Il perdersi e la natura della preghiera non duale

Prendo lo spunto da alcuni commenti al post Il dolore, la sua ragione, la funzione della preghiera per approfondire alcuni aspetti inerenti l’esperienza del pregare.
Premetto che, secondo la mia comprensione, esistono almeno due filoni d’esperienza distinti nella pratica della preghiera:
– la pratica che avviene nell’ambito duale, in una relazione dove esiste un io che interloquisce con un Tu considerato altro-da sé, il totalmente-altro;
– la pratica interna alla dimensione unitaria d’Essere, dove non c’è interlocuzione tra due soggetti ma confidenza, intimità, relazione interna ad un Unico Essere.

«Qual è la funzione della coscienza del sentire relativo, nella coscienza assoluta ». Rispondo che la coscienza assoluta è una nel senso di unica e unitaria, però  non nel senso di avente una sola qualità, anzi in questo senso è molteplice e poliedrica.  L’Uni­tà è realizzata con la comunione degli elementi, cioè in uno stato di esistenza in cui, per esempio, la vita che un uomo vive in successione è sentita simultaneamente nel non tempo, ossia in qualcosa che non ha né prima né dopo,  né perciò du­rata, ed è sentita simultaneamente alla vita di tutti gli esseri. Tutto questo non significa che la coscienza assoluta sia uno stato d’essere frazionario, di confusione, nel quale tutto si accavalli e confonda. Già la coscienza umana – che  pure è relativa – è unitaria.  Ogni momento del sentire che origina gli esseri, è presente nella coscienza assoluta identicamente a come gli esseri lo sentono. Non potrebbe essere diversamente da così, dato che il sentire che origina gli esseri è lo stesso sentire contenuto nella coscienza assoluta. Non è uno identico, è lo stesso. Kempis, CF77, La fonte preziosa, pag.235, Ed. Mediterranee.

Il testo è complesso e si presta a diversi livelli di lettura ma, nella sostanza, Kempis afferma che tutto quello che viene vissuto, in quanto sentito, è presente nel sentire assoluto, nella coscienza assoluta: non c’è per l’umano possibilità di essere all’infuori dell’Assoluto.
Ma questo l’umano può non saperlo e non averlo compreso e allora si comporta come se fosse altro dall’Assoluto e il suo rivolgersi ad Esso è in realtà un rivolgersi ad un Altro-da-sé.
L’umano che questo ha invece compreso, non solo capito, è ancora un umano e si serve, ad esempio, del linguaggio duale, ma ciò che vive, ciò che sente ha ben altra portata: non è l’uso del linguaggio duale che lo espunge dall’Uno, come non è la consapevolezza dei corpi che lo separa dall’Essere unitario.
D’altra parte, questo umano che ha compreso che tutto è Uno e nel suo quotidiano questo incarna per come gli è possibile, può perdersi, smarrirsi all’interno di qualche esperienza condizionata da aspetti del suo sentire non definiti, non sorretti da completa comprensione.
Nel momento in cui realizza di essersi perso, e non gli necessita certo del gran tempo per realizzarlo, inizia il processo di riunificazione che, in quanto processo, sottostà al tempo, al divenire, al duale.
Questo umano può ricorrere alla preghiera e sviluppare quella confidenza intima, quel dialogo intimo fittizio tra sé e Sé, dove l’iniziale maiuscola o minuscola è solo una convenzione semantica, in realtà quel flusso che chiamiamo preghiera è tutto interno alla coscienza assoluta perché, come abbiamo visto, nulla può essere esterno ad essa.
Questo umano lo sa, l’altro umano, quello del duale, no, ma entrambi, che lo sappiamo o meno, che lo abbiano compreso o meno, sono indissolubilmente interni all’Assoluto e il loro pregare altro non è che una dinamica intima all’Assoluto che è, per sua natura, oltre che eterno e immutabile, anche molteplice e poliedrico, come dice Kempis.
Ecco allora che nell’esperienza più intima e profonda di sé, nel momento in cui ci siamo persi, o in quello in cui siamo perfettamente in pace, il dialogo interiore, la preghiera può sorgere spontaneamente come richiesta d’aiuto o come lode, come ringraziamento, come celebrazione.
Questo accade se noi siamo scesi in maniera abbastanza profonda nell’intimo di noi, negli abissi di noi fino a trovarvi la piattaforma su cui tutto appoggia, e se non siamo condizionati dal nostro passato, da una visione che ci è stata inculcata e della quale ancora subiamo il condizionamento.
La nostra sfida è nel vedere questo condizionamento e nel non commettere l’errore capitale di non utilizzare tutti gli strumenti che il sentire ci offre perché la mente si oppone.
Il fatto stesso che di fronte a quell’io/Tu di cui parlavo nel post citato, si sia avvertito un qualche disagio, o la necessità di precisare, ci dice che il condizionamento opera nelle menti e che siamo entrati in un campo minato dove esse sono in allerta.
Ci dice anche che noi non abbiamo ancora sperimentato nelle sua pienezza la profondità e la stabilità di quella piattaforma su cui tutto appoggia perché, se l’avessimo fatto, conosceremmo l’Essere unitario e la sua natura, sapremmo che è e illusoriamente diviene, e non avremmo dubbi sulla possibilità di utilizzare nel suo intimo l’io/Tu sapendo che è solo finzione, gioco, espediente, mezzo.
Dietro al condizionamento che opera nelle nostre menti c’è una vena di vittimismo, ad esempio molti di noi pensano di essere vittima della formazione cattolica ricevuta: è un errore madornale.
Se la pialla dello stupidario cattolico ci è passata sopra, evidentemente avevamo necessità di quella piallatura, della ribellione che essa avrebbe provocato, soprattutto.
A partire da quella ribellione abbiamo potuto rifondare le nostre vite e ridefinire la sfera della ricerca interiore alla luce di un nuovo paradigma: dovremmo ringraziare quel condizionamento infantile così stupido, pervasivo e brutale che ci ha costretti a ribellarci fin nelle viscere conducendoci, iniziandoci alla libertà.
Potevano evitarcelo, dice la vittima. Povera.
Dimentichiamo che ciò che è accaduto era proprio per noi, scena perfetta per noi, accaduta per il nostro uso e consumo.
Ora abbiamo la possibilità di scendere nell’abisso e possiamo farlo utilizzando tutti gli strumenti che il sentire e la cultura ci mettono a disposizione: nel mentre lo facciamo, i condizionamenti si mostrano, bene, così potremo lavorarli.


Novità dal Sentiero contemplativo: se vuoi, iscriviti alla community

 

Print Friendly, PDF & Email

5 commenti su “Il perdersi e la natura della preghiera non duale”

  1. Quando due sentire differenti, di conseguenza due realtà differenti, si incontrano, e quell’incontro lo senti esistenziale, in questo caso vedo il dolore come un’esperienza a cui non puoi sfuggire, per questo credo che la conoscenza sia fondamentale per evitare parte del dolore.
    Grazie!

    Rispondi
  2. Difficile commentare questo post Roberto, ho scritto e cancellato diverse volte…suona tutto molto presuntuoso. Posso solo e come sempre ringraziarti.

    Rispondi
  3. Questa sferzata , ci riporta al senso profondo del vivere. Né vittima, né carnefice. Tutto è utile al nostro percorso di comprensione. Il dolore evidenzia il mio limite. Riportare la consapevolezza all’unitarietà. A volte non è facile. Ma se ci penso bene, non ho altra via.

    Rispondi

Lascia un commento