Da primi ad ultimi: dalla centralità di sé, alla vita

Dal vangelo di Tommaso: 4. Gesù disse: – L’uomo vecchio, nei suoi giorni, non esiti a interrogare il fanciullo di sette giorni¹ sul Luogo della Vita² ed egli vivrà. Poiché molti che sono i primi saranno gli ultimi e diventeranno uno solo³.
1) Ricorda solo in apparenza Mc. IX 37; Mt. XVIII 3-4; Lc. IX 48, e Mt. XI 25 e Lc. X 21, che sono lodi dell’innocenza e semplicità dei fanciulli. Qui l’affermazione poggia su di una precisa teoria antropologica che i Philosophumena V 7 citano con una frase attribuita ad Ippocrate: «Il fanciullo di sette anni è la metà di suo padre», ossia: a sette anni il fanciullo ha raggiunto la pienezza dell’uso della ragione come un adulto-, dai sette ai quattordici acquisterà l’altra metà delle doti necessarie a completare il ciclo evolutivo, ma saranno solo più caratteristiche fisiche, legate alla carne, alla materia. A sette anni è quindi nelle condizioni migliori per una vita spirituale, non contaminata.
2) Il «Luogo della Vita» o semplicemente il «Luogo» (in ebraico maqom), come la «Luce» sono termini correnti nello gnosticismo («Luce» anche in Giovanni) per indicare la divinità e la sua sede. La terminologia è già nel Timeo di Platone.
3) La prima parte della sentenza è sostanzialmente uguale in Mc. X 31; Mt. 19 30; XX 16; Lc. XIII 39 e simile in Mc. IX 35 e Lc. IX 48. Per la seconda, cfr. Jo. XVIII II, 21, 23-24.
Gesù è l’insieme delle scintille di luce che sono appunto gli gnostici. Il vecchio che non esita a interrogare il fanciullo è l’uomo di fronte alla vita, che egli rischia di non raggiungere se non diverrà uno solo con essa ritrovando così l’unità primordiale.
Traduzione e commento M. Craveri, I vangeli apocrifi, Einaudi.

Riferimenti nei sinottici:
Mc 10,31 Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi.
Mt 19,30 Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi.
Lc 13,30 Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi.

La persona esperta della vita, e magari realizzata, non esiti a confrontarsi con tutto ciò che le si presenta come non previsto, prevedibile e auspicabile; libero dal condizionamento in cui la sua esperienza la confina, si apra a ciò che la vita le offre nella sua immediatezza presente.
La persona macerata dalla vita e dalle esperienze, non rimanga prigioniera del proprio credere, dalle proprie visioni, coerenze ed incoerenze, degli archetipi cui aderisce, di ciò che la stabilizza e la quieta nell’interiore rendendola refrattaria al reale che bussa: apra la propria mente ed il proprio sentire all’imprevisto, all’inaspettato, al non controllato e controllabile, al non convenzionale, al semplice altro-da-sé che viene attraverso il gesto, la parola, la presenza dell’irrilevante altro, di colui che è privo di funzione e ruolo sociale, di chi non è integrato nel proprio personale  e conosciuto sistema valoriale.
La persona si faccia spiazzare dalla vita che viene e chiede ascolto, osservazione, accoglienza: il “fanciullo di sette giorni” è simbolo di Gesù come dell’iniziato alla gnosi, ma di certo rappresenta tutto quello che nella vita si incunea nel muro della nostra superficialità ed indifferenza.
Il “fanciullo” è lo scoiattolo che salta di ramo in ramo e che, per la prima volta, vedi e ti fermi ad osservare incantato.
Il “fanciullo” è l’immigrato davanti al supermercato che, finalmente, accetti di incontrare e di riconoscere aprendoti alla sua condizione: attraverso di lui tu contatti il “fanciullo di sette giorni”, la freschezza della vita liberata dalla paura, il gesto generoso, l’amicizia per lo sconosciuto, la rottura del tuo muro interiore e l’afflusso della semplice realtà dell’essere delle cose.
Il “fanciullo di sette giorni” è una condizione interiore propria a ciascuno: è ciò che emerge quando non si ha più paura, quando non si fugge da sé, quando si ha il coraggio di incontrare il proprio limite.
Allora, le barriere tra sé e la propria natura più profonda cadono: il limite cede il passo al non condizionamento; la centralità di sé, così a lungo coltivata, lascia il posto alla vita che si presenta nuova e fresca, vitale, mai sperimentata prima. Questo è il “fanciullo di sette giorni”.
L’uomo che pensava di essere il primo e che divideva il mondo tra primi ed ultimi, scopre la vita vera in quegli aspetti, in quei modi, in quelle disposizioni che mai aveva considerato, anzi, che aveva sempre ritenuto non centrali, non importanti, secondarie, ultime e irrilevanti.
Colui che doveva arrivare, realizzare, costruire, guidare, controllare, si ritrova a perdere il suo tempo, a contemplare l’irrilevante, a dedicare la sua vita a ciò che per il mondo non ha alcun valore ma per lui, quei piccoli fatti, sono divenuti tutto. Tutto-ciò-che-è.
Il primo è divenuto ultimo e lì, in quella assenza di condizionamento, in quella perdita di sé ha trovato l’unità interiore del proprio essere e l’unità con tutti gli esseri con cui condivide l’esperienza del vivere. OE,ID2.4


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6 commenti su “Da primi ad ultimi: dalla centralità di sé, alla vita”

  1. Si tratta di non tracciare confini, o di abbattere quelli precedentemente segnati. Tra ciò che riteniamo appartenente al nostro mondo e ciò che invece riteniamo estraneo o non rilevante. Quante volte l’ho fatto. Quante volte continuo a farlo. Ma sicuramente non come prima. Adesso, anche quando succede, un campanello suona.

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  2. “Il fanciullo di sette anni” in questi giorni si mostra con il volto della vita che irruente si presenta. La vita che ti interroga e che abbatte le tue certezze. E questo è un bene. Dove c’è atttrito alla vita lì c’è centralità, c’è bisogno, c’è aspettativa, c’è giudizio. E laddove tutto questo è presente inevitabilmente c’è dolore.
    “Il fanciullo di sette anni” distrugge le certezze dell'”uomo vecchio”, gli mostra la strada da percorrere: da Ego ad Amore.

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  3. Grazie di questo post: è bello leggerlo, alla fine di questo intenso we…in cui ho varie volte cercato, anche se non sempre con successo, di ritornare a zero…

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