La divina sostanza indiversificata (Kempis, CF77) [realtà11]

In blu le parti che si possono leggere in un secondo momento per integrare.
Il cartesiano cogito ergo sum, cioè «penso quindi esisto», mise in crisi il pensiero filosofico occidentale fino ad allora esistito, che aveva ammesso reale — cioè in se stesso esistente — tutto quanto è oggetto della conoscenza dell’uomo; mentre l’affermazione di Cartesio rendeva certa solo l’esistenza del soggetto pensante.

Una simile concezione trova nel solipsismo la sua estrema posizione, perché afferma come realmente esistente solo il soggetto percipiente, in quanto ogni altra cosa o persona sarebbero solo sue percezioni.

Chi ha seguito ciò che in più occasioni abbiamo detto, sa che noi affermiamo che esiste solo ciò che sente in senso lato*, ossia che percepisce, e ciò che è sentito ossia percepito; quindi le cose che non sentono e sono percepite saltuariamente, esistono solo allorché sono percepite.

Non solo: abbiamo detto anche che le cose che sono percepite non esistono in sé come vengono percepite: la loro realtà — al di là delle limitazioni dei soggetti percepienti — è la realtà della sostanza indifferenziata.

Sicché gli oggetti che cadono sotto la vostra attenzione, come voi li percepite esistono solo nella vostra percezione e in forza delle sue limitazioni. Quindi, se venissero meno le limitazioni percettive sparirebbero gli oggetti, e non sareste voi a non percepirli più, pur essendo essi ancora esistenti oggettivamente, bensì l’inverso: non esisterebbero più in quanto voi non li percepireste più.

Allora, la realtà dei mondi della percezione è come un sogno che non esiste se non nella mente del sognatore, che finisce di esistere col risveglio del dormiente ma che in se stessa non esiste? Non è cosi, ma è qualcosa di molto simile. Vedrò di spiegarmi meglio.

È chiaro che la Realtà è la vera qualità e condizione di tutto quanto esiste; ed è chiaro che la realtà è tanto meno relativa quanto più è totale. Ora, la Realtà assoluta non contiene oggettivamente esistenti i mondi che voi conoscete e quali li percepite come se fossero una porzione di essa Realtà, allo stesso modo di come voi considerate il pianeta Terra il contenitore dell’intera realtà della Terra in un certo tempo.

Questo perché la Realtà assoluta, prescindendo da ogni limitazione, non può contenere oggettivamente esistenti quei mondi la cui esistenza è frutto appunto della limitazione.
Se infatti la realtà fosse quale voi la percepite, o quanto meno esistesse oggettivamente un mondo del quale poi ciascuno avesse una sua immagine, ne deriverebbe che la vera condizione e qualità di tutto sarebbe uno stato reale di frazionamento e quindi verrebbe meno l’unità di Dio Tutto Uno Assoluto e, con essa, la trascendenza di Dio, la sua assolutezza e addirittura la sua esistenza.

Perché il divenire sarebbe reale e Dio — pur volendo continuare a concepirlo come l’insieme del Tutto — non potrebbe che essere un ente virtuale, mai identico a se stesso, e, in mancanza dell’unità, destinato comunque alla disgregazione come il Tutto esistente. Infatti ciò che mantiene in vita un organismo è l’integrazione armoniosa fra le parti, quindi l’unità del corpo.

Questo discorso è la conseguenza logica di una determinata concezione di Dio, cioè di Dio Assoluto e quindi, come tale, che comprende in sé tutto quanto esiste, perciò di un Dio immanente, ma al tempo stesso trascendente perché non condizionato dal tutto esistente.

Certo, ciascuno è libero di immaginarsi anche una concezione assurda di Dio, come quella del Dio-persona che con un atto di volontà ha creato il mondo fuori di sé; ma, cosi concependolo, implicitamente lo pone dentro un tempo con tutto quello che segue, come per esempio l’ineguaglianza a se stesso e perciò la non costante perfezione.
Inoltre lo rende incompleto perché mancante della sua creazione, estranea al suo essere. Altrettanto dicasi se lo si immagina come forgiatore del caos materiale preesistente. Insomma, l’unico concetto del divino che logicamente consente di attribuire a Dio i caratteri di assolutezza, infinità, eternità, completezza, perfezione, onnipresenza, onniscienza, eccetera, è quello di cui vi parliamo continuamente.

Chiunque creda in Dio può immaginarLo come vuole, anche come un asino volante, ma implicitamente crede al Dio di cui vi parliamo perché è l’unico che può esistere. Parlare della Realtà è parlare della sua natura.

Allora, concesso che la Realtà assoluta non può contenere come oggettivamente esistenti i mondi che voi percepite, e al tempo stesso, dato che niente può essere estraneo ad essa altrimenti non sarebbe tale, quei mondi sono contenuti in essa quali sono percepiti dagli esseri.

Mi rifarò all’esempio del colore, che penso possa chiarire. Il colore in sé, quale è percepito, non esiste come lo conoscete perché è un prodotto della mente percepiente. Ora, la Realtà assoluta, in quanto totale, non può non comprendere il colore; d’altra parte il colore, come lo conoscono i soggetti percepienti, oggettivamente non esiste, perciò è compreso nella Realtà assoluta come tutte le altre percezioni degli esseri.

In Dio non esiste il colore azzurro, ma esistono tanti azzurri quanti sono quelli percepiti dagli esseri. Allo stesso modo è del freddo o del caldo: nella Realtà assoluta non esiste freddo o caldo, perché le cose in sé sono fredde o calde solo in relazione alla valutazione del soggetto percepiente.

ln una delle ultime comunicazioni ho affermato che a qualità diverse corrispondono sostanze diverse e che nella dimensione in cui non esiste la percezione — cioè nel mondo del sentire — la qualità si identifica con la sostanza. Ciò potrebbe sembrare in contrasto con quello che affermavo prima, cioè che la non realtà oggettiva della molteplicità in generale è del mondo percepito in particolare. Ma in effetti il contrasto esiste solo se si riduce la vita percettiva del soggetto a un suo sogno svincolato da quello degli altri. Mentre esistono comun denominatori nelle percezioni dei soggetti che costituiscono quei vincoli, fra l’uno e l’altro, creatori dell’apparente oggettività del mondo percepito.

In altre parole, che il mondo che percepite non esista oggettivamente, ormai lo avete capito; come avete capito che la vostra vita non è un sogno nel senso irreale del termine. Si tratta di spiegare come queste due concezioni opposte siano in parte vere e come possano coesistere.

Cerchiamo di immaginare la sostanza di cui è costituito Dio nella sua totalità: essa non può che essere in sé a uno stato indifferenziato. Infatti, se come prima ho spiegato si ammette l’impossibilità che i mondi esistano oggettivamente inseriti nella Realtà assoluta, ne deriva che la divina sostanza da cui essi trarrebbero esistenza è oggettivamente indiversificata: ed ecco la famosa unità base identica per ogni cosa esistente, sempre intuita e ancora ricercata. Tuttavia, per coglierla in quella condizione di indifferenziazione, è necessario coglierla nella sua totalità.

Supponiamo, ora, in questo oceano di coscienza impersonale, di creare un centro di coscienza in qualche modo distinto dal resto, ossia un centro individualizzato, e di dargli la capacità di percepire la sostanza divina nella quale è immerso.

Ora, il fatto stesso di enucleare una parte della sostanza divina per farne un centro di coscienza, implica necessariamente una limitazione; cosicché la percezione della restante sostanza nella quale il centro autocosciente è immerso, è una percezione necessariamente limitata.

L’effetto della percezione limitata è quello di vedere diversificata la sostanza in se stessa indifferenziata, e di vedere come oggettivo un mondo che, al di là della limitazione del soggetto percepiente, non esiste.

Quindi non è un sogno, cioè qualcosa che esiste unicamente nella mente del soggetto ed è da lui solo percepito; infatti chiunque abbia le stesse limitazioni o gli stessi sensi limitati, percepisce la stessa realtà basilare, salvo ad avere poi la sua interpretazione soggettiva; cosicché la realtà percepita non è in se stessa esistente ed è legata alle limitazioni percettive del soggetto percepiente.

Tuttavia, proprio il fatto che i soggetti che abbiano le stesse limitazioni percepiscono lo stesso tipo di realtà, crea una realtà comune a essi soggetti che ha per loro il sembiante di realtà oggettiva.

Quindi, né sogno né realtà oggettiva; pur essendo il mondo del percepiente tanto soggettivo da rasentare il sogno, e percepito tanto realmente, in forza delle comuni percezioni, da sembrare esistente in sé.

[…] È difficile per voi comprendere tutto ciò perché, per voi, una cosa se è vista da tutti è oggettiva, esiste indipendentemente dal soggetto percepiente; mentre cosi non è. Anche nel campo della pura soggettività, esistono le allucinazioni collettive. Il fatto che un fenomeno si riproduca tutte le volte che si riproducono certe condizioni e che sia visibile a tutti, non significa che la sua realtà sia oggettiva in senso assoluto.

Questo porta ad affermare e capire che, se mutassero le limitazioni dei soggetti percepienti, muterebbe la realtà; e ci fa comprendere come possano esistere mondi paralleli, dimensioni, piani e stati diversi in uno stesso ambiente. A parità di limitazioni percettive, stessa appartenenza a quei mondi o stati strettamente inerenti a quelle limitazioni perché da esse originati.

[…] Se la coscienza assoluta — per essere tale — non può che essere necessariamente la sintesi unitaria di tutti i possibili sentire, i quali altrettanto necessariamente non possono che essere diversi fra loro e da essa, ne discende che il sentire possibile più semplice è il più limitato. E il sentire pili limitato non può che corrispondere alla più grossolana forma di esistenza, che è appunto quella che si manifesta nel mondo fisico. Sicché necessariamente a sentire limitati corrispondono forme di vita grossolane in mondi grossolani.

Chi dice che esistono esseri che hanno la loro evoluzione pur non avendo mai toccato i mondi della percezione, parla per supposizioni e non per conoscenza diretta. O chiama esseri energie intelligenti ma prive di coscienza, come se confondesse l’uomo con i robot.

A sentire meno limitati corrispondono forme di vita meno limitate e quindi mondi meno grossolani; perciò gli esseri continuano la loro evoluzione anche fuori dai mondi della percezione, quando il sentire che manifestavano è ampio, Ma il sentire più semplice, che necessariamente fa parte della loro individualità, non può che manifestarsi e sussistere nei mondi grossolani. Questo proprio per il concetto di realtà.

Infatti quei mondi non esistono oggettivamente, cioè indipendentemente da coloro che li abitano, ma esistono proprio per creazione percettiva dei loro abitanti: sono creati dai sentire più semplici. Ecco perché diciamo che le situazioni dei mondi della percezione non sono che estrinsecazioni del sentire.

Ogni essere è un insieme di sentire legati in successione logica dal più semplice al più complesso, che quindi si manifestano nella stessa successione.

Dire che esistono esseri che non si sono mai incarnati, o mai si incarneranno, è come dire che esistono esseri privi di metà del loro corpo, o che è logica e conseguente e completa una equazione priva della metà della sua impostazione. Un essere non può essere completo privo dei suoi sentire più semplici, e i sentire più semplici sono propri dei mondi della percezione: non esistono indipendenti da quelli.

Ma questo non significa che ciascuno debba crearsi un suo mondo soggettivo inerente al suo sentire ed a quello debba attendere esclusivamente. Al contrario: tanto più la visione del mondo diventa soggettiva, cioè isolata, e quanto meno si evolve.

Cosa succede quando un essere dal sentire ancora ancorato al mondo fisico, da esso si aliena, si distacca in qualche modo? Cessa di produrre cause, di evolvere, e, da un evento rimedio naturale, vi viene di nuovo inserito. Vivere una vita totalmente soggettiva è liberarsi di certe limitazioni non già per superamento, ma per non realizzazione, per non attuazione; quindi è impedire a una certa quantità di sentire, di manifestarsi, di esistere.

*Il sentire in senso lato è il sentire accessibile all’incarnato

Fonte: Cerchio Firenze 77, La fonte preziosa, Edizioni mediterranee, pgg. 283-289

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1 commento su “La divina sostanza indiversificata (Kempis, CF77) [realtà11]”

  1. “Né sogno né realtà oggettiva” per definire il mondo del divenire come noi lo percepiamo.
    A volte, insistendo sulla illusorietà del mondo come rappresentazione si finisce per concepirlo come affatto esistente, invece tutto partecipa della divina sostanza indifferenziata e dunque in qualche misura ogni cosa ha un sua “consistenza ontologica”, anche diversa da come la possiamo percepire.

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