Niente più dell’ordinario ci interroga e ci insegna

Come sapete, la lunga stagione dell’insegnamento attivo nel Sentiero è finita: ciò che rimane e permane nel tempo, è il lavoro sottile di un gruppo di persone attente al quotidiano e ai movimenti del loro interiore.
Da cosa è costituito l’ordinario quotidiano?
Da ciò che la nostra coscienza crea e che, in quei termini, è percepibile e sperimentabile solo da noi e sempre narra del compreso, del non compreso e dei dati di cui essa necessità per procedere nel compito di ampliare il sentire che la costituisce.
Quando è chiamato in causa il compreso, il nostro operare sarà facile e nella gratuità; quando è il non compreso che bussa, è probabile che vi sia un certo tasso di attrito, di fatica e di condizionamento generato dall’identificazione.
La persona non è mai pienamente consapevole della portata dell’ordinario che la impatta: provenendo da un passato in cui si interpretava come vittima, mai finisce di imparare, di considerare, di compenetrare il presente come possibilità e come specchio di sé.
Mai finisce di comprendere questo.
Quando la persona è sufficientemente concentrata e focalizzata sul proprio interiore e sulle scene che questo genera, allora scopre che quell’apparente sequenza di fatti conosciuti, è in realtà una miniera: essa ha a disposizione così tante sfumature, così tanti particolari, tanti dettagli che la svelano, che le raccontano di sé, che la mettono al muro o la consolano e incoraggiano.
Una persona ancora in formazione non riesce a fare questo con metodo e perseveranza: una persona formata si può fermare e può aguzzare gli occhi su quel che ha perché non è più protesa verso quel che vorrebbe.
Tra il volere, e l’arrendersi alla consapevolezza che quello che ci serve l’abbiamo già, c’è di mezzo un mondo: tutto ciò che ci serve è già davanti agli occhi, oggetto d’esperienza; lo vediamo? Lo consideriamo? Di esso ci compenetriamo?
Questa è una sfida immane: piegarsi all’evidenza che il necessario esistenziale non deve avvenire, sta già avvenendo.
Una persona che si misura con questo è fortemente interiorizzata: osserva, ascolta e tace. Impara dai fatti. Contempla.
Il suo orizzonte è adesso: ogni fatto (pensiero, emozione, azione) scorre come un fotogramma, è visto, considerato, analizzato, interiorizzato, lasciato andare a volte in un battito di ciglia, altre attraverso un processo.
Il lavoro di questi anni nel Sentiero è questo, ed è per operai che conoscono il mestiere e accettano di farlo fino in fondo.
Il nostro stesso stare insieme, OE, gli intensivi, non dipendono più da un animatore, da qualcuno che offre stimoli: sono affidati a quel che sorge attimo dopo attimo e dunque, essendo scene collettive, sono prodotte dal sentire e dalle menti di ciascuno dei partecipanti che da fruitori sono divenuti, e debbono sempre di più divenire, artefici.
Nella vita ordinaria, nel quotidiano feriale, la persona vive le scene che la coscienza le presenta: in un’officina, in un intensivo ma anche in fabbrica, in ufficio, a scuola la persona vive ciò che la sua e le altrui coscienze creano. Quanto è sbagliato, ad un certo punto, affidarsi ad un leader, ad un maestro? E quanto è essenziale essere in gioco, coscienza tra coscienze, persona tra persone e vivere quel che viene generato da queste relazioni così svelanti, rivelanti, provocanti il conosciuto e liberanti il potenziale?
La persona che è sola con se stessa e che sa che la propria realtà esistenziale è squisitamente soggettiva, accetta di buon grado ciò che la sua coscienza fa recitare agli altri attori che compaiono sulla scena: si spende con quegli attori sapendo che sta spendendo la sua vita, il suo compreso e non compreso.
Proprio perché è l’unica a percepire in quel modo la realtà, non ha possibilità di fuga: perché quell’attore, quell’attrice è lì? Cosa vuole, di cosa narra, cosa impone?
Capite da voi che in questo modo di vedere e vivere la vita non c’è veramente possibilità di sottrarsi a ciò che viene e chiede consapevolezza, prontezza, risposta adeguata alla sfida esistenziale posta.
E capite anche come un siffatto cammino non sia per dilettanti che ancora non hanno compreso dove appoggiare il loro deretano: questo lavoro chiede la vita, non un suo frammento, uno scampolo. OE28.4


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5 commenti su “Niente più dell’ordinario ci interroga e ci insegna”

  1. Non so, a volte ho l’impressione che ciò che sto vivendo sia una grande concessione, un regalo,un dono troppo grande per me. Non riesco sempre a riportarmi sulla questione che ciò che sto vivendo sia invece generato dalla mia coscienza e niente altro che il mio pane quotidiano. Grazie per avermi fatto riflettere.

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  2. Consapevole che” il necessario esistenziale sta già avvenendo”, che ciò che conta è come si sta di fronte agli accadimenti, noto in me ancora delle sfasature di atteggiamento. La mente cerca di insinuarsi quando gli accadimenti riguardanogfli affetti.

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  3. Anche se ancora spesso il non compreso genera attrito e sofferenza e la vittima vuole tenere banco, il concetto di fondo è acquisito e lo sto masticando lentamente forse per meglio assimilarlo. Gli attori del film fanno la loro parte e il riconoscerli è, con il tempo, sempre più facile. Si procede…

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  4. “La persona che è sola con se stessa e che sa che la propria realtà esistenziale è squisitamente soggettiva, accetta di buon grado ciò che la sua coscienza fa recitare agli altri attori che compaiono sulla scena: si spende con quegli attori sapendo che sta spendendo la sua vita, il suo compreso e non compreso.”
    Una verità molto bella. Non mi accade spesso come vorrei, ma quando mi rendo conto che tutto parla di me, mi abbandono, tolgo scudo e spada e mi lascio trasportare.

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