Lasciamo che l’amore operi in noi

Se spostate lo sguardo da queste parole che state leggendo verso destra, vedete una tazza vuota e la frase: L’amore sostanzia la realtà.
La tazza vuota è il simbolo del vuoto di sé: vuoto di presunzione di conoscere, vuoto di giudizio, vuoto di aspettativa, vuoto di una soggettività che occupa uno spazio a discapito dell’altro, vuoto di bisogni, vuoto di ingombro di sé.
La frase significa quel che afferma: la sostanza della realtà è costituita dall’amore. Ogni fatto (pensiero, emozione, azione), ogni accadere altro non è che articolazione del principio d’amore, l’unico realmente esistente, l’alfa e l’omega del processo del divenire, il principio che mai muta perché precede ogni divenire e non è corrotto dalla natura effimera di questo.
Non so come vi risuonano queste parole, né conosco la vostra comprensione di quanto vado affermando: questo è, dal mio punto di osservazione.
L’amore esiste prima e dopo di noi, esiste a prescindere da noi e in noi diviene evidenza che si fa forma e processo.
Non esiste persona che possa velare l’amore che la impronta: quella persona, anche quando è immensamente lontana da sé nella sua percezione e concezione, è comunque e a prescindere espressione d’amore.
Per poter comprendere questo, bisogna considerare che nulla nel cosmo accade a caso ed ogni gesto è inscritto in un processo, ogni persona assolve una funzione il cui fine è la conoscenza, la consapevolezza e la comprensione e questo vale per tutti i soggetti coinvolti.
Lo ribadisco: nulla è governato dal caso, o dalla sfortuna.
Un esempio che vi sembrerà folle: l’assassino porta a compimento la vita della sua vittima che, se muore in quel modo, in quello ha necessità di morire e non in un altro, e da quel modo ha la possibilità di estrarre elementi di conoscenza, di consapevolezza e di comprensione.
L’assassino paga le conseguenze del suo gesto e, in virtù di ciò che ha compiuto e del processo conseguente, ha la possibilità di conoscere, di divenire consapevole, di comprendere.
Se non ci lasciamo irretire dal giudizio sul fatto, se cogliamo il comune denominatore che accomuna l’assassino alla sua vittima, vediamo che entrambi possono conoscere e imparare attraverso quello che stanno vivendo.
Questo ci dice che esistono almeno due livelli di lettura del reale: il livello morale e quello esistenziale.
Ciò che è deprecabile sul piano morale, può essere necessario su quello esistenziale.
Il procedere dell’esistenza è fatto in modo tale da condurre la persona ad una lettura sempre più profonda dei fatti e da ciò che appare la conduce a ciò che è.
Ogni vita è il processo del conoscere, del divenire consapevoli, del comprendere: la vita del minimamente evoluto nel sentire, vivrà questo processo mestando nel mare degli istinti, delle brame e delle loro conseguenze.
La vita del massimamente evoluto nel sentire, sarà fondata sulla delicatezza e sull’attenzione, sul rispetto e sul non recare danno, sull’aiutare e sul facilitare.
L’inevoluto e l’evoluto sono entrambi mossi dall’archetipo dell’amore: quella forza prima porta l’uno a misurasi con il proprio egoismo, e conduce l’altro ad affinare il suo altruismo.
Potete accettare questa visione se considerate che nessuno è vittima di nessuno, ma tutti hanno esattamente, nulla di più e nulla di meno, di ciò che è a loro necessario. Se non potete considerare questo, allora rubricate queste affermazioni alla voce “deliri”.
Ma se questo è a noi comprensibile, se questo è chiaro nel nostro sentire, allora possiamo lasciare che l’amore cresca nella nostra comprensione di umani, possiamo vedere i mille volti della sua manifestazione, possiamo sapere che tutto ciò che accade di quel principio primo è manifestazione, non di altro.
Non esiste il male che genera la realtà: esiste l’amore male interpretato e considerato come male.
Se dunque ciò che è, altro non è che aspetto dell’amore, allora il lasciare che l’amore operi in noi significa questo:
– divenire fino in fondo consapevoli di questo principio che crea e informa il reale e non sovrapporvi il velo delle nostre interpretazioni vittimistiche;
– riconoscere che la vita è profonda giustizia perché a ciascuno consegna il necessario per conoscere, divenire consapevole, comprendere;
– arrendersi al fatto che, nella logica del divenire, ogni esperienza del vivere altro non è che un apprendimento che da ego conduce ad amore;
– considerare, nell’ottica dell’essere, che tutto è quel che è e che nulla diviene perché è già perfetto così come è.
Lasciare che l’amore operi in noi significa dunque lasciarsi trasformare senza fine sorretti dalla fiducia che nulla è contro di noi, ma che tutto, proprio tutto, di tutte le ore e di tutti i giorni è per noi, possibilità concreta mille volte reiterata affinché si comprenda il disegno più profondo dell’esistere.
Tutto questo è evidente se non iniziamo a protestare, a congetturare e ad obiettare: viene una stagione nel sentire in cui tutto questo è un’evidenza e non c’è più osservazione e contestazione che sorga dal nostro intimo.
Prima di allora, ciascuno si confronti con le proprie ribellioni ma tenga, se può, in considerazione l’approdo, ciò che lo attende alla fine della strada: la follia che la realtà non è quella che appare, che oltre il velo delle sembianze si cela il grande architetto che ha intessuto il reale con l’ago e con il filo dell’amore.


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11 commenti su “Lasciamo che l’amore operi in noi”

  1. Che la Vita porti con sè la saggezza degli accadimenti , non ci preservi dall’impegno e dalla fatica a volte, di realizzare, con tutto il nostro limite, la compassione e l’amore.

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