Le basi della Via della conoscenza. E se esistesse soltanto ciò che è – quindi se si abolisse ogni mente – il ciò che è sarebbe tutto quanto ciò che esiste e ciò che esiste sarebbe l’essere che non porta nome e neanche distinzioni, e quindi sarebbe ciò che è, soltanto essere.
Quando voi affermate: “Se muore l’io, muore la mente”, dite una parziale verità, perché la vostra mente sta al di là dell’io, sta oltre l’io, cioè sta nell’essenza stessa con cui voi definite il relativo. Se voi togliete la vostra mente, ma c’è comunque un’altra mente (se continuiamo ad applicare il paradigma duale, ndr) che osserva, che classifica e che divide, il relativo esiste e quindi per far scomparire il relativo bisogna che scompaia ogni mente. Se però scompare ogni mente (mente e paradigma, ndr)non c’è nulla di cui parlare.
E se scompare ogni mente, anche la mente che definisce ciò che è mente e ciò che non è mente, allora a cosa serve tutto questo discorso che noi facciamo, cioè a cosa serve la distinzione tra essere e divenire o tra Assoluto e relativo se basta togliere tutte le menti per definire che non c’è nulla da definire e che tutto è?
- Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
- Le basi del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Badate bene, ho detto che tutto è, però il tutto è non è quello che voi definite con la vostra mente, ma è ciò che sta al di là di ogni definizione, di ogni articolazione, di ogni divisione, di ogni opposizione o di ogni specificazione: il tutto è non si potrebbe neppure pronunciare.
Nel momento in cui lo pronunciate è già un qualcosa, pur tuttavia noi dobbiamo pronunciare “tutto è“, altrimenti non potremmo parlare a voi. Però, in questo pronunciare, c’è già la radice della mente, e tutto ciò che vi si dice porta questa radice, perché l’essere non-mente è soltanto tacere. Ma qui con voi c’è bisogno di parlare, c’è bisogno di esprimere, c’è bisogno di dire, c’è bisogno di suggerire, e questa è la condanna di chi vuole trasformare l’essere in parole e quindi ridurlo al relativo.
E allora, se la vostra mente è necessaria alla definizione del relativo, se la vostra mente è necessaria alla divisione tra relativo e Assoluto, se la vostra mente definisce tutto quello che vi sto dicendo, che cos’è la non-mente, se non silenzio?
Ma allora dire che colui che voi definite un illuminato deve parlare significa soltanto che parla ma tace: tace nella mente e si esprime attraverso parole che sono sempre approssimazione. E quindi ogni volta che voi usate la vostra mente anche per risponderci, fate un passo in più o un passo in meno nell’approssimazione, ma la vera radice di ogni fusione con l’Uno sta nell’essere al di fuori di ogni definizione. E questo non lo si raggiunge con la propria mente, ma con la facoltà che è la non-mente e che noi dichiariamo indissolubilmente legata alla sparizione di ogni definizione. Fonte
Concordo col commento di Nati.
La mente serve per portarci a comprendere il ciò che è e tutte le comprensioni che lo precedono.
Una volta svolto questo compito si avverte che diventa obsoleta e si ha solo necessità di farla tacere e stare nel silenzio.
Concordo con i commenti precedenti.
Concordo con quanto scritto da Natascia. La mente serve per traghettarci alla non-mente, ma poi va abbandonata. O meglio non possiamo usare la mente per comprendere a pieno il ciò che è. Il ciò che è va colto in modo unitario nel farsi dell’azione, in cui assecondiamo una spinta e dove i corpi sono tutti egualmente coinvolti e la consapevolezza della coscienza abbraccia la scena.
Lì scompariamo come soggetti e come menti ed emerge il cio-che-è: indefinibile ma esperibile nell’azione-dono.
La mente, con tutte le sue potenzialita’ ed I suoi limiti, è necessaria per farci avvicinare alla comprensione del Ciò che È.
Credo che la questione non si possa sviscerare fino in fondo per arrivare ad una totale comprensione.
Ad un certo punto c’è l’affidarsi, sorretto dalla fede e, proprio perché indefinibile, è l’ubbidienza ad una spinta che sorge, ma a cui non riusciamo dare un nome se non relativo ed imperfetto.