezza nuova, una visione di sé prima non presente.
Il viandante, il senza patria, il senza casa realizza che la preposizione senza non ha più alcun valore, che lui una casa ce l’ha ed è la casa dell’Assoluto.
Il grosso della ricerca è finito, la condizione di ricercatore lascia il passo a quella di monaco.
Il monaco riconosce in sé il cammino fatto e i frutti che esso ha prodotto e si pone l’obbiettivo esistenziale di dare al compreso vita nel quotidiano.
Per favore, non fatemi l’osservazione che anche il monaco è un ricercatore, è troppo ovvia: chiunque abbia una qualche conoscenza della realtà sa che solo l’Assoluto non ricerca.
Il monaco realizza l’unità così come gli è possibile, a partire dalle comprensioni che lo costituiscono: la sua sarà dunque una unità relativa e condizionata, ma è all’interno di quel processo che si vede, si interpreta e sperimenta.
E’ quella di monaco un’altra di quelle etichette che l’identità è solita appiccicarsi? E’ anche questa una osservazione ovvia: se una persona che vive i processi dell’unità come pane quotidiano, non sa vedere il gioco dell’identità e delle attribuzioni e qualificazioni, forse ha sbagliato vita.
Quando ho bisogno dell’idraulico, non cerco sulle pagine gialle “persona che ripara l’impianto idrico”, cerco “idraulico”.
Quando debbo definire qualcuno che dedica la propria vita alla conoscenza e all’unificazione interiore, non c’è termine più completo di quello di monaco:
unità/solitudine è la sua radice; unità, la sua collocazione e ricerca; solitudine è, non il suo isolamento, ma l’assunzione piena della sua responsabilità che non può essere condivisa con alcuno.
Persone in questa collocazione esistenziale costituiscono una componente sociale, un nuovo monachesimo che, non vincolato ad appartenenze religiose, fonda un nuovo orientamento e una nuova possibilità per le coscienze, e le loro identità, che su quelle note di sentire possono ritrovarsi.
La sfida per il monaco è il quotidiano, l’incarnazione del processo unitario al quale dedica l’esistenza.
Non la filosofia, non la teologia, non la cosmogonia, tanto meno la morale sono le sue preoccupazioni: quella e quell’altra azione, quella e quell’altra intenzione sono al centro della sua consapevolezza e della sua investigazione, quando necessaria.
Cosa accade mentre faccio questo; cosa mi svelano quell’intenzione, quel pensiero e quell’emozione; quanto, nel mentre mi relaziono con te, affiora la mia identità e quanto c’è dimenticanza di me; quanto, nel mentre la vita scorre, di essa colgo il respiro unitario libero dalla identificazione e dal condizionamento.
Questo è il quotidiano del monaco.


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1 commento su “Da ricercatore spirituale a monaco”

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