Di ritorno dal mio primo intensivo del Sentiero contemplativo

L’approccio all’Intensivo del Sentiero contemplativo era per me un’incognita, avevo la mente piena di insegnamenti filosofici, di libri letti negli anni che avevano generato un sentire fatto di concetti e di convinzioni chiare, cristalline; senza sperimentazione alcuna.

Un insegnamento trasferito tramite disincarnati che parlavano tramite strumenti, insegnamento sul quale la mia mente aveva creato un mondo tutto in alto, proiettato verso il mondo akasico: avevo sempre lo sguardo all’insù.

Una piramide rovesciata, dove operavano deduzione e astrazione. Nel mio percorso, il passaggio tramite la teoria era indispensabile, quello che ho capito passeggiando sul Sentiero è che la piramide deve appoggiare sulla base, deve radicarsi sulla terra.
Sul Sentiero le persone sperimentano la vita, quella di tutti i giorni, quella dei giorni feriali, quella vera e che ci serve per radicarci nel presente, nel qui e ora.

La vita è un percorso individuale al quale non ci possiamo sottrarre, tuttavia la vibrazione prima ci spinge verso l’unità: il Sentiero è un modo, una Via per accompagnare l’umano e il suo Sentire a sviluppare, percepire un sentire comune che rivela l’Unità. Ecco che sul Sentiero trovi umani che si interrogano, che si amano, che si correggono, che interagiscono guardando nella stessa direzione.

Le regole per camminare sul Sentiero sono poche e non serve scriverle, tuttavia vanno osservate, vissute, comprese. Anzi, le regole possono essere sintetizzate in una soltanto dalla quale si possono derivare le altre: la centralità si sposta dal singolo all’opera, all’insieme, alla relazione, alla condivisione, senza giudizio e sempre con lo sguardo volto all’Unità. 

All’interno del Sentiero si comprende la visione del suo conduttore, l’intento, il senso dell’opera che sfocia da un sentire più vasto al quale il conduttore stesso non può che sottostare.

Nella comprensione dell’opera si evince anche che la gioia della ferialità si conquista partendo proprio dalla ferialità, nella quale mettere in pratica quel processo meditativo che serve per diventare meditazione.

Meditare è fare spazio, togliere, disconnettere, disidentificarsi, essere se stessi senza veli, rompere quel meccanismo della mente che con i suoi inganni ci porta a costruire quotidianamente la nostra realtà.

Allenarci a disconnettere è l’unico modo affinché il processo di disconnessione diventi routinario.
Siete degli illusi se pensate che bastino pochi giorni di meditazione per diventare meditazione;
siete degli illusi se pensate che il processo disidentificativo nasca solo dalla volontà.

La volontà è condizione necessaria ma non sufficiente, occorre praticare, sperimentare, mettersi in gioco, ridere, piangere, avere dolore alle gambe, fissarsi sul cinguettio di un uccellino, vedere il muro sfocato, sbadigliare, sentirsi a disagio. Tutte sensazioni normali che appartengono allo spettro delle sensazioni umane.

Non esiste teoria senza pratica, non esiste abilità senza allenamento. Esiste l’arte che nasconde l’arte.

Tutto sembra facile, tuttavia non lo è affatto, si può essere colti dalla paura, da una profonda paura di perdere sé stessi.  E allora possono capitare momenti in cui il proprio Ego parla e tenta di convincerci a fuggire dall’Unità, inviandoci messaggi affascinanti, riportandoci alla nostra centralità. E noi siamo come Ulisse e cerchiamo di resistere al canto delle sirene, con la differenza che non siamo legati all’albero maestro della nave; siamo legati dal nostro Ego.

Sta a noi riportare il nostro Sentire sull’Unità, sta a noi fare quello sforzo; sta a noi capire che questo è lo sforzo di tutta la vita umana, abbandonare la centralità, cercare l’Unità.

Questo il mio compreso del Sentiero fino a oggi…

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10 commenti su “Di ritorno dal mio primo intensivo del Sentiero contemplativo”

  1. Condivido quanto scritto da Natascia e Anna. Emergono nelle tue parole una vicina immediata al cuore di ciò che è il Sentiero. Una consananza di sentire che prelude ed è la condizione per una comunione di sentire.

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  2. Ciò che scrivi denota un sentire che ha permesso l’inserimento nel sentiero senza produrre destabilizzazione.
    Non solo, è sorta la naturale sensazione che ne fossi una veterana componente
    Questo ho sentito e per questo sorge gratitudine

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  3. Mi sorprende con quanta naturalezza e in poco tempo, tu sia entrata in connessione col Sentiero.
    Eri pronta tu ed anche pronto l’organismo ad accoglierti.
    Non può che sorgere gratitudine.

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  4. “sul quale la mia mente aveva creato un mondo tutto in alto, proiettato verso il mondo akasico: avevo sempre lo sguardo all’insù.”
    Conosco piuttosto bene questa dimensione, per evitare di cadere in questa sorta di trappola, ho adottato una strategia che forse ti può tornare utile.
    Ribalto il punto di vista verso l’infinitamente piccolo e li ricerco il piano akasico
    le trame di una foglia in controluce
    le zampe di una mosca
    una goccia d’acqua sospesa ud un filo
    Posso anche spingermi fino allo spazio interatomico!
    può diventare una trappola diversa ma mi crea un radicamento quasi immediato

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