Voto e pentimento, ‘me originario’ e ‘io’ [Antai-ji11]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
[…] Fintantoché siamo vivi, che ci pensiamo oppure no, siamo il me originario ma, nello stesso tempo, abbiamo il karma di produrre molteplici illusioni, ed è un fatto reale che non ci possiamo separare dall’idea che abbiamo di noi come io che esiste di per sé, come ente autonomo.

Dunque possiamo dire che un essere umano si trova nella relazione bilanciata fra idea di sé e me originario.

Da questo punto di vista il cosiddetto me originario esiste come direzione verso cui dirigersi, per cui questo orientamento lo chiamiamo il voto, formulato come i quattro voti del bodhisattva. “Faccio il voto di salvare gli infiniti esseri viventi”: significa trovare stabilità e pace nella condizione in cui la vita è, stabilmente, vita che tutto pervade.

Faccio voto di recidere le inesauribili passioni”: significa non farsi rimescolare e trascinare da apparenze irreali. Ma la mente umana non smette di produrre illusioni, ecco allora il “voto di apprendere gli innumerevoli ingressi al dharma” per conoscerli direttamente.

Faccio voto di divenire l’inattingibile Via di Buddha” significa trovar stabilità nel luogo della stabilità. In sintesi, il voto di indirizzarmi verso il luogo della stabilità, dove il me originario trova stabilità.

Nel Daijō kishinron giki è scritto: “Ritornando alla vera mente dell’essere vivente, insegna così da sé agli esseri viventi. Questo è il voto di Buddha”. Il voto di Buddha è che ogni essere vivente insegni a se stesso a tornare alla vera mente degli esseri viventi. Il voto non consiste in qualche cosa di speciale pensato dentro di sé e proiettato all’esterno. La vera mente degli esseri viventi, il me originario, è il voto.

Ma se al contrario guardiamo a noi stessi dal me originario, ci rendiamo conto che in verità le cose dovrebbero essere in un certo modo, ma in  effetti ciò non si realizza. Siamo incastrati mani e piedi dalle manette del karma, e non possiamo in alcun modo realizzare il me originario.

Proprio in questo limite c’è l’aspetto del pentimento, e non può non esserci.
Voto e pentimento devono emergere naturalmente dall’incontro relazionale del me originario e dell’io che penso di essere, alla mia idea di io convenzionale. Se si fa un discorso unilaterale e parziale, che non tiene conto di entrambe gli aspetti, si è senz’altro in errore.

Allora, mentre mi pento, il voto aumenta il suo ardore in modo fervente. Noi, persone di zazen, dobbiamo assolutamente avere i due poli del voto e del pentimento. La pratica del voto e la pratica del pentimento sono le nostre due pratiche. Fonte

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5 commenti su “Voto e pentimento, ‘me originario’ e ‘io’ [Antai-ji11]”

  1. Siamo limite e dal riconoscimento del limite (pentimento) noi possiamo accedere all’Essere (me originario).

    Questa è la nostra “doppia” natura di esseri umani, per cui non possiamo dire poter mai realizzare la “natura originaria” come punto di arrivo definitivo. Per noi la “natura originaria” si dà sempre come processo, come infinito gesto di ritorno al presente, nella pratica della disconnessione di ciò che la mente, inevitabilmente, è portata a costruire.

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