Cerco di custodire questa distanza siderale dal mondo e la proteggo non come qualcosa che mi rende diverso, ma come una immensa possibilità di conoscenza, consapevolezza e comprensione.
Nella distanza da me come soggetto/mondo, i fatti che accadono sul palcoscenico del divenire divengono chiari e mostrano la loro natura al sentire.
Non alla mente, al sentire. Tutto parla del sentire dell’umano in continua trasformazione e delle mille forme che assume nell’apparire della rappresentazione.
Leggo e incontro con la gioa di leggere e di incontrare; scrivo con la gioa di offrire senza pretesa di me.
Custodire è un termine chiave: non si tratta di custodire i propri possessi, non è di possesso che si parla, ma di gratitudine per il ricevuto e di custodia di questo.
Ciascuno ha il suo da custodire e può farlo stringendoselo forte, o tenendolo nella coppa delle mani, sorreggendolo senza soffocarlo perché suo non è e mai lo sarà.
Viene la vita e va nella forma del partner, dei figli, delle possibilità di ogni genere: custodire non richiede la costruzione di armature, di casseforti, di fortificazioni; richiede il gesto delicato del prendersi cura di ciò che ci è stato offerto, evitando che sia soffocato dal rumore, dalla pressione del troppo, dalla mediocrità del nostro giudizio, dall’ansia della nostra aspirazione, dalla volgarità del nostro desiderio di esserci e mostrarci.
Custodire accade nel silenzio che dal silenzio sorge. Il silenzio di sé.
Grazie.
Grazie roberto
Grazie roberto…impossibile aggiungere altro.
Grazie!