La rivoluzione dell’ordinario

Torno ancora sul come  e non sul quanto o sul cosa per approfondire gli argomenti trattati nel post I piccoli fatti e il nostro modo di viverli.
Quali sono le componenti del come stiamo nei fatti?
1- La consapevolezza;
2- l’adesione senza identificazione;
3- l’accoglienza senza condizione.
Considero la consapevolezza come lo sguardo dell’insieme dei corpi sul reale: ciò di cui siamo consapevoli si specchia/riflette/impressiona in ciascuno dei nostri corpi e le immagini, i pensieri, gli stati scorrono nello specchio dei corpi così come negli specchi delle nostre camere scorre l’immagine nostra mentre proviamo un vestito.
L’adesione senza identificazione è la capacità di essere vividamente presenti, di entrare nel calco della vita ben aderenti ad esso senza per questo esservi identificati.
Credete sia impossibile aderire e non essere identificati? Vi sbagliate: la vita ci chiede di esserci, di appassionarci, di lottare, di accogliere e di rifiutare e tutto questo lo possiamo vivere come atti pieni e compiuti eppure, simultaneamente, possiamo essere pienamente consapevoli che è pura illusione, che è scena che parla solo di noi, che è bene, opportuno e sacrosanto coprire tutto il vissuto con il manto del dubbio.
La persona che ha compreso la natura del reale e che ha deciso comunque di vivere l’officina dell’imparare, questo lo sa e sa attuarlo. O lo può imparare.
L’accoglienza senza condizione è il modo di stare di fronte a quello che viene: è la capacità di riconoscerlo come il determinante che ad ogni attimo si presenta e parla di noi, della vita, dell’essere e del non essere. Non si può stare a metà, nella tiepidezza, di fronte alla propria vita, non di certo quando si è compreso che il film che narra noi da altro non è prodotto che dal nostro sentire.
Se vi è chiaro questo, allora potete comprendere come non esistano fatti grandi o fatti piccoli, ma solo fatti che ci interpellano, o che semplicemente scorrono e che attivano il come in noi: sviluppiamo una modalità di partecipazione, di fruizione, di reazione, di interlocuzione diversa a seconda degli stati, della stanchezza o della prontezza, ma comunque sempre e in tutti casi si pone alla persona consapevole il problema della presenza, del come, e la risposta che darà avrà importanza determinante. 
I fatti della vita sono sempre ordinari e se qualcuno attende eventi mirabolanti è destinato alla disillusione: la capacità di riconoscere la natura esistenzialmente determinante di ogni fatto, ci mette nella condizione di non avere scarto nel nostro quotidiano, di discernere con lucidità, di sviluppare prontezza e presenza ad ogni respiro perché tutto quello che viene è vita che bussa e non esiste fatto di serie a, o b, o c, ogni fatto va colto nella sua singolarità, nel suo simbolismo, nel suo essere vita che pulsa.
Con un soggetto forte, non c’è come, si producono solo gradi diversi di identificazione.
È necessario un soggetto che si fa debole (non che è debole, questione annosa di cui ho parlato tante volte): vedo la soggettività che emerge e la lascio fluire, l’attimo dopo, o simultaneamente se preferite, la consapevolezza, l’adesione, l’accoglienza sono già lì e occupano l’intera scena.
Torno a casa dal lavoro e sono sfatto: mi attendono piccoli fatti e non li vedrò se inizio il rosario del lamento, mi accorgerò di loro solo se c’è accettazione piena di quel che è, solo se non attivo la protesta del soggetto e focalizzo invece l’attenzione sulle sensazioni dell’essere stanco.
Dalla protesta del soggetto che si fa forte attraverso essa, alla consapevolezza delle sensazioni possibile con un soggetto debole, questa è la chiave perché le sensazioni, immediatamente, catapultano la consapevolezza sul piano del sentire: sono stanco e risiedo nel sentire.
Il sentire non si coltiva solo quando si è nel pieno delle proprie forze: se siete avvezzi al ritorno a zero, potete coltivare l’adesione al sentire quando siete stanchi, frustrati, disorientati, abbattuti.
Si parte da un ventaglio di stati molto diversificato e si azzera, si resetta il sistema della vittima tornando a zero: li affiora il sentire e tutti gli stati si attenuano fino a scomparire.
Chi pratica questo da tempo sa che è così.
Il soggetto si eccita o perché si sente vittima, o perché è in qualche delirio: se vedete il suo gioco non gli date da mangiare, non è un problema di forze, di concentrazione, è una questione legata alla comprensione e alla disidentificazione profonda e radicale dai recitati di una identità.
Quando siamo stanchi, il paradigma del fregnone si riaffaccia e noi, poveri, ci auto compatiamo.
Se vediamo il gioco, entriamo tra le pieghe del come si vive ogni fatto, della possibilità infinita di modulare l’attenzione, la dedizione, l’accoglienza, la consapevolezza nei risvolti intimi di ciascun fatto: non mi dite che a volte non è possibile, non è vero. In vario grado, è sempre possibile.
Ora, concludendo: la più grande delle rivoluzioni riguarda la nostra capacità di:
– accogliere l’ordinario;
– scendere nel suo ventre;
– lasciarsi da esso attraversare senza la pretesa di guadagnare qualcosa.
Dalla gratuità dell’ordinario fiorirà ogni possibilità. OE25.5


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4 commenti su “La rivoluzione dell’ordinario”

  1. “Il sentire non si coltiva solo quando si è nel pieno delle proprie forze: se siete avvezzi al ritorno a zero, potete coltivare l’adesione al sentire quando siete stanchi, frustrati, disorientati, abbattuti.”….. in queste settimane in cui la stanchezza mentale ed un certo malessere associato mi stanno condizionando, è la possibilità di tornare a zero, di risiedere nella neutralità , che svela quel “paradigma del fregnone” di cui parli e che mi aiuta a vivere, anche se in modo discontinuo, questo stato con consapevolezza; ricordo gli anni in cui piuttosto vivevo pienamente l’identificazione con il malessere e con la stanchezza…… Si, è evidente, perché sperimentato e sperimentabile continuamente, che pian piano cambia il nostro modo di stare nei fatti.
    Grazie Roby

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  2. Grazie Roberto! ultimamente ho bisogno di leggere più volte i post, anche se sono poi argomenti già trattati e che sperimentiamo ogni giorno, eppure queste letture colpiscono l’ intimo . Forse ne sono più consapevole?

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    • Diventiamo più sensibili e più ricettivi, più attenti alle sfumature e ai dettagli, sia quando leggiamo, sia, soprattutto, quando viviamo.
      È come se ogni realtà riuscisse a compenetrarci meglio, come se scendesse più in profondità..

      Rispondi

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