Possiamo recare danno ai nostri figli?

Commenta Maria al post Amare non è dire si, non è soccorrere, non necessariamenteMi Chiedo quali siano i risvolti di tutto ciò in ambito educativo: come posso non influenzare con il mio comportamento un piccolo? È rassicurante pensare che comunque tutto serve alla sua evoluzione, ma ciò non deve frenare la spinta a migliorare dei comportamenti che avvertiamo inadeguati.
Due livelli di interpretazione sono possibili:
– un figlio è sempre nella famiglia che gli è necessaria e nella relazione che gli è funzionale;
– un figlio ha un tracciato esistenziale suo che in parte si interseca con quello dei genitori, in parte no.
Non affronterò il secondo punto perché Maria ha posto l’accento sul primo, e immagino che l’analisi che si può sviluppare a partire dalla soggettività del reale non sia per lei una priorità.
Un figlio è sempre nella famiglia che gli necessità, sia quando la famiglia lo abusa, sia quando lo accudisce.
Perché? Perché altrimenti dovremmo dire che esistono bambini fortunati e altri sfortunati, il che sarebbe un bel modo logico di leggere la realtà.
La famiglia non è il luogo dell’abuso e dell’accudimento, è il tempo e lo spazio in cui si compie un disegno karmico ed evolutivo: se non comprendiamo questo, discutiamo del niente.
Premesso questo, quanto una madre e un padre influenzano un figlio?
Nella misura del necessario esistenziale per quel figlio.
Mille e mille scene di relazione vive apparentemente quel figlio con i suoi genitori , ma quante sono da lui sentite?
Non mille e mille, molte meno, alcune scene sono solo ad uso dei genitori, ma ho promesso che di questo non avrei parlato.
Ammettiamo che nella ferialità dei giorni, un figlio senta tutte le scene che vive con i suoi genitori: come le sentirà?
Come esse si imprimeranno nel suo interiore? In relazione, ad esempio, a quanto l’avrà fatto grossa il genitore, a quanto avrà sbagliato? Siete sicuri?
O si imprimeranno a seconda dell’area di sentire che andranno ad impressionare e dunque a seconda di quanto e quale incompreso vi sia nell’area influenzata che ha bisogno di essere integrato?
In altre parole: una sclerata di un genitore può cadere nel vuoto del sentire del figlio perché questo non ha nulla da imparare da quella sclerata.
Un sussurro di un genitore può riverberare forte nel sentire se riguarda una criticità, un non compreso che quel figlio ha necessità di affrontare.
Non conta dunque il modo? Certo che conta! Una sclerata produce stress e può essere un pessimo esempio se è reiterata senza limite perché induce all’imitazione, ma se quel figlio non ne è toccato esistenzialmente, se quello delle sclerate non è qualcosa che deve imparare a trattare e a gestire, i danni si limiteranno allo stress e al cattivo esempio.
Quindi, in che modo un genitore influenza un figlio? In innumerevoli modi, superficiali e profondi: quelli profondi sono quelli esistenziali dove il genitore è, per il figlio, l’altro-da-sé, il collaboratore efficace, l’officina esistenziale necessaria e indispensabile.
Può un genitore indurre un figlio a compiere scelte esistenziali sbagliate? In parte.
Può cioè complicargli il cammino, renderglielo più faticoso ma, prima o poi quel figlio affermerà la sua priorità esistenziale.
Ci sono figli che hanno condotto le vite che volevano i loro genitori? Così essi credono, a volte, ma così non è.
Ciò che può essere, è che un genitore ti condizioni a tal punto da indurti a condurre la vita A, e non la B che tu vorresti, ma le sfide esistenziali, le comprensioni che potrai acquisire rimarranno intonse: nella forma A imposta dal genitore, vivrai tutte le necessità esistenziali che liberamente avresti sviluppato nella forma B da te scelta senza condizionamento.
Certo, aver dovuto vivere nella forma imposta da un altro non è il massimo, però non è nemmeno la questione centrale: ciò che aliena in modo irreparabile una persona è il non poter compiere il proprio cammino esistenziale.
È possibile che qualcuno possa essere in questa condizione di impedimento? Non credo.
Il genitore che opera il condizionamento, può esserne consapevole o meno: se è consapevole impara alla luce del sole, il figlio è il suo collaboratore efficace che lo costringe ora ad avanzare, ora ad arretrare, ora a scomparire.
Maria teme che il nostro sapere che tutto serve alla evoluzione dei nostri figli ci induca ad un eccesso di clemenza nei nostri confronti, a non cercare di migliorarci.
Un genitore che ha compreso che tutto nutre il cammino esistenziale dei figli, è difficile che poi possa sottrarsi ad una lettura puntuale, ed anche severa, di sé: se oramai hai gli occhi per vedere, vedi.
Se un genitore non è consapevole del suo operare, è comunque collaboratore del processo esistenziale del proprio figlio: la realtà è strutturata in modo tale che, comunque, quello che deve essere appreso lo è, e quello che potrebbe inficiare il processo di comprensione, non è sentito dal ricevente, ma qui rientriamo in quell’aspetto che ci siamo promessi di non trattare.
Tutto quello che abbiamo detto in merito al condizionamento dei genitori sui figli, vale anche nel senso opposto, in ciò che la relazione figlio-genitore provoca e induce in quest’ultimo: il vivere altro non è che un imparare, un conoscere, un divenire consapevoli ed, infine, un comprendere, ovvero un ampliare lo stato del proprio sentire di coscienza e questo processo si compie attraverso un immenso gioco di ruolo che ora ci vede in un ruolo, ora in un altro e, comunque, quando siamo in un ruolo, sempre impariamo e sempre insegniamo qualcosa.


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16 commenti su “Possiamo recare danno ai nostri figli?”

  1. Potente l ‘immagine che si possa raggiungere il sentire di un figlio anche con un sussurro. Mi rendo conto che l’officina famiglia è quella in cui ho più necessità di sporcarmi le mani, perché lì riesco veramente a dare il peggio di me. A volte sperimento la comunicazione sul piano del sentire proprio per non fermarmi sul giudizio di un’azione compiuta, e risalgo piuttosto sull’intenzione che l’ha mossa.
    Ringrazio Natascia per la sua intima condivisione e mi inchino al lavoro delle sue comprensioni .

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  2. Scusate il ritardo, ma la questione dibattuta la sento molto. Per me non è semplice parlare dell’argomento. Quando perdi un figlio, come è successo a me, non è facile affrontare l’argomento di quanto danno possiamo fare ai nostri figli. Certo, aver avuto modo di avvicinarmi al paradigma del Sentiero, mi ha aiutato molto nella comprensione e nell’elaborazione della storia della mia famiglia. Oggi posso dire che la Vita mi ha dato i pesi che potevo sostenere. Posso anche dire che i miei figli sono stati e sono ancora, sicuramente i miei collaboratori più efficaci. Non è certo un caso che mi sono ritrovata in un gruppo di persone il cui intento è andare oltre ciò che appare e dare una lettura più profonda della realtà. Nel modo comune di pensare, sarei stata sicuramente vittima e carnefice allo stesso tempo. Attraverso l’insegnamento del Sentiero ho imparato a non pormi né nell’uno, né nell’altro modo. Cerco di osservare i fatti della Vita, non senza emozioni certo, ma cercando di capirne il senso profondo. E quando non ci riesco, provo ad accettarli, nella fiducia che ciò abbia un senso per me o per qualcun altro. Cerco di stare nel presente, in ciò che accade. A volte ci scappa il giudizio, ma se ho modo di osservarmi o se qualcuno me lo fa notare, cerco di riportarmi a zero. Per questo per me è importante potermi confrontare con tutti voi, perché sento che al di là che certe questioni possano suscitare giudizi immediati, poi c’è una possibilità di confrontarsi su un livello più profondo e vero. Un abbraccio a tutti voi.

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    • Dovremmo superare la nozione di giudizio: direi che la giusta espressione è “non rimanere aderenti al giudizio proferito”.
      La mente, in qualità di strumento duale, etichetta e paremetra e il giudizio non altro è che la risultante di queste due qualità della mente.
      Il problema non è se la persona usa la mente, ma se si limita ad essa.
      È nelle cose che di fronte ad un fatto, lo si inquadri, in prima istanza, con la mente; l’importante è ciò che accade in seconda istanza, quando il fatto viene inquadrato nell’ottica del sentire.

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  3. L’assenza di psicologi e psicoterapeuti nel nostro gruppo sarà un caso? A parte la battuta, mi chiedo che relazione può esserci tra il nostro paradigma e le conoscenze portate dalla psicoanalisi a partire dal secolo scorso. Possono essere utili per promuovere il processo evolutivo del singolo e della collettività e fino a quale livello?

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    • Si, molto utili Mariella. Naturalmente fino ad un certo livello, quello che riguarda le dinamiche identitarie.
      Poi, quando la persona è sufficientemente stabile e con solide fondamenta nella lettura e interpretazione di sé, si entra in un campo che non compete più alle “scienze dell’io”.

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  4. Grazie, le tue parole e il conseguente dialogo con Paolo mi hanno offerto squarci di conoscenza, sulla comprensione devo ancora camminare….

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  5. ‘ciò che aliena in modo irreparabile una persona è il non poter compiere il proprio cammino esistenziale.’
    Molto chiaro.
    Se ci sarà lo spazio necessario su questo tema mi piacerebbe leggere una tua riflessione che parla del secondo aspetto della relazione con i figli, quella da un punto di vista più esistenziale.
    La vita imposta dal padre A porta le stesse comprensioni al figlio che avrebbe voluto una vita B ma a quale prezzo? C’è più sofferenza per il figlio? E quando dici ‘in parte’ può cambiarla da un punto di vista esistenziale a cosa ti riferisci?

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