L’essere pronti, la meditazione, l’errore e il giusto relativo

Se il coniglio si fermasse a chiedersi perché l’aquila
che sta volteggiando sopra di lui lo spaventa,
la sua vita sarebbe lunga come un 
battito d’ali.
Se l’uomo si fermasse a chiedersi perché sta piangendo o sta ridendo,
fermerebbe le sue lacrime o interromperebbe la propria risata
e avrebbe perso l’occasione per ridere o piangere fino in fondo.
La struttura dell’esistenza dà al coniglio la paura per arrivare
a non essere più un coniglio
e all’uomo il pianto o il riso per arrivare 
alla fine
del suo essere uomo.
Per questo motivo, coniglio, devi vivere la tua paura.
Per questo motivo, uomo, devi ridere o piangere.
Rodolfo, Cerchio Ifior

C’è una immediatezza che nello zen viene abilitata e coltivata, essa deriva dal pieno allineamento tra il sentire e i suoi veicoli: risiedendo la persona nella piena consapevolezza a lei possibile, il canale tra sentire ed azione è libero, l’azione può seguire all’intuizione, alla realtà viene risposto con immediatezza non mediata da ponderazioni e valutazioni.
Il coniglio sa quando scappare perché non è diviso dalla propria natura, l’ascolta e ne coglie il programma che lo guida e lo orienta; la persona connessa a sé sa cosa e quando operare, obbedisce al suo sentire, sa che la sua mente-emozione è allineata e avverte in sé la continuità tra la potenzialità e l’atto e non indugia.
L’essere pronti è il frutto primo della meditazione e della pratica meditativa: l’essere incerti, dubbiosi, reticenti è il prodotto dell’eccesso di mente e di presenza di sé.
Nella prontezza il soggetto è al margine: c’è il compreso e la sua attuazione; il non compreso e la sua necessità d’esperienza.
Non c’è l’eccesso di sé che media il compreso e il non compreso, che tutto rallenta e intorbida: la vita diventa semplice una volta libera dall’ingombro del dover scegliere.
Scegliere cosa? Ascoltare, osservare, obbedire al sentire.
Attenzione: obbedire al sentire non significa fare sempre la cosa giusta, ma fare la cosa possibile/necessaria a sé.
Cosa vuol dire? Significa che dal sentire può sorgere un impulso guidato da un’ampia comprensione e quindi il suo risultato sarà una cosa giusta per molti, giusta in modo relativo anche se non assoluto.
Ma dal sentire può sorgere anche l’impulso guidato da una non comprensione (o da una comprensione assai limitata) e allora l’azione sarà tarata dalla necessità contingente di fare esperienza, di divenire consapevole, di comprendere. Probabilmente non sarà giusta per nessuno, e magari nemmeno per sé, ma sarà stata necessaria.
L’umano non è un coniglio, né un’aquila e obbedisce ad un complesso di cause che i due nemmeno immaginano: quando, mosso da una non comprensione, agirà in un dato modo, poi potrà anche pentirsi dell’agito e dolersene nel profondo.
Sarà stato utile e necessario quell’obbedire, e sarà necessario quel dolersene: di entrambi ci assumeremo la responsabilità e la prossima volta faremo meglio.
Anche il coniglio e l’aquila la prossima volta faranno meglio, ma non saranno passati attraverso il dolore della consapevolezza del loro limite, quello è riservato a noi umani e richiede corpi adatti per essere sperimentato.
Tutti dunque imparano nei modi a loro possibili: l’umano pronto impara come l’umano lento e indolente, il rischio del primo è di divenire superbo perché l’essere pronti è esperienza di grande forza che può tonificare l’ego oltre misura. OE,9.4


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6 commenti su “L’essere pronti, la meditazione, l’errore e il giusto relativo”

  1. ‘… l’umano pronto impara come l’umano lento e indolente, il rischio del primo è di divenire superbo perché l’essere pronti è esperienza di grande forza che può tonificare l’ego oltre misura.’

    E’ come dici Robi,
    ho osservato questo meccanismo e aggiungo che anche altro si instaura, legato sempre al pericolo di un ego che viene fortificato.
    L’identificazione con quella prontezza, che sicuramente è una bella immagine di sé, fa però sì che pur di aderire a quella, si perde mano a mano la freschezza di ‘vedere’ la situazione e l’immediatezza della giusta azione che scaturisce dal sentire.
    Si aderisce cioè ad uno steretipo che pur di confermarlo e alimentarlo ti stacca dallo stesso processo di prontezza e immediatezza che deriva dalla meditazione. Ti fa diventare come un robot.
    Ma questo solo dopo aver visto tanti ‘ragli’ si può comprendere.
    Quanti eccessi, quante stonature, quante scuregge fatte e quando finalmente quelle stesse vengono abbracciate e accolte dal manto della compassione e di un sorriso per sé stessi allora si sedimenta un maggior equilibrio ma sempre comunque su cui dover lavorare, diventa più sottile ma il lavoro continua.

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  2. Leggere questo post è come ritrovarsi in un caldo abbraccio materno : appieno affluisce il senso della vita e l’amore che tutto sorregge.
    Grazie!

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  3. È rinfrancante questa lettura per chi in questo momento soffre per scelte non giuste ma necessarie…..
    In quest’ottica il significato di giusto perde di senso…..mi sovviene la misericordia di dio!
    Anna

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