Le comprensioni come processo

Formato Pdf per la stampa. C’è più di una ragione per cui negli ultimi tempi ho insistito sull’espressione “Centro di coscienza e d’espressione” (Kempis): tra le tante ragioni per cui l’ho fatto, ce n’è una che ha attinenza con una discussione che sta avvenendo in una chat interna del Sentiero e che riguarda il processo della comprensione con o senza consapevolezza.

Kempis (Cerchio Firenze 77) definisce l’umano un Centro di coscienza e d’espressione, non un Centro di Coscienza, consapevolezza ed espressione. Perché?
Perché l’umano è coscienza che si esprime: il fatto che il soggetto sia consapevole o meno, o in vario grado, nulla toglie al suo compito esistenziale e al processo di manifestazione e comprensione.

Il Cerchio Ifior ha coniato l’espressione: conoscenza, consapevolezza, comprensione, espressione che sintetizza il processo del vivere in generale, ma anche, nello specifico, all’interno di un paradigma, di una interpretazione di quel vivere.
Il processo della conoscenza-consapevolezza-comprensione è proprio di tutti, ma lo è in particolare per coloro che seguono una via interiore o spirituale.

La trasformazione del sentire avviene nell’umano anche in assenza di consapevolezza – e questo certamente può accadere nel corso delle prime vite – sebbene la consapevolezza sia un ingrediente fondamentale se non si vuole imparare e comprendere soltanto sbattendo, quindi provando sofferenza.

Secondo la mia comprensione, un grado di consapevolezza nell’umano esiste sempre, anche nelle prime incarnazioni e questo è dovuto alla conformazione dei corpi di cui esso è dotato.
Evolvendo, l’umano diviene sempre più consapevole e sempre più intenzionalmente usa la consapevolezza per discernere l’intenzione e l’azione.

Quindi credo che sia corretto parlare del cammino di trasformazione dell’umano, in generale, come caratterizzato dall’esperienza che produce conoscenza, dalla consapevolezza che genera discernimento e dalla conseguente comprensione che avviene a tempo debito, quando cioè tutti dati occorrenti al corpo akasico sono stati forniti.

La discussione interna alla chat del Sentiero di cui parlavo, si è soffermata a lungo sul tema della consapevolezza di una comprensione, di quando essa avviene: a mio parere la questione è mal posta.

Esercitare la consapevolezza significa vivere nel discernimento: perché possa esserci discernimento deve esserci presenza e non identificazione.
Se il soggetto non si vede – e non si vede quando è identificato – non è presente a ciò che sta vivendo e dunque non può nemmeno essere consapevole ed operare un discernimento, è in balia dei fatti, degli istinti, dei bisogni, ovvero dei meccanismi di base che lo costituiscono, e delle comprensioni e non comprensioni relative.

Mi si obbietterà che a volte c’è consapevolezza nell’identificazione: rispondo che se il soggetto vede l’identificazione questa non è già più tale, quindi in questi casi assistiamo, ad esempio, ad una forte espressione di sé ma che comunque viene colta, monitorata e dunque non possiamo parlare di identificazione in senso stretto.

La vita dell’umano si svolge in modo più o meno consapevole eppure, all’interno di una vita e nel corso delle vite, tutti gli umani cambiano, evolvono: per quanto ci sembri improbabile osservando alcuni di noi, così è.
Quel cambiamento, frutto delle comprensioni che via via sono state acquisite, ha avuto bisogno della consapevolezza, è dipeso da essa?

Fondamentalmente no, il cambiamento è avvenuto in virtù dell’esperienza e indipendentemente dal grado di consapevolezza esercitato.
Per comprendere questo dobbiamo aver chiaro il meccanismo che produce comprensione, e cosa sia la comprensione.

Nel nostro paradigma diciamo che la comprensione è l’ampliarsi di un certo grado del sentire di coscienza.
Diciamo anche che, allorché una comprensione si afferma, il corpo akasico completa alcune sue parti, o le allaccia, o le struttura. È così? Dubito, ma non posso approfondire qui.
[Quando parliamo di corpo akasico che evolve, stiamo semplicemente aderendo ad una interpretazione: è quella la Realtà? Non direi, è un modo di spiegarsi la Realtà.]

Premesso questo, possiamo affrontare il nostro tema: cosa sia una comprensione.

La risposta è semplice: lo svelarsi di un aspetto del sentire assoluto.
Lo svelarsi, il divenire palese, il vedere chiaro un aspetto del sentire assoluto il quale è oltre il tempo, dunque totalmente disponibile adesso, avendone la capacità di percezione.

Quindi, in realtà, non componiamo alcun puzzle, comprensione dopo comprensione, fino a strutturare completamente il corpo akasico, ma, viviamo in successione gradi diversi di accesso al sentire assoluto. E questo perché siamo nell’illusione del tempo e del divenire.

Questo aprirsi del nostro sguardo, questo vedere più in profondità l’Essere Assoluto, da cosa è preparato nel divenire?
Dall’esperienza.
Prima impari che il fuoco scotta, poi che è energia, infine che è simbolo di qualche processo cosmico, da ultimo che è Quel-che-è.
Sperimentando hai imparato.

Mentre sperimentavi eri consapevole dello sperimentare in atto?
In vario grado. All’inizio, quando hai scoperto le potenzialità del fuoco, eri solo contento di poter mangiare la carne cotta: avevi fame, accendevi il fuoco, cuocevi la carne, mangiavi a piena bocca.
Poi hai cominciato a divenire consapevole dei vari step e li hai ottimizzati attraverso il discernimento, infine hai compreso il modo ottimale di cuocere la carne, e dal quel punto in poi quel processo è andato in automatico e ti sei dedicato ad altro.

La comprensione è sopraggiunta in virtù dell’esperienza: la consapevolezza fa parte dell’esperienza, del suo modo di avvenire, di accadere.
La consapevolezza produce la facoltà di discernere, e il discernimento modula senza fine lo sperimentare: esperienza e consapevolezza di vario grado sono inscindibili, nell’evoluto come nell’inevoluto.

Quando sei stato finalmente capace di cuocere la carne per bene, non hai detto: ho compreso! Sapevi, semplicemente, cuocere la carne. Sapevi di saperlo fare.
Non hai detto di aver compreso, ma ti sei comportato come uno che ha compreso.
Se ti chiedevano: sai cuocere la carne? Rispondevi: certo!

È diverso fuor di metafora? Se mi confronto con il mio egoismo, di esperienza in esperienza non vedo come cambio? Lo vedo, ma posso farlo con naturalezza senza realizzare una immagine di me corrispondente e nuova.
Cambio nell’intenzione, nel pensiero, nell’azione ma non sviluppo l’immagine di me dell’altruista, vedo solo che la disposizione egoistica è stata trasformata.

In alcuni è così, manifestano un dato sentire naturalmente e non hanno chiara consapevolezza di quel che sono, perché non si confrontano, non si parametrano, a loro non interessa farlo.
Quindi le comprensioni avvengono, i comportamenti cambiano ma l’immagine di sé rimane vaga, la consapevolezza di sé come soggetto permane sfuocata.

Ma questo non significa che sono cambiati avvolti nella nube dell’inconsapevolezza: significa solo che esercitano una consapevolezza relativa al presente che vivono e sperimentano, e non si occupano di un upgrade della propria immagine di sé.

In altri non è così, il processo di comprensione sviluppa una consapevolezza di natura diversa in tutte le sue fasi, e quando una comprensione è maturata cambia anche l’interpretazione di sé.
Queste persone vedono i vari step del processo di comprensione che si dipanano, e sebbene non sappiano dire quando la comprensione sia matura, sanno però con una certa approssimazione che nella maturità si è addentrata.

Vivere consapevolmente facilita le comprensioni?
Abbiamo detto che la consapevolezza, in vario grado, è parte integrante dell’esperienza umana: dunque sì, la vita consapevolezza facilita le comprensioni allo stesso modo delle esperienze essendo le due inscindibili.
Di certo un maggior grado di consapevolezza implica un più lucido discernimento e quindi la possibilità di sperimentare facendosi meno male.

Le comprensioni come dono

Afferma Paolo il 12.4: “Nel processo di conoscenza consapevolezza e comprensione invece la linearità riguarda solo le prime due fasi. Posso decidere di conoscere ed impegnarmi ad essere consapevole di una specifica tematica, di tutte le implicazioni di cui ho la facoltà”.

“Ma la comprensione nasce comunque come un fiore nel deserto. Come l’esperienza di un salto in cui c’è una fase di sospensione, in cui non sai esattamente quando toccherai terra.
C’è una zona di Mistero, cui segue il click della comprensione. Se anche prima ci fosse stato un soggetto, la comprensione si sente che è
dono.
Si vive il paradosso che la strada preparata dalla conoscenza e consapevolezza è come se fosse ininfluente.

Dice Leonardo il 13.4: “Dunque, concordo con Paolo nel sostenere che la comprensione mette in campo un processo non lineare e che in ultima istanza la parola non aspetta a noi ma alla Coscienza. D’accordo anche nell’ammettere che esistono tante vie alla comprensione che corrispondono ad altrettante meccaniche. Altresì affermo che la comprensione non è necessariamente collegata alla conoscenza e alla consapevolezza, e che quindi possa accadere indipendentemente da queste ultime due.

Paolo introduce la nozione di dono: la comprensione, essendo totalmente fuori dal nostro dominio, giunge come dono.
Senza tirare in campo la questione che il dono presuppone un donatore, affrontata altrove, qui vorrei chiarire un aspetto che forse lo necessita: la comprensione è un processo, non un evento (in risposta a Paolo, Leonardo evidenzia questo aspetto).

Essendo un processo, avviene nel tempo e non è mai relativa ad un unico aspetto da comprendere, ma è sempre comprensione molteplice che riguarda certamente un dato aspetto, ma ne implica anche altri. Quando una comprensione è matura nel suo aspetto centrale, può non esserlo in quelli associati e quindi può continuare la ricerca di dati attraverso l’esperire. O possono essere maturati gli aspetti associati e non esserlo quello centrale.

Ora, se la comprensione è processo, possiamo dire che esistono molte comprensioni, in una sequenza che vale solo nel divenire: una collana che all’inizio ha solo il filo, poi una perla, poi un’altra e avanti fino ad essere completa.
Non sappiamo quando la sequenza termina perché non sappiamo in realtà quasi niente, o niente del tutto, di cosa accade nel corpo akasico, non avendo sensi adeguatamente formati ed essendo impediti nella percezione dallo schermo dei corpi transitori.

Sappiamo che, ad un certo punto, una certa esperienza viene da noi abbandonata; un certo comportamento, o certe intenzioni, vengono superate.
Evidentemente è venuta meno la spinta che generava quelle intenzioni e quei comportamenti, ed è accaduto perchè il fattore che generava quelle intenzioni è mutato, la coscienza ha avuto i dati che necessitava, ha ampliato un aspetto della sua consapevolezza del sentire assoluto che andava indagando e si ferma per proseguire in un’altra direzione.

Leonardo dice: “Concordo con Paolo nel sostenere che la comprensione mette in campo un processo non lineare e che in ultima istanza la parola non aspetta a noi ma alla Coscienza.
Qui introduce una dicotomia non reale: noi e la Coscienza.
In realtà il processo del comprendere riguarda l’insieme dell’essere: se viene superato un certo grado di egoismo, muta l’intenzione, il pensiero, il sentimento e l’azione di tutto l’essere in questione.

Nel mentre il processo del comprendere avviene, tutti i corpi e tutti i piani sono coinvolti, l’insieme unitario è coinvolto.
Il fatto che noi non si sia consapevoli di quando una comprensione giunga a maturità, non significa che questa provenga dall’Imponderabile, essa altro non è che la caduta di una limitazione, di un limite di consapevolezza che ci velava lo sguardo.

È come se il corpo akasico fosse una lente che guarda sui corpi superiori e che interfaccia la percezione particolare alla percezione unitaria: le comprensioni sono come piccoli colpi di pezzuola su quella lente, o, se preferite, come ombreggiature che si dissolvono.
Non c’è tanto un limite di struttura nel corpo akasico, esso è nel divenire niente altro che aspetto del dispiegarsi della consapevolezza dell’Uno: ora lascia filtrare il grado 10, ora il grado 20; cogliendo noi in successione i due gradi diciamo che il 10 precede il 20 e che il corpo akasico si è strutturato meglio e ora lascia vedere di più, ma è una interpretazione limitata al divenire.

In realtà, esiste un corpo akasico per il grado 10 e uno per il grado 20, ma il corpo akasico non evolve, la consapevolezza ora esprime l’uno, ora l’altro.
Quello che accade non è il mutare dei corpi, ma il dispiegarsi della consapevolezza dell’Uno che viene da noi percepita in successione mentre invece semplicemente È.
Ripeto quanto tante volte detto: esiste solo l’Uno, quindi quello che a noi sembra di percepire in realtà è solo un grado di quello che Lui è e sente di essere.
Noi siamo, nel divenire e solo nel divenire, un grado della consapevolezza dell’Assoluto.

Dice ancora Leonardo: ” Altresì affermo che la comprensione non è necessariamente collegata alla conoscenza e alla consapevolezza, e che quindi possa accadere indipendentemente da queste ultime due”.
Ho dei dubbi. Che la comprensione non segua a ruota la conoscenza e la consapevolezza è un dato di fatto: posso in una vita accumulare molti dati relativi ad un certo non compreso, ma non giungere a realizzare quella comprensione.
Nella vita successiva mi accadrà che raccoglierò ancora alcuni dati e subito mi giungerà quella comprensione, quasi miracolosamente: è il tema delle cosiddette illuminazioni.

In realtà quel che è accaduto è semplice: il processo di una comprensione ha attraversato due vite e quando è giunto a maturità ha avuto un forte riflesso su corpi transitori, ma non c’è stato nessun miracolo, né alcun dono, si è semplicemente concluso un processo tra i tanti.
Mi sembra quindi di poter dire che le comprensioni giungono solo in virtù delle esperienze: questa è la ragione delle incarnazioni e così è organizzato questo cosmo in cui, se non c’è esperienza nel piano più denso dei sette, non c’è trasformazione della consapevolezza unitaria.

Una raccomandazione se volete commentare qui (ma vale anche per altrove): siate sintetici, non prolissi come me.


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11 commenti su “Le comprensioni come processo”

  1. Mi colpisce in particolare come l’esperienza alla fine è la base per la comprensione…diventa punto di partenza e anche di arrivo (inteso come verifica) dei processi

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  2. Molto importante questo testo. Mi si chiariscono alcuni concetti: la comprensione e’ frutto di un processo, dell’esperienza, per dirne uno.
    Poi tanti altri necessitano di approfondimento. Da rileggere. Grazie.

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  3. Testo non prolisso , perché ogni concetto non poteva essere sintetizzato meglio, ma molto complesso e da digerire con la dovuta calma .

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