La non-mente nel sostegno all’altro [vdc14]

Le basi della Via della conoscenza. La non-mente non è altro che aderire a ciò che accade. E aderire a ciò che accade non vuol dire non essere lì dove c’è la sofferenza o dove c’è il dolore o dove c’è la difficoltà o dove c’è il male; no, non significa non essere lì, anzi significa proprio che lì ci si situa, che lì ci si colloca, che lì si è ciò che si è, ovverosia non duale […]

E se si incontra un ricco o se si incontra qualcuno che festeggia l’abbondanza, lì ci si situa e non si va lontano da lui in nome e per conto di chi soffre, ma ci si situa lì e si testimonia anche lì che l’abbondanza può essere povertà, che la povertà può essere abbondanza, che nulla distingue la Coscienza, che nulla può essere separato dalla Coscienza e che il ricco è pur anch’egli Coscienza.

E si poseranno i propri occhi, si agiteranno le proprie mani e si userà la propria parola nel modo consono e non si valuterà questo modo che sorgerà spontaneo e che arriverà all’altro a rappresentargli la non dualità, magari provocandolo, magari facendolo adirare o magari invece accarezzandolo.

Non si saprà quale sarà il risultato della propria azione e non si saprà neppure quale azione si fa, essendo solo lì, nel momento. E non si prepara il momento e non si fanno piani di azione e non si coltivano strategie e non ci si arrabatta – come spesso fate voi – a chiedersi: “Che cosa dirò, come agirò, quali saranno le parole che io dovrò porgere perché lui capisca?”, poiché l’altro non ha da capire, ha soltanto da riconoscere in se stesso ciò che è.

Dunque, si porge questa opportunità e nient’altro, poiché non sarà un qualcuno a porgere, ma sarà la Coscienza che porgerà attraverso la bocca di quel qualcuno incontrando l’azione che l’altro farà, e da essa maturerà qualcosa di cui non ci si deve occupare.

Certamente qualcuno di voi potrebbe obiettare: “Ma, come, io non devo occuparmi del risultato o dell’effetto?”. Proprio così, l’effetto non riguarda la non-mente, almeno fino a quando non si ripresenterà a lui come sofferenza o come letizia o come serenità o come inquietudine, cioè fino a quando non si ripresenterà a lui richiedendogli di essere lì.

E allora di nuovo si sarà lì, senza la propria mente che giudica e quindi senza domandarsi: “Perché non ha capito? Guarda dove è arrivato per non avermi voluto ascoltare!”.
Si starà lì, si sarà in quel momento, e ancora si porgerà ciò che la Coscienza dirà in quel momento e non si rimprovererà, se non spinti dalla Coscienza, che non rifarà però l’esame di ciò che l’altro non ha fatto, almeno per quanto riguarda quello specifico aspetto su cui gli si sarà parlato, perché questo significherebbe suscitare nell’altro l’idea che è stato colpito poiché non ha rispettato, mentre ciò non deve affatto avvenire, dato che sarebbe rafforzare l’idea che ciò che gli accade, compreso l’incontro con chi è non-mente, è qualcosa che deve essere preso come parametro per giudicare se stesso. E invece questo non deve avvenire.

Si deve porgere e lasciare che accada, porgere e lasciare che accada, magari rimproverare se il porgere richiede il rimproverare, ma non per quanto l’altro non ha ascoltato di ciò che gli è stato detto, ma per quanto lui non ha inteso se stesso. Fonte

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2 commenti su “La non-mente nel sostegno all’altro [vdc14]”

  1. “Dunque, si porge questa opportunità e nient’altro, poiché non sarà un qualcuno a porgere, ma sarà la Coscienza che porgerà attraverso la bocca di quel qualcuno incontrando l’azione che l’altro farà, e da essa maturerà qualcosa di cui non ci si deve occupare.”

    Si percepisce una grande capacità di saper veicolare l’Amore in questa descrizione dell’azione della non-mente.

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  2. “Rimproverare non per quanto l’altro non ha ascoltato ciò che gli è stato detto, ma per quanto lui non ha inteso se stesso. ”

    Tutto il testo è il farci partecipi di chi è di come agisce una non mente, ma l’ultima frase in neretto mi ha colpito particolarmente perché mette nella giusta prospettiva l’uso del rimprovero all’altro.

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