Perché è importante il logoramento nella pratica meditativa?

Perché solo quando la mente è logorata dal tempo che non passa, dalla noia, dal non avere agganci e sollazzi, dal dolore fisico della postura, magari, dal disturbo dei pensieri che non vogliono mollare la presa, dal senso di fallimento per la pessima pratica che si sta attuando, solo quando la mente coglie la totale inutilità di quella pratica, stiamo entrando nella pratica vera ed autentica.
Non si pratica una forma qualsiasi di meditazione per divenire migliori, mossi da uno scopo: se lo si fa, si è dei perfetti asini.
La meditazione è pratica di gratuità: è specchio dell’essere che accade e del divenire che scorre senza coerenza e senza essere più tenuto assieme dalla volontà di un soggetto.
La meditazione è vita che è, quando è meditazione autentica, altrimenti è la piccola pratica del piccolo essere che cerca qualcosa e che, in quanto cercatore, è protagonista e, essendo protagonista, al centro pone il suo praticare, non la vita.
Questo nega la natura stessa del praticare la vita, della meditazione.
Dice Dogen, il fondatore dello zen di scuola Soto, che lo zazen è l’illuminazione in atto, essendo l’illuminazione niente altro che vita che accade dove il soggetto non è più esterno, osservatore, altro dall’accadere: essendo divenuto neutrale il soggetto, ciò che resta è solo la vita che accade registrata dal sistema sensoriale del percepente.
La vita diviene presa d’atto: non io che vivo, ma la vita che è, dove io è interno alla vita e non altro, è vita al pari di ogni altro fatto.
Mi osserverete che quella condizione d’essere accade anche senza il logoramento della mente: certamente, accade quando vuole, sorge come dono e non come frutto della volontà.
Ciò nonostante, a me preme porre l’accento sul senso di fallimento che il meditante spesso sperimenta durante una sessione, e sul rovesciamento di quel senso: quando la mente è logorata dal tempo e dall’inutilità, quello parla del suo scacco, parla di noi che non accettiamo fino in fondo il semplice accadere dei fatti e che, nel profondo, abbiamo una pretesa, un’aspettativa, un’idea di come dovrebbe essere una sessione decente.
E invece una sessione è solo una sessione e l’unica cosa che possiamo fare è arrenderci alla sua irriducibilità, ai pensieri che sorgono, alla mente inquieta, al dolore della postura, quando c’è.
Arrendersi. Riconoscere lo scacco e non combattere. Morire nell’aspettativa. Stare con quel che è.
Vorremmo che quel che è fosse uno stato di calma e di profondità, e invece è di inquietudine e di sballottamento: lì, nella resa a quel che è, accade il determinante.
La resa è il determinante perché è l’apertura sulla dimensione del non controllo, della non centralità soggettiva, dell’abbandono fiducioso, della gratuità.
Quando le cose proprio non vogliono andare come tu le vorresti, puoi solo arrenderti: non c’è meditante che non abbia sperimentato questo e che non lo ritrovi ad aspettarlo ogni giorno.
L’accadere dei fatti – interiori od esteriori non conta essendo totalmente fittizia la separazione – è irriducibile a sé: arrendersi ai fatti è arrendersi alla vita riconoscendo che è l’unica esistente. Non il senso di me è reale, la vita è reale.
Muore l’osservatore e con esso il soggetto distinto e separato dal reale e si afferma ciò che è.
Perché tutto questo processo possa dispiegarsi è necessario tempo, darsi del tempo e non temere il logoramento che la pratica porta con sé.
Una pratica ben accetta alla mente col tempo diviene una consolazione, una delle tante: una pratica che porta allo scacco è sicuramente efficace.
Efficace per cosa? Per niente. La meditazione non serve a niente e solo i fessi e i saggi la praticano. OE, ID16.2

 

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5 commenti su “Perché è importante il logoramento nella pratica meditativa?”

  1. Quando la vita spinge nel cammino di “Conoscenza, essere consapevoli e comprensione”, diventa lei stessa pratica meditativa?
    La ricerca quotidiana ti pone davanti al dolore, alla fatica, alla gratuità alla volontà, posso dire anche all’Amore?

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    • Certo, la vita quotidiana diventa pratica meditativa.
      Per un lungo tratto di strada quell’attitudine va però preparata attraverso una pratica specifica, con modi e tempi specifici.
      L’amore è la nota che percorre tutta la sinfonia che chiamiamo vita: più diveniamo attenti e presenti, più questo ci diviene evidente.

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