Tra divenire ed essere: oltre la nozione di limite

La realtà si può osservare, interpretare e vivere dal punto di vista del divenire, o da quello dell’Essere.
Ciò che nel divenire è un’evidenza, nell’Essere può non avere senso alcuno.
Dal punto di vista del divenire, tutto diviene: l’umano diviene da ego ad amore, la coscienza amplia il proprio sentire, il tempo scorre insieme alle esperienze e la visione di sé e del mondo muta con esse. Tutto diviene ed è logico affermare che il seme diverrà pianta e che tutti gli esseri giungeranno ad essere Uno.
Nell’Essere questo ragionare non ha senso alcuno: il seme non diverrà mai pianta, perché l’Essere contempla solo il momento presente e non coniuga il passato al presente e al futuro; dunque il seme rimane tale in eterno.
Quel mio comportamento, quella disposizione con quelle caratteristiche non è destinata ad evolversi: quella è, in quel modo accade in quel presente e mai si ripeterà, né evolverà in alcun modo, in eterno.
Nell’Essere nulla evolve, tutto è senza tempo, in un eterno presente.
Ciò che nel divenire viene associato e collegato creando una successione logica e temporale, nell’Essere è un dato a sé stante, è quel fatto svincolato da ogni altro fatto, senza tempo, senza successione, senza continuità e connessione alcuna con altro.
Questo, che è principio filosofico, è anche e innanzitutto realtà inequivocabile per il contemplante che abbia la capacità di osservare il fondo del reale.
Ora, dati questi presupposti, parlare di limite ha senso solo nell’ottica del divenire: là dove mi vedo in divenire, divengo consapevole del mio limite ed opero per il suo superamento attraverso il processo della conoscenza, della consapevolezza e della comprensione.
Questo per la persona consapevole; l’inconsapevole non diviene consapevole del proprio limite, si limita a superalo semplicemente sperimentando.
Nell’ottica del divenire io sono in continua trasformazione e il mio orizzonte è raggiungere l’unità con il Divino, irrimediabilmente altro da me, Colui che non diviene essendo perfetto.
Ho un’origine, vivo un processo che mi porta a superare la mia limitazione, posso/debbo raggiungere un obbiettivo: questa è la logica propria di ogni essere identificato con il divenire e che parte dal programma/archetipo/presupposto di essere un portatore di limite. L’Assoluto è la perfezione verso cui tendo nella fatica e, spesso, nella sofferenza.
Questa logica copre un aspetto del reale, o forse sarebbe meglio dire una interpretazione del reale, ed ha un senso per un lungo tratto di strada, fino a quando non è maturato un sentire che apre su possibilità di comprensione e di esperienza molto differenti.
Quando il sentire lo permette, l’esperienza dell’Essere si presenta e porta con sé lo svuotamento di senso di ogni divenire e l’affermarsi di una precisa esperienza unitaria.
Prima di allora l’unità d’essere è un ideale filosofico, morale, spirituale: da quel momento è un dato d’esperienza. La persona sperimenta in sé la duplice realtà del divenire e dell’Essere, ma la sua attenzione e la sua devozione sempre di più si spostano verso l’Essere; il divenire si svela nella sua illusorietà e diviene quell’ambito in cui qualcosa ancora deve essere portato a compimento, e dunque se ne riconosce il valore, ma non ha più la priorità di un tempo.
Si vive allora su due binari paralleli: su di uno si completa ciò che è necessario muovendosi nell’ottica del divenire e del limite; sull’altro si contempla la realtà e si osserva il suo fondo.
Ogni persona vive in modo personale e originale l’equilibrio tra le due sfere esistenziali e in certe fasi predomina una, in altre l’altra a seconda del sentire che si impone.
Questi discorsi non hanno alcun senso per coloro che a quella duplicità di sguardo non sono ancora giunti nel sentire; sono invece centrali per quanti lì sono e a volte non sanno come tenere assieme i due occhi.
Per questi ultimi, quando sentono che è giunto il loro tempo, è necessario fermarsi, osservare, contemplare il reale imparando a conciliare quello sprofondare nello stare, con il lavoro residuo che parte dalla consapevolezza del limite che sorge dall’altro sguardo, quello del divenire.
Concretamente: la persona che ha compreso che c’è ben altro oltre ciò che appare, può oscillare tra divenire ed Essere ed imparare a sviluppare entrambi i paradigmi: dal punto di vista del divenire porta a compimento la propria umanità, evolve il proprio sentire attraverso le esperienze, dà un senso ai propri giorni e alle proprie relazioni.
Mentre vive questo, crea ampi spazio di disconnessione, di stare, di spazio e di assenza di sé che le permettono di entrare, a profondità diverse, in quel fondo dell’Essere.
Più frequenta l’Essere, più vede chiaro nel divenire.
Più sperimenta nel divenire consapevolmente, più comprende, più le si dischiude l’Essere.
Alla fine c’è un sostanziale risiedere nell’Essere e un pieno vivere nel divenire con la capacità di sperimentare la simultaneità dei due stati: il fondo, la piattaforma stabile e consapevole è rappresentata dall’Essere e su di essa danza l’effimero, ma ineludibile, divenire.
In un’ottica c’è il limite che evolve, si trasforma e scompare; nell’altra non c’è alcun limite, né mai c’è stato, né alcun essere lo conosce.
Questa è la dimensione in cui un fiore è solo un fiore; il seme di un fiore, solo un seme. Un’emozione è solo un’emozione. Un pensiero, solo un pensiero. Un cielo nuvoloso, solo un cielo nuvoloso. Quel modo di essere, solo un modo di essere. Dio, è solo dio.


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8 commenti su “Tra divenire ed essere: oltre la nozione di limite”

  1. Il post arriva a proposito!
    Proprio oggi stavo rimuginando sulla possibilità di vivere entrambi i paradigmi e sulla possibilità di fare, progettare, di imparare dalle esperienze …e allo stesso tempo di aprire ampi spazi di disconnessione, dove un fatto è solo un fatto, dove si sta e basta.
    “Un fatto è solo un fatto”, credo, dopo che esso ci ha consegnato il suo significato, il suo insegnamento. Ciò affinché la disconnessione non sia rimozione. Ho compreso bene? Grazie!

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    • Si, è così Roberta. Un fatto è un simbolo, ma è anche solo un fatto. Ci sono situazioni in cui noi molliamo la presa, e quindi andiamo oltre anche la necessità di leggere i simboli e consideriamo quel che viene solo qualcosa che scorre, che fluisce: questa è la disposizione contemplativa.
      Naturalmente questa disposizione si alterna con l’analisi e la lettura simbolica: non si può sempre interpretare, non si può sempre contemplare.

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  2. Non posso dire di essere giunto a quella duplicità di sguardo di cui parli. Ne ho forse avuto qualche assaggio o forse neanche quello. Tuttavia sento che quello che dici un senso per me ce l’ha. È anche molto chiaro, contrariamente ad altri dove c’è sempre qualcosa che mi rimane di difficile comprensione. Oserei dire cristallino…
    Grazie

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  3. Grazie ..sempre illuminante..!
    ma mentre quando parli del divenire tutto mi sembra chiaro e consolidato, quando affronti l’argomento essere ..sento il limite inevitabile delle parole…nonostante che le tue siano assolutamente mirate e pesate…ma e’ come se la descrizione dello stare nell’essere sia impossibile da comunicare verbalmente..con i nostri consueti strumenti cioè’ le parole.

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  4. Nella mia esperienza quotidiana vivo intensamente l’esperienza di questi due piani, ma l’intensità è data dal fatto che c’è davvero una forte sensazione che questa dualità sia solo illusoria, ma che contemporaneamente la danza fra le due dimensioni sia vitale e vivificante, non è così facile spiegarmi, ma posso dire che questa consapevolezza non genera confusione o contrasto, ma un profondo senso di pace…

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  5. Molto chiaro davvero, grazie. Comprendo quando dici: un fiore è solo un fiore, un seme è solo un seme. Pur essendo consapevole, invece, che un’emozione e un pensiero sono solo se stessi e non il recitato mentale che fanno scaturire, non sempre riesco a vederli con il necessario distacco.

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