Affinché non smarriate la via

Potrei dire che la fede (qui la differenza tra fede e fiducia) è simile al fiore del tarassaco, al soffione, ma non è vero, non è quello che penso e non è la mia esperienza.
In me la fede è una quercia: la presenza dell’Assoluto, chiara e vivida, affonda le sue radici e allunga i suoi rami nell’interezza della mia vita, e no, non sono attraversato da alcun dubbio.
Penso che il dubbio cresca nella fede fatta di mente, ma c’è un’altra fede che con la mente non ha a che fare, è la fede che sorge dal sentire acquisito: non si ha fede, si è fede.
Non si ha alcun bisogno di credere, e non c’è oggetto di un qualche credere: c’è l’esperienza dell’Assoluto tangibile e concreta, che non è altro da sé per la semplice ragione che non esiste alcun sé.

Scrivo queste righe per un fratello travolto dalle incombenze del mondo che mi chiede una parola.
Possono stare assieme il mondo e la coltivazione di quel fuoco interiore che chiamiamo fede?
Certamente.
Per sentire conseguito.
Per disciplina realizzata.
Sul sentire conseguito c’è poco da aggiungere; sulla disciplina conseguita c’è molto da precisare.
Uso il termine disciplina appositamente per urticare le menti di chi mi legge e crede che tutto gli sia dovuto, e gratis.
Non c’è monaco, persona che persegue il cammino dell’unificazione, che non realizzi in sé, nel proprio quotidiano, una qualche e precisa forma di disciplina.
Cosa va disciplinato?
Le dinamiche dell’identità.

Noi sappiamo che non è possibile una distinzione netta e chiara tra ciò che è dalla coscienza e ciò che è dall’identità, perché quest’ultima altro non è che una derivazione dei processi della coscienza.
Sappiamo però, anche, che esistono gli errori di decodifica delle intenzioni del sentire operati dai vari corpi transitori, come sappiamo che esistono le cristallizzazioni interne ai corpi transitori, dunque esistono specificità interne all’Io, sue dinamiche che vanno conosciute e gestite.

Ecco la disciplina:
disciplina dell’osservazione, della conoscenza, della elaborazione e, infine, disciplina della disconnessione.

La pressione della coscienza atta ad ottenere una certa esperienza, male decodificata dal corpo mentale, diviene una coazione a ripetere un certo comportamento: quella dinamica interna all’Io finisce per oscurare ciò che siamo, la direzione esistenziale del nostro procedere e ci conduce a smarrirci.
Ecco la necessità di dubitare quanto l’Io opera, quanto racconta, quanto interpreta.
Ecco la necessità di sottoporre ad attenta analisi le sue valutazioni.
Ecco la necessità di disconnettere la sua prevalenza, di fare spazio, di tornare a zero.

Quando ci smarriamo, abbiamo perduto la radice dell’Essere: il bene più grande è ritrovarla.
Per ritrovarla dobbiamo disidentificarci dalla narrazione egoica e ascoltare il sentire, risiedere in esso, trovare pace e conforto in esso.
Le vie per attuare questo sono quelle indicate mille volte: la meditazione, il dialogo interiore, le pratiche creative ed espressive capaci di liberarci dell’identificazione nella quel siamo caduti.

Occorre avere cura di sé, del proprio cammino: una cura specifica, attenta, fatta di misura ed equilibrio, di piccole ecologie, di tempo che ci si riserva, di energie che si economizzano per quel fine.
La cura di sé, come quella dell’altro, è un’arte ed ha bisogno:
– di tempo
– di dedizione e costanza
– di volontà
– di fiducia
– di fede.


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8 commenti su “Affinché non smarriate la via”

  1. Si fa strada dentro di me una lettura un po’ diversa di questo fantomatico io che non esiste.
    Una lettura che mette in discussione la frattura tra identità e coscienza e che persino tende a scardinare il concetto delle cristallizzazioni.
    Non certo per contrappormi ed in tal modo distinguermi ed aver prova di me, almeno credo.
    Colgo semmai una spinta energifera nel segno della pacificazione interiore.
    Non perdete tempo con me ma farò un post nella sezione “domande” anche per tener traccia del mio processo di comprensione. Grazie

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  2. Grazie Roberto. Sento la mancanza del tuo palesarti ma non per questo meno attenzione viene dedicata alla cura di sé, anzi tutt’altro!
    Il soffermarsi oggi è soprattutto sul
    concetto di essere il proprio compreso, sul essere fede e non su l’avere fiducia, sulla trasformazione cioè che le comprensioni attuano nel profondo rendendo ognuno manifesto di esse.
    Questo annulla quello che a volte viene definita fatica di vivere….ogni sforzo viene annullato.
    Grazie

    Rispondi
  3. Il respiro crea spazio, permette di mantenere o più spesso di ritrovare la giusta distanza con quello che la mente racconta.
    Distanza tra la mente e chi? O che cosa? C’è qualcuno o qualcosa dall altra parte?

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