Il dolore, la sua ragione, la funzione della preghiera

Già la coscienza umana – che pure è relativa – è unitaria. Ogni momento del sentire che origina gli esseri, è presente nella coscienza assoluta identicamente a come gli esseri lo sentono. Non potrebbe essere diversamente da così, dato che il sentire che origina gli esseri è lo stesso sentire contenuto nella coscienza assoluta.
Non è uno identico, è lo stesso.
Se tale sentire non esistesse nella coscienza as­soluta non esisterebbero né gli esseri, né la coscienza assolu­ta.
Dunque l’esistenza degli esseri appartiene all’esistenza di Dio e la ragione della loro esistenza risiede nella completezza, nell’assolutezza della Realtà divina.
Il sentire di coscienza che ciascun essere manifesta è un elemento costituente della coscienza assoluta, dove esiste in un eterno presente, al di là dell’illusorio manifestarsi in successione temporale.
Ciascun sen­tire è un momento, un elemento dell’essere relativo, come ciascun essere è un elemento dell’organico Essere assoluto.
Questa concezione della Realtà esistente, rendendo parteci­pe della Divinità tutto quanto esiste, spiega come niente e nessuno possa essere considerato reietto, escluso, perduto. Kempis, Cerchio Firenze 77, La fonte preziosa, ed. Mediterranee, pag. 236.
Viene una stagione in cui quanto Kempis afferma è un’evidenza fondata sull’esperienza.
Passano tante stagioni in cui così non è e l’umano procede a tentoni, inciampa, cade e fatica: voglio riflettere su questo faticare ed ho in mente una sorella nel cammino mentre scrivo.
L’origine della fatica è nell’identificazione e questa è figlia del non conosciuto abbastanza, del non portato a sufficiente consapevolezza, del non compreso fino in fondo: dunque l’identificazione è figlia dell’umano, processo intrinseco all’incarnazione e che, in vario grado, ci riguarda tutti.
L’identificazione con il dolore:
1- non se ne esce, se non se ne vede e conosce l’origine;
2- non si supera, se non si depotenzia la vibrazione pervasiva che ci invade;
3- non si depotenzia la vibrazione, se non la si disconnette e la si rompe.
Visto il dolore e la sua origine, bisogna vedere come ci invade e devasta ed è necessaria una ribellione radicale, un rifiuto di quello stare che attivi una forte capacità di disconnettere il pensiero e l’emozione da quello stato.
Rompere uno stato è possibile se:
– si è passati attraverso gli stadi sopra indicati,
– se si è capaci di tornare a quella visione di sé di cui Kempis parla.
Mi si osserverà che nel dolore quella visione si perde: certo che si perde, ma mai bisogna dimenticare che il naufragio sulle spiagge della desolazione coinvolge solo pochi aspetti di noi e che il restante nostro ampio essere è saldamente ancorato all’unità dell’Essere-Uno.
Nel buio bisogna avere la capacità di appellarsi alla propria Radice, alla Sorgente, a ciò che ci crea, ci origina, ci giustifica.
Idioti, mi verrebbe da dire, ci affoghiamo in un bicchiere d’acqua!
Vediamo la pozzanghera e non la terra che è subito oltre e sulla quale potremmo appoggiare i piedi.
Un mezzo utile per uscire dalla pozzanghera, oltre a tutto quello che ho prima indicato, è la preghiera: l’essere dolorante vede la propria condizione e si appella alla vastità di sé perché lo sostenga, lo corrobori, lo accompagni oltre il bagnato.
Noi non siamo il dolore e il dolore non è noi: è mezzo e strumento di comprensione ma, ad un certo punto, può cessare di accompagnarci se solo noi entriamo nella sfera intima del pregare:
Tu mi vedi nel mio dolore sordo,
sono stanco, lacerato,
separato da Te e dalla vita che mi doni.

Aiutami,
dammi la forza,
sostienimi
nell’andare oltre,
nel superare l’identificazione,

nell’uscire dalla mente che mi imprigiona,
dall’emozione che mi soffoca,
da questo stato di non-vita
nel quale sono precipitato.
Tu sei me e niente io sono senza di Te,
in questo momento mi sembra di averti perduto,
mi sono perduto,
se non Ti vedo non sono,
se non ti sento non esisto,

aiutami a ritrovarmi,
sorreggimi nel palmo della tua mano,
portami oltre il piccolo limite della mia consapevolezza.
Tu sei la mia luce,
la mia radice,
la linfa che scorre in me,
aiutami a tornare a vivere,
a tornare a Te, in Te.


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15 commenti su “Il dolore, la sua ragione, la funzione della preghiera”

  1. La preghiera è bellissima, grazie. Quante volte ho sentito l’esigenza di pregare, ma mi scontravo con la difficoltà di trovare le parole coerenti con ciò che sentivo. Grazie. Dici che è importante scoprire l’origine del dolore, cosa non facile. So che è causata dall’identificazione, ma ciò non è sufficiente per trovare il percorso che porta alla comprensione. Mi impegno a trovare soluzioni pratiche e contemporaneamente guardo il processo di identificazione. Mano a mano il coinvolgimento emotivo si attenua, ma arrivare alla compassione non è scontato. L’asino raglia, scalcia e si ribella. La strada è lunga, anche la fiducia è tanta. non sono sola e tutto ha senso.

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  2. Quindi se dietro la natura del dolore c’è sempre la questione identitaria, direi che non c’è altro da aggiungere alla domanda che ho posto nella sezione “domande per OE del 2 settembre”. Grazie per questo post.

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  3. Grazie Roberto! Ho consapevolezza che quello che più mi addolora non è il dolore in sè, o il fatto che lo ha generato, ma quello che più soffro è il senso di separazione dato da una forte identificazione…

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  4. “La persona che sa che mai è stata altra da Uno, dialoga con Se stessa.
    La persona smarrita, cerca Se stessa dentro Se stessa.”. Scusa Roberto non è chiaro dove finisce l’una e inizia l’altro…grazie

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  5. Grazie Roby!
    Questa preghiera esprime profondamente, in maniera davvero esaustiva lo stato di cui si parlava stamattina in chat….
    ma una domanda che riguarda il punto uno, dove viene affermato che il primo presupposto alla disidentificazione dal dolore e’ conoscerne l’origine…
    Come facciamo a essere certi di conoscere l’origine del nostro malessere ?Certamente con il percorso di conoscenza di se’…ma il problema si pone quando il dubbio di non avere completato il percorso continua ad affiorare…che ci sia ancora qualcosa di inesplorato che appesantisca il fardello..o e’ sempre la mente che continua a fare i suoi ricami magari per sgravare l’ ego dalla responsabilità?

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    • La realtà nostra come di tutti, non è fatta per rimanere nascosta e dunque anche l’origine del dolore può essere indagata e svelata senza dover scendere in chissà quali meandri.
      Ciò non toglie che, a volte, facciamo di tutto pur di fuggire dall’evidente e allora l’aiuto di qualcuno ci tornerà utile.
      Il principio di fondo è che la vita non gioca né a dadi, né a nascondino, dunque basta la buona intenzione e quando questa proprio non basta chiediamo aiuto.

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  6. Grazie Roberto per il post “di aiuto” scritto subito dopo le nostre dichiarazioni ma vorrei chiarire una cosa.
    Nel post tu dici che noi non siamo dolore e che questo è solo uno strumento di comprensione. Quindi una volta compreso il dolore cesserà.
    Perché dunque, devo pregare?
    Se quello che devo sperimentare è l’unità, perché devo rientrare nella logica del io/Tu?
    E’ una cosa che non mi viene naturale, mi sembra di ritornare al vecchio vissuto cattolico dove ti sentivi o credevi di sentirti sollevato dopo aver pregato un Dio fuori da me.

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    • Se posso darti un consiglio, rileggi attentamente il post e pian piano ti si dischiuderà il suo senso..
      L’io/Tu della preghiera di cui parlo è, evidentemente, una dinamica comunicativa tutta interna all’Uno, per questo ho messo la premessa di Kempis.
      Tratterò comunque questo tema in un post specifico in modo da essere più chiaro..

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  7. Questa preghiera è come una potente lampada: indispensabile da accendere quando ti trovi al buio. Quando invece sei in pieno giorno è inutile: Tu, io… espressioni inadeguate a descrivere la realtà. Sarebbe però da stolti lasciare da parte la lampada in pieno giorno. Meglio custodirla gelosamente nella cassetta degli attrezzi: il buio può attenderci dietro l’angolo.

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    • Come dico nella risposta ad Antonella, l’io/Tu di cui parlo è una dinamica interna all’Uno, se vuoi il divenire nell’essere, non il divenire separato dall’essere.
      Allora, anche nei giorni di sole, si può giocare il gioco dell’io/Tu in quanto si ha chiaro di cosa si parla e quale è la dimensione e collocazione di quella relazione.
      La persona che sa che mai è stata altra da Uno, dialoga con Se stessa.
      La persona smarrita, cerca Se stessa dentro Se stessa.
      Tratterò comunque questo tema in un post specifico..

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