La fine della ricerca non è la fine dell’imparare

Disteso sul prato guardo il cielo tra i rami pieni di germogli di un’acacia. Giorni fa, parlavo con una persona che mi raccontava della sua formazione e di come, ad un certo punto, fossero in lei morte le domande.
Ho parlato anch’io, più volte, della fine di quella spinta interiore che ci porta a cercare e a porre domande, a sé e agli altri.
Soggetto, il maestro della via della Conoscenza, parla di quella fase come della fine del condizionamento della mente.
Condivido, ma mi viene da precisare: la fine delle domande non è la fine della spinta ad imparare.
Le domande muoiono quando si è compreso:
-che la risposta credibile per noi sorge dal nostro interiore;
-che sarà la vita a plasmarci, giorno dopo giorno, consapevoli o inconsapevoli, saggi o ignoranti, disponibili o recalcitranti.
Fino ad un certo punto è molto importante avere delle domande, porle, cercare delle risposte ma, nel tempo, in noi si insinua una consapevolezza nuova che si affida allo svelamento, allo smascheramento, operato dal nostro quotidiano piuttosto che da altro (i percorsi, i maestri, le letture).
I piccoli fatti della routine sono metafore che illuminano i nostri passi, il non compreso, quello che ci attende come trasformazione interiore.
I piccoli fatti divengono i nostri maestri.
La fine delle domande, della tensione esistenziale pressante, rappresentano l’ingresso nella corrente del fiume: per sua natura questo conduce al mare, trasporta le pietre che, grazie al movimento, si frantumano in sassi e, a forza di impattarsi, scorrere e fluire, diventano rena e poi sabbia, quando il mare l’ha prese.
Mi viene da affermare che la fine delle domande è la fine dell’imparare interpretandosi come separati dal fiume.
Dentro al fiume, non potendo più immaginarsi fuori, accade la trasformazione interiore più intima: l’apprendimento avviene sui particolari, sulle sfumature, su quegli aspetti che un tempo nemmeno avremmo considerato.
La strada delle domande è assimilabile allo sgrossamento delle pietre operato sul monte dalla pioggia, dalla neve, dal gelo, dal vento. Lì ci siamo noi e c’è il fattore che ci disgrega, ci lavora, ci fa perdere e ritrovare.
Nel fiume il processo è tutto interiore: la consapevolezza conseguita non dà scampo e non permette il gioco interno/esterno, discepolo/maestro, umano/divino.
Dall’interiore (dalla coscienza) sorge la scena, dalla coscienza è valutato il risultato: la mente, l’emozione, il corpo sono gli esecutori e i canali delle informazioni di attivazione e di risposta.
Tutto il processo è interno all’ecologia del fiume e come tale compreso e consapevolizzato.
E’ finita la ricerca perché il fiume porta da sé, non è finito l’imparare.

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1 commento su “La fine della ricerca non è la fine dell’imparare”

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