Tenzo Kyokun: mettere in circolazione lo spirito del risveglio [2]

2.   Nel Chanyuan qinggui è detto: “Deve mettere in circolazione lo spirito del risveglio, trasformando [gli ingredienti] in ottemperanza alle circostanze, affinché i membri della comunità possano ricevere [nutrimento] fruendone[1] in serenità”. Nei tempi antichi anche Guishan[2] e Dongshan[3] hanno svolto questa occupazione, e molti altri grandi maestri in precedenza ci sono passati. Sarà mai forse eguale a un cuoco mondano, al preparatore dei cibi di un re, o a qualsivoglia altro cuciniere?

Durante la permanenza nella Cina Song[4] questo monaco montanaro,[5] nei giorni di riposo, ha indagato e posto domande a persone che in precedenza avevano lavorato come aiutanti e a chi aveva a lungo svolto quell’opera, [6] e loro, offrendo la propria esperienza di quanto visto e udito, hanno dato spiegazioni a questo monaco montanaro. Queste spiegazioni sono le ossa e il midollo[7] di quanto [ci] hanno lasciato i Buddha e Antenati che dai tempi antichi sono la Via.[8] Soprattutto si deve esaminare a fondo il Chanyuan qinggui. Poi si devono ascoltare le spiegazioni dei particolari da parte di chi in precedenza ha svolto la funzione.
(Versione letterale dal giapponese inedita di J.Forzani. Scarica il testo con note)


2.   Nello Zennen Shinghi[1]è detto: «Preposto al nutrimento dei monaci vi è il tenzo». Fin dai tempi antichi questa mansione è stata riservata a monaci dal cuore radicato nella Via, persone elevate dallo spirito ridesto. Soprattutto questa mansione deve diventare un cammino religioso tutto intero. Qualora vi si dedichi una persona priva dello spirito della Via, alla fine non si otterrà alcun beneficio: fatica e pene saranno vane. Nel Zennen Shinghi è detto ancora: «Deve mettere in opera lo spirito che persegue la Via. Bisogna che si adatti dinamicamente alla situazione. Deve far sì che tutti i monaci si sentano sereni».

Nel passato furono addetti a questo ruolo anche Isan e Tozan[2]; tutti i grandi patriarchi hanno attraversato la stessa esperienza. Quindi non è come in un ristorante del mondo, nemmeno è come un cuoco del mondo.

Quando mi trovavo in monastero in Cina, nei giorni liberi facevo domande particolareggiate a coloro che in precedenza avevano svolto i vari ruoli ed essi mi davano alcune spiegazioni per edificarmi da quanto avevano visto e udito. Proprio queste spiegazioni sono il midollo di quanto hanno trasmesso i Patriarchi della Via fin dall’antichità. Bisogna apprendere con fervore gli insegnamenti fondamentali dello Zennen Shinghi. Bisogna inoltre ascoltare le spiegazioni riguardo ai particolari dei vari ruoli, riferiti da chi li ha svolti.
(Versione del volume “E. Dogen, La cucina scuola della via, EDB, 1998”)

[1] La pura regola del monastero Zen, scritto nel 1203 dal maestro cinese Cioro Sosaku. Ai tempi di Doghen era la regola in uso, basata su una più antica, dell’ottavo secolo, scritta dal grande maestro Hyakujo e andata perduta. Lo Zennen Shinghi indica quattro ruoli principali e sei secondari.

[2]Isan Reiyu (Wei shan Ling yu) 771-853. Uno dei fondatori della scuola Weiyang, una della cinque scuole Zen della Cina. Tozan Shusho (Tung shan Shou chu) 910-990.


2.    Il corpo è il primo luogo di pratica, la base su cui poggia tutto il dispiegarsi del cammino. Il nutrimento del corpo, il pane quotidiano, è ciò che fa vivere il corpo e lo spirito e che li nutre nel loro orientarsi. Chi è preposto al nutrimento di coloro che si dedicano a seguire la Via, non può essere soltanto una persona capace di cucinare secondo i parametri di valutazione ordinari: non basta che prepari cose buone al gusto e nutrienti, né che vi si applichi con zelo ma senza rendersi conto della vera natura del suo lavoro.

É una mansione che deve essere espletata da persone consapevoli che ogni loro atto deve essere ispirato dal fondamento che anima la loro scelta di vita, perché è proprio ogni atto che dà la forma del proprio modo di vivere. Non ci possono essere secondi fini o distrazioni, perché il cammino religioso abbraccia ogni momento della vita, altrimenti si attua una separazione che è fonte di confusione e insincerità.

Se chi fa questo lavoro non si rende conto che esso è, in se stesso, espressione diretta e completa della Via, senza bisogno di aggiungere null’altro, e non un semplice preparare da mangiare per gli altri, tutta la sua fatica è vana, perché il risultato del suo lavoro risentirà di uno spirito non autentico. Per questo il libro della regola dice:

«Chi agisce è lo spirito della Via: bisogna lasciare che sia lo spirito della Via a operare, prendendo la forma che di volta in volta la situazione richiede, senza rigidità e senza preconcetti. Il vero scopo è che ognuno dei membri della comunità sia, grazie al nutrimento che il tenzo gli offre, in armonia con se stesso e con gli altri e possa dedicarsi con serenità e in buona salute alla propria pratica.»

Per questo sono stati incaricati di questa mansione grandi maestri del passato: tutti i predecessori che sono per noi un esempio hanno compreso la natura di questo lavoro e lo hanno svolto con dedizione. Pur trattandosi della preparazione e dell’offerta del cibo, non è equiparabile alla mansione di un cuoco di un ristorante o di altre strutture in cui la cosa che conta è la soddisfazione della clientela.      

Dato che si tratta di una pratica in cui è messa in gioco tutta l’esperienza individuale, non è sufficiente lo studio teorico per comprenderla: è importante anche ascoltare con le proprie orecchie le esperienze di chi ha svolto quella mansione, e imparare dalla sua viva voce. Per questo io, quando ero in Cina, in un monastero in cui tale ruolo era tenuto nella giusta considerazione, nei momenti liberi in cui si poteva parlare con calma, chiedevo a tutti coloro che già avevano svolto il ruolo di tenzo, di raccontarmi le loro esperienze o quelle di cui erano stati testimoni.

La Via si trasmette da una persona viva che ne incarna il carattere a un’altra persona viva che è a sua volta nella disposizione di riceverlo: per questo quelle testimonianze vissute sono l’essenza di quanto viene trasmesso in modo inalterato fin dall’antichità. É necessario studiare con fervore gli insegnamenti scritti, così come è necessario ascoltare con attenzione le testimonianze orali di chi quegli insegnamenti ha seguito prima di noi. 
(Ristesura in forma libera e commentata di Jiso Forzani: dal volume citato)  


Indice

1 Introduzione a “La cucina scuola della Via
1A Tenzo Kyokun: riveriti monaci dello spirito del risveglio


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8 commenti su “Tenzo Kyokun: mettere in circolazione lo spirito del risveglio [2]”

  1. La lettura mi induce a dare maggiore importanza alla consapevolezza necessaria ad ogni gesto.
    In particolare nel preparare il cibo che andrò a condividere.
    Non per cercare una gratificazione, ma per operare in ammonia con lo “Spirito della Via”

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  2. Inevitabilmente alla mente arriva l’immagine delle innumerevoli volte in cui il preparare un pranzo o una cena è stato vissuto come un obbligo, un dovere. Grazie.

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  3. Oggi a casa nostra ho incontrato una donna che ci aiuterà a preparare la cena quando io non riesco. Ci siamo subito sintonizzate sul tipo di cucina e sul modo di cucinare, mi auguro che lo sia anche a livello di energia trasmessa.

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  4. “Chi agisce è lo spirito della Via: bisogna lasciare che sia lo spirito della Via a operare, prendendo la forma che di volta in volta la situazione richiede, senza rigidità e senza preconcetti.”

    In ogni gesto, in ogni lavoro questo concetto deve starne alla base

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  5. Certo che il tenzo, col cibo. He prepara, non nutre solo il corpo ma anche lo spirito dei confratelli.
    Un cibo, infatti, ti può allineare o portare squilibrio sia al corpo che alla parte animica.
    Ecco perché il tenzo veniva scelto fra coloro che erano molto addentro nella Via.

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  6. Ieri sono capitata “per caso” in un agriturismo sperduto dove il cibo era divino.
    Ho chiesto di incontrare chi aveva preparato questi piatti semplici, vibranti, eleganti, autentici, dal sapore unico e delicato.
    Arriva la cuoca, una persona che mi ha trasmesso equilibrio e armonia. Grata dei complimenti mi racconta che aveva fatto scelte precise di Vita stando a contatto con la Natura e i suoi frutti.
    Non aggiungo altro se non che mai avrei pensato di sentire una Comunione che sorge da un raviolo (sembra paradossale), incontrare lei (e oltre lei) attraverso il cibo che aveva preparato per noi.
    Una preghiera.
    E un insegnamento per me.

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  7. Preparare e fornire in modo accurato il “pane quotidiano”: questo fa il Tenzo. Come potrebbe essere possibile praticare la Via se lo Spirito non diventasse forma e se qualcuno non si adoperasse a tale “trasformazione”?
    In verità tutti noi siamo dei “Tenzo” nelle nostre esistenze. Abbiamo a diverso titolo la responsabilità di lasciare che lo Spirito divenga attraverso noi forma sensibile e in questo modo sia “pane quotidiano”.
    D’altra parte, sempre la Vita fornisce il “pane quotidiano” indipendentemente dalla nostra consapevolezza e sarebbe sintomo di grande ignoranza volersi attribuire dei “meriti” in tale opera.

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