L’unica via di uscita reale: il silenzio di sé (Appunti)

Di seguito il commento di Leonardo al post: La necessità di uscire dall’assurda logica di assoluto e relativo (Appunti). Lo pubblico come post affinché abbia il giusto risalto.

Il problema sta nel considerare l’Assoluto come un massimo di cui il resto a confronto è parziale, non completo, appunto relativo.

Questo succede, per esempio quando dico: “questo oggetto è più grande di quello”.
Che si significa “più grande”, “più piccolo”?
Sono delle categorie, è un giudizio, formulato dal soggetto.
È il soggetto che ha la “capacità” di mettere in relazione (parametrare, ndr) e dunque formulare dei giudizi: “questo è più grande di quello”, non sono certo proprietà degli oggetti stessi, ma relazioni stabilite dal soggetto.

Finché c’è soggetto c’è possibilità di giudizio e, dunque, dualità.

Ma attenzione, anche questa affermazione nasconde un dualismo che riposa sull’illusione del tempo. Ancora in quella affermazione stiamo dando sostanza al tempo perché ammettiamo un “prima” con soggetto e dualità e un “dopo” senza soggetto e senza dualità.
Ma se il tempo è un’illusione, come fa a esistere un “prima” e un “dopo”?
Ancora affidiamo l’uscita dall’illusione a ciò di cui dovremmo disilluderci: il tempo.
C’è una contraddizione insanabile.

  • Dunque, è sbagliato dire che ci attendono “n” vite per uscire dalla ruota dell’incarnazione.
  • Dunque, è sbagliato dire che io sono stato quella forma incarnativa e poi sono questa forma incarnativa.
  • È sbagliato dire io sono un certo grado relativo di sentire di contro a un grado assoluto di sentire.
  • Tutto si dà nella contemporaneità del non-tempo.
  • Tutto si dà nella simultaneità a-centrica.

Che cosa ci insegna lo Zazen? Il silenzio dell’esperienza.
L’esperienza contemplativa dello zazen rende chiara l’inadeguatezza del linguaggio a “dire” la realtà.
Tale consapevolezza conduce al “silenzio della logica“, ovvero all’astensione dal tentativo d’imprigionare la Realtà nella logica.

Consapevolezza che vede quel tentativo come una pretesa identitaria di voler dominare il mondo possedendone gli alfabeti per definirlo.
Quando la coscienza avverte questa sottile pretesa, rigetta questo tentativo come ulteriore residuo d’identificazione. Il processo del rigettarla non è facile perché l’identità ne rimane fregata e ne è spaventata.
Cade il ruolo e l’identificazione con colui che “cerca e trova le parole giuste per nominare la Realtà”, e questo spaventa.

Credo che l’unica via di uscita reale sia il silenzio di sé, che lo zazen ce lo insegna in sommo grado.


Al Lettore.
I post di questa fase sono come il ferro incandescente sotto la mazza del fabbro: più il fabbro batte, più il ferro si modella. Chi scrive questi post non si cura della forma, ha l’urgenza di fissare ciò che sorge dall’intuizione e non si ferma per smussare e levigare, questo appartiene a una fase futura.

Dal 2021 le domande che cercherò d’indagare sono queste:
– cosa ci lega al divenire?
– cosa diviene la vita feriale quando è sentita unitariamente?
– come evolvono le relazioni?
– come si dispiega l’archetipo del monaco?


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9 commenti su “L’unica via di uscita reale: il silenzio di sé (Appunti)”

  1. Grazie! L’account funziona ancora.
    Non osavo inserirmi con un post vero e proprio, ma ho notato che il sistema non accetta come commento testi oltre una certa lunghezza. Mi adopererò comunque nel sintetizzare al meglio in modo da creare un’increspatura più lieve possibile a questo oceano di silenzio.

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  2. Ringrazio Leonardo e massimo per questa speculazione. Le argomentazioni sono molto articolate, ma ciò che è risuona to in me, perché frutto di esperienza, è quanto Leonardo afferma, citando a memoria ” se escludiamo gli altri piani, dal vivere il ciò che è, questo si snatura”
    Sono nella stagione in cui, questo centro di coscienza e di espressione predilige la quiete della mente e l’ affacciarsi del silenzio.

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  3. @Leonardo temo che tu abbia frainteso buona parte di quanto ho scritto. D’altra parte è difficile esprimere in poche parole una complessità che intende levigare archetipi transitori ben solidi.
    @monaco_anziano istruiscimi se è il caso, e come, di far giungere un mio contributo più esteso.
    Grazie a tutti

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  4. Leggo e fatico a comprendere con la mente tutti i vostri passaggi.
    Questo non crea turbamento. Riconosco la vostra capacità espressiva e logica appunto, ma questo non mi pone né più su, né più giù.
    Ne prima , ne dopo.
    Ognuno offra ciò che può, con la giusta intenzione. Li ci incontreremo.

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  5. Per Massimo.
    Intanto grazie per lo stimolo che mi hai dato.

    Alcune precisazioni.
    La logica ha un ruolo nel ciò-che-E’ ma non è preminente, tale per cui possa dominare la realtà. Per una ragione molto semplice: è una parte del tutto.
    La dimensione cognitiva è parte del Ciò-che-E’ e la parte non può “esaurire completamente” il Tutto.
    Ecco, credo che il giusto atteggiamento con la dimensione logica sia di un sano equilibrio che nasca dal riconoscere quello che il dominio logico può e non può fare.

    Può darci una “rappresentazione” della Realtà raffinata ed pedagogicamente efficace ma non può fornici una “conoscenza” diretta della realtà, al più “indicarcela”.

    “Essa evidenzia relazioni dalla natura unitaria e indivisa, che sono l’autentico Ciò-che-E’ benché a noi appaiano come interazioni fra oggetti separati”

    Quello che affermi qui riguardo alla logica poggia sull’assunto della corrispondenza tra pensiero ed Essere. Ovvero, ciò che il pensiero fa emerge corrisponde alla struttura dell’Essere, del Ciò-che-E’.
    Non sono d’accordo. Non c’è corrispondenza tra Ciò-che-E’ e dimensione logico-cognitiva. Il Ciò-che-E’ non è “solo” una struttura di relazioni logico-razionale ma è multidimensionale.

    Nel Ciò-che-E’, c’è contemporaneità di tutti “i piani dell’Essere”: fisico, astrale, mentale/logico, akasico, spirituale, ecc.
    Se fai emergere un piano, quello mentale, e lo usi per definire il Ciò-che-E’, quest’ultimo viene meno, si sottrae.
    Ripeto quello che ne esce è una rappresentazione, ma già siamo nel dualismo di soggetto pensante e contenuto del pensiero.

    La dimensione logica è “nel” Ciò-che-E’ ma non “è” il Ciò-che-E’.
    In definitiva, il Ciò-che-E’ può essere solo contemplato.

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  6. Questa analisi è raffinatissima e mi ha toccato con molta intensità. Tuttavia ritengo incompleta la conclusione, che esplicita un paradosso: se la logica non avesse un ruolo in sé, questo stesso post non sarebbe stato dispiegato.
    La logica non opera né nello spazio, né nel tempo. La logica opera con informazione, che non possiede né spazio né tempo. Essa evidenzia relazioni dalla natura unitaria e indivisa, che sono l’autentico ciò-che-è benché a noi appaiano come interazioni fra oggetti separati. Pertanto ritengo che non sia la logica a generare rumore, e a rompere il silenzio. Il tentativo stesso di escluderla rompe l’unità. Essa è forse definibile come uno “stato informazionale” che è implicitamente condiviso fra tutti gli esseri illusoriamente separati.

    Ringrazio l’esistenza di questo spazio di riflessione così profondo. Grazie Roberto e grazie Leonardo

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