L’epica della sequela

Prendo le mosse da questo commento di Enzo Bianchi. Nella visione cristiana c’è qualcosa di epico nella scelta che la persona si trova a compiere quando si sente interpellata dal messaggio-sentire di Gesù.
A me sembra che non ci sia alcuna epicità nella scelta: le persone che sono pronte nel loro sentire ad accogliere un altro sentire, evidentemente prossimo al loro, non fanno alcuna difficoltà. Ciò che si presenta appare loro naturale, in fondo già conosciuto anche se non in quella forma.
Quelle persone, in effetti, non hanno alcuna scelta: quel sentire è già in vario modo loro patrimonio e possono dire si o no ad una certa forma che lo rappresenta, ma non dicono si o no a quel sentire, lo dicono alla forma in cui si presenta loro.
Anche dicessero no a quella forma, finirebbero per dire si ad un’altra equipollente come ampiezza di sentire: o non direbbero alcuni si ad alcuna forma, e si limiterebbero a vivere quello che in loro già c’è e che, evidentemente, non manca di nulla di rilevante.
Qualora la scelta dovesse costare loro e avesse, appunto, una valenza epica, direi che è meglio per quelle persone lasciar perdere: se una scelta che si presenta è sorretta da una comprensione, non è difficile, è naturale.
Un determinato mondo interiore, genera determinate scelte esistenziali: un dato sentire produce i frutti relativi all’ampiezza conseguita.
Quando la persona deve discernere a lungo e magari combattere, forse sta cercando di mettersi un abito non suo suggeritogli dalla mente, dalla cultura, dagli archetipi cui aderisce, da una non corretta lettura della tensione esistenziale che la pervade.
Ci sono perone che possono dedicare la propria vita all’interiore e, quando lo fanno, non ne hanno alcun merito, per loro è naturale.
E ci sono persone che possono dedicarsi all’interiore nei ritagli di tempo, nelle feste comandate: è perfetta l’una e l’altra possibilità e ognuno aderisce in modo naturale ad un modo o all’altro.
Il discepolo si mette alla sequela del maestro perché tutto lo conduce lì, la vita ha “spianato per lui le colline e i monti” affinché, nella condivisione di un sentire, potesse portare a compimento la propria esistenza.
La sequela comporta poi un processo e, all’interno di questo, molte sono le cadute e molte le tratte nel deserto: la persona che dovesse abbandonare quel maestro, o quella via, perderebbe se stessa? Davvero?
O continuerebbe ineluttabilmente il cammino di unificazione in altre forme, magari nuove e inusitate alla sua mente?
Nessun sentire conseguito può essere perduto, nessuno può perdersi e condannarsi nelle mani del “divisore”.
Muoiono i maestri, le vie e le adesioni; muoiono le sequele e le promesse perché sono foglie nel vento, ma ciò che è compreso rimane e conduce inesorabilmente verso casa.
Ci deresponsabilizza questa visione? Chi sa di cosa parlo, sa che non ci deresponsabilizza affatto, ci toglie la pretesa della nostra volontà brandita come spada.


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5 commenti su “L’epica della sequela”

  1. parole…. pensieri……. equivoci…..tutto ragionato con la mente…..non si arriva da nessuna parte se non fai parte dell’insieme….chiamalo spirito santo…..chiamalo energia divina ….chiamalo come vuoi …Dio ….quello insegnatoci da Gesù…..quello è ( per me , almeno)

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  2. Quando ho conosciuto il paradigma del sentiero è stato come ritrovare pezzi mancanti di un puzzle…nessuna fatica,nessuna difficoltà . Ero a casa!

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  3. Che puzza di ego in certi atteggiamenti da discepolo, in sforzi eroici per seguire una via ed esservi coerenti…. Con la mente puoi ragionare giorni e giorni su di essi, potendo giungere a diverse conclusioni, anche opposte fra loro. Al sentire però questo racconto non interessa, coglie se c’è risonanza con l’attualità o se rappresenta una fase già acquisita e superata

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  4. Se per epico intendi eroico, sono d’accordo con te. Non c’è alcun merito nell’accogliere ciò che siamo pronti ad accogliere per comprensioni acquisite, anche se può succedere, credo, che la mente a posteriori cerchi di trarne un proprio tornaconto, ma è solo un moto della mente.

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