Fratello fuoco, sorella tiepidezza

No, i due non sono fratelli, anzi, spesso si conoscono appena.
Sono fratelli nostri, non tra loro. Fratello fuoco interiore. Sorella tiepidezza che abiti la casa dell’identità che si specchia.
Il fuoco interiore non è uno slancio, è una costante imperitura, una dato costitutivo, una componente del DNA esistenziale.
La tiepidezza è figlia degli innamoramenti dell’identità, di quel suo incendiarsi e poi stemperarsi fino a scomparire e cercare di nuovo l’incendio, l’eccitazione, il senso da conferire all’esistere: lontana anni luce dal fuoco, eppure in esso si specchia e ne è pallido riflesso.
Il fuoco non si attiva, esiste da sempre; non si ricerca, è evidenza che si impone e non si può scansarlo, determina la direzione dell’esistenza e la tiene in pugno.
La tiepidezza ci ammorba come un male e toglie il colore e il profumo ai fiori: è i sì che non sono sì e i no che non sono no.
Il fuoco esiste per comprensione conseguita; la tiepidezza è interna al processo delle comprensioni, ne è il frutto acerbo che non conosce il sole dell’estate mediterranea, quell’essere esposti all’implacabile quando il tempo è divenuto immobile.
Coloro che dopo una incarnazione dissoluta ne vivono un’altra tutta dedita allo spirito, sono dei tiepidi, non sono arsi dal fuoco che giunge quando alla comprensione si è palesata come inequivocabile la vocazione all’unità
Le persone arse dal fuoco si riconoscono, sono quelle che noi chiamiamo monaci, coloro che si dedicano, oltre il tempo, al processo di unificazione.
Le persone tiepide sono quelle che si affollano attorno al fuoco nella speranza di trarne vantaggio esistenziale.
Non so se per loro sia produttivo, si conosce il fuoco solo per comprensione, ma forse la prossimità aiuta a comprendere. Probabilmente è così.
La natura che ha intessuto quest’essere che porta il mio nome, è sempre stata quella del fuoco: la vita, che impropriamente definisco mia, è una combustione di comprensioni e di non comprensioni, non conosco altro modo, né coltivo altro desidero.
Ho conosciuto molti tiepidi, persone che avevano molte cose da fare, siamo stati buoni compagni di cammino per tratti anche lunghi delle molte strade percorse, le diverse priorità ci hanno diviso.
Non vivo per conoscere il fuoco, esso è la trama e l’ordito del tappeto della mia esistenza.
Non vivo per divenire il fuoco, esso è intenzione, pensiero ed azione e fluisce senza sosta.
Rifuggo da coloro che amano queste parole, mi spaventano: si entusiasmano, ma hanno altro da fare.
Abito lontano dal mondo che brucia ogni cosa, che la consuma e infine la rende sterile e arida.
La compassione per le persone del mondo mi attraversa, sento la loro confusione, il loro incespicare, la loro paura e resistenza.
Posso solo ardere, questo è il mio contributo, questo consegno senza scopo alcuno.
Una vita di combustione non per scaldare, non per illuminare: una vita che brucia e che può solo bruciare, che non ha bisogno di giustificazione, ma che, di certo, non brucia per sé, perché nulla nel cosmo è per sé, tutto accade per tutti, tutto è di tutti e dunque quel bruciare è dono che sorge non dalla volontà di una identità, ma come evidenza che si palesa, che si offre obbedendo ad una legge, ad una disposizione, non ad una scelta.
Un soggetto sceglie, chi è intessuto e creato dal fuoco non sceglie di donarlo, la sua esistenza è dono: il fuoco è lì, per tutti coloro che lo vedono e lo sentono.
Il fuoco non può divenire tiepido, non è nella sua natura, il compreso non si annacqua.
La tiepidezza un giorno si scoprirà fuoco: di comprensione in comprensione acquisirà il vero e il giusto ed uscirà dalla mediocrità del mezzano.
Mentre molte sono le gradazioni della tiepidezza, alcune oramai prossime al fuoco, uno solo è il fuoco e non lascia libero arbitrio, non ammette fuga.

Scritto il sabato prima del giorno della Pasqua, del passare-oltre.

 

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11 commenti su “Fratello fuoco, sorella tiepidezza”

  1. E’ sicuramente, questa, una questione fondamentale per ciascuno di noi. Pensavo proprio, prima ancora di leggere il post, di dire qualcosa in merito questo sabato.
    Grazie

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  2. “Non vivo per conoscere il fuoco, esso è la trama e l’ordito del tappeto della mia esistenza.
    “Non vivo per divenire il fuoco, esso è intenzione, pensiero ed azione e fluisce senza sosta.”
    E se uno non ha queste dotazioni di base in questa vita come fa?

    E ancora “Rifuggo da coloro che amano queste parole, mi spaventano: si entusiasmano, ma hanno altro da fare.”
    Mi annovero tra queste persone, tra i tiepidi perché avrei potuto fare di più in questa vita e tirato giù qualche no in più a suo tempo.

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    • Ad Alessandro. Credo che ciascuno debba trovare la collocazione adeguata al proprio fuoco, o alla propria tiepidezza; questa seconda condizione non ha, evidentemente, alcuna connotazione negativa.
      Ciascuno, conoscendosi, vede per cosa arde e se arde; per cosa è tiepido e se è tiepido in che grado.
      La commistione tra fuoco e tiepidezza può essere problematica: tutta la situazione attuale potrebbe essere letta con questa chiave di lettura.
      Se il fuoco si associa ad altri fuochi e costituisce un organismo coeso, può reggere la presenza della tiepidezza e può anche accompagnarla e aiutarla efficacemente.
      Se il fuoco si ritrova solo o quasi, la possibilità di reggere la tiepidezza col tempo svanisce, esso finisce per essere smorzato e snaturato.
      È un problema di pesi ed equilibri, dipende quanti fuochi ci sono e di che natura, quante tiepidezze e di che potenza.

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  3. Accolgo con gratitudine e vicinanza questo tuo post Roberto che avverto libero e alleggerito da alcuni pesi. Stamattina avevo scritto una riflessione più articolata e rispondente al mio sentire ma poi la connessione Wi-Fi si è interrotta e non sono riuscita ad inviare il messaggio. Ora, dopo ore o ore di ospedale mi sento svuotata, le parole non fluiscono, ma ci tengo comunque a partecipare nel mio piccolo. Posso dire che in me coesiste il tepore con il fuoco, certo il tepore della cenere spesso sembra prevale sulla brace, quasi soffocarlo, ma come si può spegnere ? chi ne ha il potere? certo possiamo ignorarlo, non alimentarlo, crogiolarci nel tepore piuttosto che calarci nel calore della fiamma. Eppure la cenere serve per mantenere vivo il fuoco, ed è solo se riconosco e accetto la mia tiepidezza che potrò ardere meglio. …mentre molte sono le gradazioni della tiepidezza alcune oramai prossime al fuoco, uno solo è il fuoco e non lascia libero arbitrio, non ammette fuga

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  4. Credo che a volte il divenire, con le sue illusorie urgenze mi faccia essere tiepida, eppure sotto il percorso è chiaro, come tu lo descrivi.

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  5. In questa fase del nostro cammino comune è quanto mai essenziale curare il conosci te stesso. Cercare di riconoscere la presenza di quel fuoco interiore o il livello della tiepidezza. Illudersi di essere diversi da ciò che si è rappresenta una trappola identitaria particolarmente nociva, come un freno a mano tirato, un’ipoteca sul proseguimento del percorso

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  6. Ciò che descrivi, mi interroga nel profondo. Riconosco in te la natura del fuoco, riconosco il bisogno primario di ricongiungerti alla fonte. Comprendo, che ormai le beghe più improntate al fare, ti sono di zavorra e che non è più tempo di indugiare. Quel fuoco ha contribuito a riscaldare molti tiepidi, compresa me. Credo che una piccola fiamma si sia fatta strada. Non ho pretesa alcuna. La Vita si presenta e l’accolgo.

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