Guadagno è illusione, perdita è risveglio [Antai-ji7]

Kōshō Uchiyama rōshiDiscorso d’addio ad Antai-ji.
Zazen deve operare concretamente nella nostra vita quotidiana: dobbiamo mettere in pratica il motto: “guadagno è illusione, perdita è risveglio”, attuare due pratiche (la pratica del voto e la pratica del pentimento) e perseguire tre atteggiamenti mentali (una mente lieta, amorevole, magnanima).

C’è chi pensa che una volta assunta la posizione di zazen, poi tutto vada bene. Anche chi pratica yoga si siede come in zazen. Anche i non buddisti lo fanno. Anche i seguaci delle nuove religioni, o quelli del sud-est asiatico*[…] fanno qualcosa di simile allo zazen. […] Ci sono insomma tanti modi di sedere che, pur essendo nella forma simili al nostro, sono diversi nella sostanza.

Questa differenza gli stranieri, vale a dire i non giapponesi, attualmente non la colgono. Pensano che il nostro zazen, lo yoga, la meditazione del buddismo del Sud-est asiatico siano tutti eguali. Ed è per questo che io scrivo dei testi per far conoscere il vero zazen agli stranieri, e ce la metto tutta nel farlo.

Qui prima di tutto è importante sapere che “guadagno è illusione, perdita è risveglio”. Dal punto di vista dell’umana natura e del sentire comune c’è sempre qualcosa che manca, un’insoddisfazione latente, che porta a pensare che le cose andrebbero bene se potessi trovar soddisfazione.

Ma nel buddhadharma non funziona così, qui invece è importante proprio l’insoddisfazione. Il passo successivo al senso d’insoddisfazione è rendersi conto che “guadagno è illusione, perdita è risveglio”. Perdere assertivamente.

Allora, visto che conviene perdere, devo forse cercare di convincere la gente a dar via i propri soldi, per il suo stesso bene? E poi magari raccoglierli io, per il bene del dharma, ovviamente? Niente del genere. La cosa va applicata a se stessi, e dunque “guadagno è illusione, perdita è risveglio” vuol dire che sono io per primo a sborsare. Fattivamente per “distruggere l’io” non c’è nulla di più concreto. Tirar fuori effettivamente i propri ‘soldi’ di getto, questo è  il primo gesto per distruggere l’io.

Riguardo a questo punto, penso si debba riflettere distinguendo chiaramente fra quello che siamo convinti sia “io”, come entità identitaria a se stante, e quello che sono davvero, “me originario”.

Noi prendiamo sempre in considerazione solo la nostra idea di ‘io’, ma nel momento in cui la smascheriamo appare il ‘me originario’.
L’io che pensiamo di essere e che ci sia, è in altre parole l’io della coscienza condizionata e condizionante, cui manca sempre qualcosa, che è sempre in cerca di qualcosa.

I viventi umani sono dotati fin dalla nascita di un cervello dove si formano immagini fantasmatiche e hanno il destino, il karma di essere immersi in quelle apparenze. Ma se pensiamo che questo sia il vero io, commettiamo un grande sbaglio.
Ciò che importa è quel che c’è quando strappiamo via questo ‘io’, ossia nel momento in cui la mano del pensiero è aperta: qui c’è il ‘me originario’. Fonte

* S’intende parlare qui del buddismo delle origini o della foresta, rappresentato oggi dalla tradizione Theravāda, diffuso soprattutto nel Sud-est asiatico.

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5 commenti su “Guadagno è illusione, perdita è risveglio [Antai-ji7]”

  1. “Guadagno è illusione, perdita è risveglio”. Una espressione molto efficace che, a mio modo di vedere, esprime un’esperienza fondamentale della pratica: il logoramento. Non c’è vera pratica se non si dà una certa dose di logoramento dell’io, questo almeno nella mia ancora breve esperienza.
    Il logoramento di cui parlo è proprio “perdita è risveglio”.

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  2. Credo che l’’idea che “guadagno è illusione, perdita è risveglio” sia un paradosso per la mente, sia una strada da creare con l’allenamento e la pratica. Come dice Natascia, il sedere in zz è l’allenamento perché è l’idea del perdere tempo, perdere occasioni, perdere pensieri, perdere utilità di varia natura. Perdere è anche lasciare andare il desiderio di vincere e di avere ragione: guadagni illusori. E’ lasciare andare pezzi di “ingombro” che -però- la mia identità calamita a sé come necessari e ovvi.

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  3. La pratica dello zz è quella che più ci fa esperire la concezione del perdere: perdo tempo, perdo stimoli, perdo perchè non posso dedicarmi a qualcosa di utile, fattivo.
    Sperimentando quel perdere, giorno dopo giorno si smantellano le sovrastrutture.
    Si alzano anche le resistenze, per questo sono importanti queste letture ed una guida.

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  4. Quando si siede in zazen e si apre la mano del pensiero, non c’è più un “chi” che pensa ma solo i pensieri che scorrono e il corpo che sta.
    In questo stare affiora quello che Uchiyama chiama il “me originario” ovvero l’essere che siamo e che ci costituisce.

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