Sublimazione delle energie e incarnazione dell’esperienza di Dio

Prendo lo spunto dal commento di Paolo al post La sessualità è vibrazione, la genitalità un suo effetto.
Paolo chiede: Puoi focalizzare la differenza fra lasciare circolare le energie e la loro sublimazione? Gli risponde Gianfranco.

Ho una mia idea in proposito e qui la espongo brevemente.
“Sublimazione: nel linguaggio psicanalitico, trasformare i propri impulsi istintuali, soprattutto sessuali, rivolgendoli a fini più elevati.” Fonte: Treccani

Sublimare riconduce all’idea di portare in alto: qualcosa che ha una natura che si ritiene, evidentemente, non adeguata, opportuna, appropriata e che si desidera divenga altro, più appropriato ad uno stato più elevato, od evoluto.

È un termine che non amo, e con il termine non amo nemmeno la pratica.
La questione è, a mio parere, mal posta.

È l’umano che si innalza, che sublima sue forze e disposizioni, o è il Divino che dilaga nell’umano fino ad annullare ogni differenza tra il Creatore e la creatura, superando la stessa nozione di Creatore e di creatura?

In sé, Creatore e creatura non sono due, tali appaiono alla creatura, e solo ad essa.
Il Creatore sente tutte le creature come Sé-non-altro-da-Sé.
La creatura diviene, nelle logiche del divenire, progressivamente consapevole della sua natura autentica: essere non separato, non altro dal Creatore.
La consapevolezza della creatura si dischiude alla realtà originaria, viene permeata, impregnata di quella realtà/consapevolezza primaria ed archetipa: siamo Uno, mai divenuti due.

Allora, è la creatura che va verso il Creatore, o è il Creatore che si rivela alla consapevolezza della Creatura?
La creatura si innalza fino al Creatore?
Ma la creatura è già non altro dal Creatore, solo che non ne è consapevole: dunque non si innalza, semmai diviene consapevole.
Il Creatore pervade la creatura con la Sua evidenza, con la Sua esistenza, con la Sua pervadenza che informa ogni senso, ogni aspetto della creatura: questo è il divenire consapevoli, l’aprire gli occhi su qualcosa che esiste, che è già.

La consapevolezza del Creatore come origine, non è una conquista, semmai è il frutto di una resa, di un veder cadere le barriere.
Non posso dire: sono divenuto consapevole di Dio!
Posso invece dire: sono cadute le barriere che mi impedivano di cogliere la natura di Dio che è me: la-consapevolezza-di-Dio-vive-me!

Non si tratta dunque di un cammino di ascesi, a cui la sublimazione sembra rimandare, che sembra evocare: è un processo di rivelazione di Dio.
Non è l’umano che va verso Dio, è Dio che si dischiude alla consapevolezza del’umano – che ha collaborato vedendo le sue barriere e resistenze – fino a farlo scomparire nella sua rilevanza specifica.

Tutta la mistica sembra andare in alto, ma in realtà essa altro non è che l’opera del vuotare il secchio affinchè Dio lo riempia.

L’umano, conoscendo se stesso, vuota il secchio delle sue pretese e bisogni: così facendo acquisisce nuova consapevolezza del creato e scopre di essere già il Dio incarnato ed immanente, vede manifestarsi quella natura man mano che la sua consapevolezza e comprensione si ampliano.

Più l’umano comprende, più scende, non sale: nel ventre dell’umano perde se stesso, non nell’apice dell’umano.
Non è il pensiero che ci spalanca la porta di Dio, ma la sensazione.
Naturalmente, anche il pensiero vivente apre la porta a Dio (si veda M.Scaligero), ma, appunto, il pensiero vivente depurato del suo involucro concettuale e divenuto tangibilità sensoriale nell’atto contemplativo.

L’umano in pace con se stesso, contempla la sua natura originaria, che è natura divina: Dio si svela alla sua percezione nel momento in cui egli non fugge più, non cerca più, non sublima più.

Non è l’umano che trova Dio, è Dio che diviene evidenza per l’umano attraverso l’esperienza: Egli scorre nel suo sangue e fluisce nel suo respiro e così facendo ne muta radicalmente la natura estraendolo dall’illusione del divenire.

Se proprio dobbiamo parlare di ascendere e discendere, e non mi piace farlo, non è l’umano che ascende a Dio, ma è Dio che discende nell’umano.
Se il secchio del’umano è vuoto di sé, allora Dio dilaga ed esiste solo Lui.

Allora, sublimiamo delle energie?
Oppure ci liberiamo dell’ingombro di noi affinché ciò che è da sempre sia nella sua completezza?
Questa seconda è la mia esperienza: non c’è in me nessuna particolare ascesi, né alcuna specifica sublimazione.
Mi sono limitato a pacificare me stesso e ad aprire senza fine la porta all’Imponderabile Essere.
Si può obiettare che quell’aprire la porta, quel vuotare il secchio è un operare ascetico: la mia intenzione non era andare verso Dio, era divenire trasparente a Dio, affinché Lui fosse.

Ho lavorato per togliere l’ombra che lo velava, non sono andato verso Lui, Lui già era, ho lavorato sull’illusione di essere io.

Superata l’illusione, Lui era lì, realtà tangibile.
Man mano che la coltre illusoria si rarefaceva, Lui appariva nella sua evidenza, come un paesaggio quando la nebbia si dirada.
Diremmo che noi siamo andati verso quel paesaggio?
Non è più naturale affermare che quel paesaggio si è rivelato una volta svanita la nebbia?

Ecco allora perché non mi piace il termine sublimazione..


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26 commenti su “Sublimazione delle energie e incarnazione dell’esperienza di Dio”

  1. È chiaro, non c’è salire, non c’è scendere, c’è l’essere dove tutto è racchiuso e in cui ogni quesito scompare perché tutte le risposte comprende.

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  2. Il lavoro di una vita che svela l’Essere. Sono profondamente grata del lavoro che stai facendo Robi e che sempre, è attento a togliere ogni fronzolo, ogni illusione che riporti al duale. Pericolo questo che è sempre in agguato, e solo uno sguardo attento come il tuo pone l’attenzione sugli aspetti più insidiosi e mi aiuta a dirigere lo sguardo senza crogiolarmi nell’illusione.

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  3. L’ umano in pace con se stesso contempla la sua natura originaria che è natura divina: Dio si rivela alla sua percezione nel momento in cui egli non fugge più. Questa frase vibra potente

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  4. “Man mano che la coltre illusoria si rarefaceva, Lui appariva nella sua evidenza, come un paesaggio quando la nebbia si dirada.
    Diremmo che noi siamo andati verso quel paesaggio?
    Non è più naturale affermare che quel paesaggio si è rivelato una volta svanita la nebbia?”

    Da lasciare che ogni respiro di questo post, espresso.perfettamente in questa domanda finale, inprinti ogni cellula.

    Ringrazio anche Roberta I per essere riuscita a raccogliere in parola il processo della sua meditazione.

    Riguardo al sublimare la sessualità.
    Sembra che io contraddica il post se affermo che, qualora la sessualità chiamasse, è necessario invece ‘scendere’ in essa e farne esperienza concreta per vederla nella sua importanza relativa o a volte inconsistenza.
    Ma è uno scendere che riferisco alla paura di vedere modificarsi una immagine di sé.
    Se osiamo accettare questa possibilità, questa umanità, non solo con il sesso ovviamente, allora il secchio si svuota e di qualcos’altro viene riempito.
    Forse all’inizio riempito non direttamente dall’esperienza dell’essere in modo così folgorante ma di certo verso un maggior fluire che ci rende meno imbalsamati, un po’ più autentici, più vivi.
    Più vulnerabili anche ma anche più inclini a onorare la vita, ciò che siamo chiamati a fare per questa possibilità

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    • Ad Alessandro
      “Scendere in essa”, la chiave è in questa espressione..
      Chi scende? Nell’esperienza unitaria c’è la celebrazione della vita e direi che non c’è né chi scende, né chi sale..
      Naturalmente noi sappiamo che l’identità è continuamente operante, ma può anche essere molto a margine e non introdurre granché di strumentale.
      La celebrazione della vita riguarda ogni aspetto, purtroppo l’umano mette su di un gradino il sesso, ma questo è un suo limite risaputo: celebriamo il camminare, lo scrivere, il cantare, il copulare, il riparare la gomma dell’auto, il medicarci una ferita, il sudore delle giornate di garbino, la gioia per qualcosa di donato o ricevuto..

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  5. …e non è nemmeno per incontrare, ma direi piuttosto che quella che viene percepita come tensione verso l’alto è l’effetto di una forza attrattiva che incontra una disponibilità, la disponibilità a lasciare che l’Essere sia.

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  6. Letto e meditato. Quando entro in meditazione, la sensazione che sopravviene in effetti non è quella di ascendere, ma di ricevere qualcosa (come definire questo qualcosa? Luce, energia, forza? Tutte queste cose insieme? e poi perché definirlo?) che investe e si propaga in tutto l’essere di cui ho coscienza. C’è, sì, una tensione verso l’alto, ma non è per ascendere, per salire verso il cielo o comunque verso qualcuno che sta in alto (se non c’è pretesa, chi vuole andare dove?), ma per accogliere, per incontrare semmai qualcosa che scende, scende e si propaga. E più sincero e puro è l’abbandono di sé, con le sue tensioni, pensieri, paure, pretese, più si esprime un essere (o forse posso osare di dire l'”Essere”?) sotto forma di ciò che viene percepito come gioia, pace, silenzio, nel senso che non c’è qualcuno che prova gioia, ma le cellule diventano gioia, pace, silenzio. Così la meditazione mi aiuta a comprendere, per quanto mi è possibile, quello che tu dici in questo post, ben sapendo che c’è ancora altro che passa in maniera sottile e non necessariamente percepito a livello cosciente, come un seme che viene nutrito nel terreno fertile e diverrà visibile una volta germogliato ed emerso alla luce del sole.

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  7. “Ho lavorato per togliere l’ombra che lo velava, non sono andato verso Lui, Lui già era, ho lavorato sull’illusione di essere io”.

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  8. …e con la scelta di lasciare il lavoro, che ha richiesto un periodo duro e di profonda visione dei moti interiori, quelle sensazioni sono riemerse.

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  9. Per me parole estremamente significanti, una sensazione sempre presente, tanti anni fa, quasi venti, dopo un lavoro faticoso ma profondo, feci un bellissimo sogno, dove fisicamente si era creato un enorme buco sul mio corpo che lasciava attraversare un vento dolcissimo ma forte, la sensazione più armonica e tangibile era di inconsistenza e trasparenza.

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  10. Togliere, salire, aggiugere, raggiugere… tutte parole che presuppongono un due. Quando guardi con una Visione unitaria non scissa cambia prospettiva e anche l’atto sessuale agito non assume tutte le caratteristiche proiettive che nell’immaginario collettivo gli attribuiamo.

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  11. I concetti sono molto chiari, richiedono un cambio di prospettiva radicale rispetto alla cultura dominante che ci ha permeati…..per secoli.

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  12. I concetti sono molto chiari, richiedono un cambio di prospettiva radicale rispetto alla cultura dominante che ci ha permeati…..per secoli.

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  13. Nell’ottica del togliere…sono pienamente concorde! E usando un gioco di parole affermerei che lo svelare e lo svelarsi è opera sublime!

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