L’impossibilità di giudicare: alcune ragioni

I corpi dell’individuo incarnato, come ormai dovreste sapere, non vengono costruiti lasciando al caso o alla natura e ai suoi processi fisiologici il compito di formarli, ma hanno uno stretto legame sia con il percorso evolutivo compiuto nel tempo dall’individualità che si incarna, sia con i suoi bisogni di sperimentare il mondo fisico per acquisire quelle piccole o grandi comprensioni che il suo corpo della coscienza non è ancora riuscito a sistemare al suo interno nel corso del suo incessante tentativo di adeguamento alle norme con cui la Vibrazione Prima ha pervaso il Cosmo in cui l’individuo incarnato si trova a essere inserito.
Questo significa che i corpi inferiori dell’individuo che costituiscono la sua interfaccia con il piano fisico e che modulano la sua reattività alle situazioni che si trova ad affrontare sono strettamente personalizzati e adeguati a quelli che sono i suoi bisogni evolutivi, dando vita a quell’illusione che è l’Io (illusorio ma, a ben vedere, indispensabile per agire all’interno delle varie esperienze mettendo in campo ciò che l’individuo è realmente a livello evolutivo).
Data la molteplicità di elementi che entrano in gioco nella costruzione dei corpi inferiori essi sono costruiti sulla scorta di innumerevoli variabili che rendono ogni corpo astrale, mentale o fisico di ogni individuo in gran parte diverso da quelli di ogni altra individualità incarnata, rendendo ognuno di questi corpi qualcosa di unico, sia nella sua costituzione sia nella maniera in cui gestisce i suoi rapporti con gli altri corpi e, di conseguenza, nel modo reattivo in cui si pone al confronto con le esperienze che via via gli si presentano.
E’ ovvio che per comprendere veramente quello che muove ogni individuo nella conduzione della sua vita non è possibile basarsi sulla semplice osservazione delle sue reazioni alle esperienze, ma è necessario avere certezza del suo grado di evoluzione e di quali sono gli elementi che il suo corpo akasico non ha ancora posizionato al suo interno, ed è altrettanto ovvio che ciò non può essere possibile, cosicché l’esprimere giudizi su un’altra persona diventa solo un mero esercizio mentale inadeguato al compito che ci si prefigge in quanto, per emettere il proprio giudizio, si usano solitamente i parametri forniti dalle norme della società in cui si vive, confrontandoli con quelle indicazioni che provengono dal proprio sentire, a sua volta incompleto e frammentario e, per questo, estremamente soggettivo e poco attendibile nella sua analisi delle motivazioni più profonde di un’altra persona.
L’espressione del giudizio diventa ancora più aleatoria se si considera che esso viene a formarsi basandosi sull’osservazione dei modi reattivi dell’altra persona paragonandoli a quelli che sono le proprie personali reattività, non tenendo conto che la reattività alle esperienze è gestita dall’interazione di tutti e tre i corpi inferiori e, di conseguenza, proprio a causa dell’unicità di ogni corpo personale, in gran parte differenti da quelle che sono le nostre risposte alle esperienze che si affrontano nel corso della vita.
L’insieme di tutte queste considerazioni rende evidente come sia estremamente difficoltoso giudicare il comportamento di un’altra persona e, in fondo, come risulti spesso molto difficile anche dare il giusto supporto alle persone in difficoltà con cui capita di rapportarsi nel vivere la vita.
D’altra parte, ricordiamo che cercare di aiutare un’altra persona, se pure ad essa possa risultare di nessun reale aiuto, è comunque estremamente utile a chi porge il suo aiuto, perché con il suo agire si trova davanti ai suoi limiti e alla possibilità di osservare quanto il suo aiuto nasconda, sovente, dei secondi fini egoistici, in perfetto accordo con quanto vi abbiamo sempre detto, ovvero che il rapporto e la presenza delle persone intorno a voi risulta necessario e indispensabile per favorire la crescita della comprensione di voi stessi. (Vito, Cerchio Ifior) OE,3.4


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2 commenti su “L’impossibilità di giudicare: alcune ragioni”

  1. Nella logica evangelica il giudizio della coscienza (cuore in ebraico) spetta solo a Dio, l’unico che la conosca fino in fondo. Il giudizio divino non è di condanna, secondo una logica di separazione, bensì di giustificazione, ossia rendere giusto (= fedele) colui che viene giudicato. Non una realtà moralistica ma esistenziale, di conoscenza di sé, per svolgere il cammino evolutivo verso il dono di sé. Che nella prassi le chiese ed i cristiani si siano spesso mossi in tutt’altra direzione è un dato di fatto che riflette le comprensioni raggiunte

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