Una via non è un caravanserraglio per pellegrini

Il caravanserraglio era un edificio deputato alla sosta delle carovane che attraversavano il deserto.
Oggi, molte vie di approccio all’unica Via, sembrano caravanserragli, opportunità di riposo, di rigenerazione, di formazione per persone che attraversano le fatiche della vita, non di rado deserti esistenziali.

Se guardate a molti monasteri cattolici, ma anche buddisti e induisti qui in occidente, vedete come vivono grazie agli introiti garantiti dai ‘pellegrini’.
Le persone che cercano una esperienza o una parola di vita, bussano a porte deputate ad accoglierle; monaci dedicano le loro vite all’accoglienza e alla formazione estemporanea dei pellegrini. Comunità intere di monaci costruiscono la loro ecologia fondandosi sui pellegrini.

I viaggiatori dell’anima, curiosi spesso, inquieti e stanchi a volte, trovano punti di ristoro nel variegatissimo universo New Age: infiniti caravanserragli sparsi per campagne, montagne, laghi e deserti offrono la promessa di un po’ di pace, non sempre a buon mercato.

Stuoli di maestri si propongono a condizione che li ascolti: nulla chiedono, a nulla sei tenuto, tutto è tua responsabilità, giustamente dicono. Tu vai, prendi e te ne vai: a te e a loro va bene così.

Inutile dire che il Sentiero, trent’anni fa, è nato per realizzare altro, essendo, questo appena descritto, allora all’apice e producendo in noi un rifiuto radicale.

Abbiamo costruito un’officina, in certi periodi diverse officine, e abbiamo sempre posto delle condizioni, la porta non è mai stata aperta a prescindere: si è aperta se volevi lavorare nell’officina.
Ecco allora che non abbiamo mai avuto pellegrini, se non i pochi di formazione New Age che sono transitati come meteore non essendo luogo per loro, persone adatte per il cammino di Santiago più che per un monastero zen.

Con il passare degli anni, sempre più alta è stata la necessità di proteggere la nostra esperienza dai pellegrini: se hai una domanda chiedi, bussi; ti ascolteremo, farai una breve esperienza e comprenderai se questo è luogo per te; ti aiuteremo a discernere in un tempo ragionevole affinché tu non perda il tuo tempo e noi si possa procedere.
Questa modalità ha creato da sola una selezione draconiana: lungo le piste del deserto molti sono i caravanserragli, perché bussare alla porta di un eremo isolato in cui non si sa se verrai accolto?

Per scelta, non abbiamo mai dipeso economicamente dai pellegrini, e quindi non ci sono stati necessari: la nostra intenzione era rivolta a persone che cercassero l’ascolto dell’archetipo del monaco, non è mai stato preminente il nostro bisogno di avere un ruolo, una funzione, non ci siamo mai sentiti protagonisti di una missione, piuttosto servitori di una possibilità esistenziale.

La sorgente del Sentiero non manca di acqua, ma devi aver sete per attingervi, e devi attingervi tu, a noi non importa se bevi o meno, tua è la tua vita e noi non facciamo commercio di quell’acqua.

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13 commenti su “Una via non è un caravanserraglio per pellegrini”

  1. È attraverso il Sentiero che ho imparato ad accogliere la vita, le varie esperienze
    hanno attivato dei punti di forza nel
    profondo su cui si ancora il quotidiano.
    Importante il confronto per analizzare gli argomenti dai vari punti di vista.

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  2. Mi pare di cogliere in questo post, una possibilità di fare il punto.
    Se fino ad oggi è stato difficile, almeno per me, immaginare una definizione per il Sentiero, ora, grazie al confronto ed alla necessità di spiegarla a persone esterne all’esperienza, è possibile avere una chiarezza maggiore sul lavoro svolto fin’ora.
    Probabilmente per te Robi era già chiaro da tempo, per me invece, trovo utile questo confronto con I nuovi, perché mi accorgo che molte cose che davo per acquisite, in realtà sono il dono di chi ha avuto una visione, sensibilità, capacità di farne esperienza concreta.
    Dove ogni operaio trova, se può e vuole, gli strumenti per portare avanti la propria opera e quella comune.

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  3. Grazie ! Infinitamente grazie per quel che la Vita mi ha permesso di comprendere attraverso il Sentiero e grazie a te Buon Amico.
    Sentiero, chiave di lettura di molteplici paradigmi della Via, la Stele di Rosetta di tanti percorsi spirituali. Così è ed è stato per me.
    Sorge davvero commozione.

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    • A Roberto DE
      Grazie a te, Roberto. Ogni cosa è stata possibile grazie a coloro che, come te, si sono spese perseverando.
      Insieme abbiamo faticato e gioito situazioni create da noi per noi stessi: questa officina ci ha plasmati e trasformati e, nel tempo, questo diviene evidente.

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  4. C’è una spinta, un’urgenza, un bisogno (?), un piacere, un’affinità, una volontà e così via. Credo che alla base di tutti i pensieri, le emozioni ci sia un sentire di Fiducia e di affinità .

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  5. Riconosco, e sento la necessità del confronto.
    Il raccontarsela a proprio uso e consumo è continuamente dietro l’angolo.
    Questo è l’imput primo che muove

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  6. Quando una Via è codificata sul sentire dei partecipanti, è il sentire che guida? Esiste un allineamento nella comunità che fa crescere le persone che vi partecipano in modo che si crei omogeneità? La storia del Sentiero è unica e non appartiene a qualcosa di codificato, penso che all’intensivo capirò qualcosa di più di come vive questo organismo.

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  7. La vita è un procedere per tentativi, prove ed errori; senza l’errore non si genera comprensione e ogni errore è opportunità di apprendimento. Mi è capitato di passeggiare su caravanserragli, per poi cambiare sentiero. Tutto fa esperienza! c’è chi per andare da A a B percorre una linea retta, c’è chi per andare da A a B fa qualche deviazione.

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    • A Mariela
      E’, indubbiamente, come tu dici.
      Quando scrivo ho quasi sempre in mente persone concrete e le loro esperienze.
      Nello scrivere questo post avevo in mente le osservazioni di Giovanna in Essere/Divenire e un film: Il cammino per Santiago, su Prime.
      Ci sono esperienze e ci sono Vie: le vie personali sono anche collane di esperienze, inevitabilmente, assemblate secondo il proprio bisogno e opportunità.
      In fondo tutti abbiamo vie personali, non può che essere così e così è giusto.
      Ciò non toglie che esistano Vie codificate entro le quali si collocano le nostre vie personali: per me è lo zen.

      Ci si approssima a una Via codificata perché si coglie il limite della via personale: il rischio di raccontarsela, di non essere messi in scacco a sufficienza.
      Una via personale è automodellata, una Via no: essendo composta anche dall’altro da sé, devi compiere innumerevoli adattamenti per penetrarla.

      Se vai a Santiago come pellegrino, sei tu e il cammino, più gli incontri, ma questi non sono vincolanti per te.
      Se fai un ritiro di Vipassana per 10 giorni, poi questo finisce e torni a casa tua.

      Una Via non finisce, non è un’esperienza, non torni a casa tua lasciandotela alle spalle: la Via sei tu.
      Vive perché tu sei la Via.
      Una comunità certosina vive perché ogni monaco dedica la propria vita a quello.
      Un monastero zen non vive perché qualcuno in estate va a praticare durante una sesshin, vive perché i monaci di quel monastero costituiscono un’officina esistenziale.

      La nostra Giovanna può andare per un mese in un luogo di silenzio e di pace, dove la gente si vuole bene, è rilassata e non si complica la vita con i discorsi complicati.
      Tornerà a casa beata. Avrà compreso qualcosa, sarà contenta: ha vissuto un’esperienza importante.

      Una Via è fondata su una saggezza: non bastano alcune esperienze, per quanto importanti, perché quelle esperienze sono sempre indotte da altri o da un ambiente altro.
      Conta ciò di cui sei protagonista: ciò che fondi tu, che si fonda sul tuo impegno, dedizione e anche sacrificio.
      Conta il tuo essere artefice della Via, non fruitore.
      Conta il mettere nel piatto l’intera vita, non un frammento per il tempo di un’esperienza.

      Dico questo nel più profondo rispetto di chi sente che deve inanellare solo esperienze, senza divenire fondamento di una Via.
      Mille sono le strade e, alla fine, nella soggettività di esse, chi può dire se siano valide o meno?
      Cosa conta il nostro parere? Niente.

      Conta invece la nostra comprensione dei processi, il sentirsi, ad esempio, a un certo punto del proprio incedere esistenziale, chiamatì verso qualcosa.
      Alcuni avvertono questa chiamata con chiarezza sufficiente da offrirsi come collaboratori efficaci.

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