La via della compassione e il bisogno di un Dio da pregare

Dice Roberta G.: Le parole di Teresa, pur dolci e poetiche, non trovano piena rispondenza in me, qualcosa mi “stona”. Mi sembra che Teresa percorra la via della Devozione e che io sia su una diversa strada…una strada in cui non si nomina neanche Dio, o il Signore…  Mi è venuta in mente la conclusione della  poesia di Moti, alla quale mi sento vicina: ” …La tua vita avrà un senso, figlio mio, quando non avrai più bisogno di un Dio per dare credibilità e senso alla tua via.” Mi chiedo, anche, da dove nasce in me, e  in ognuno di noi, questo diverso sentire.
Il Sentiero non è una via devozionale e questo è evidente: in esso confluiscono persone che non hanno nell’affetto e nella devozione la loro personale focalizzazione.
Il Sentiero non è neppure una via concettuale: è una via fondata sulla compassione e generata da essa.
La devozione ha bisogno di un oggetto, almeno fino a quando non è divenuta pura gratuità.
La compassione, a prescindere, non ha oggetto: chi vive nel feriale l’esperienza della compassione sa quanto essa sia un manto che tutto copre; tutto l’interno di sé e tutto l’esterno a sé, superando la cesura tra l’uno e l’altro.
Non ho compassione di te, c’è compassione.
Non ho compassione di me, c’è compassione.
Se una persona, per sentire acquisito, è condotta lungo la via della compassione, non parla di Dio, non ne ha necessità essendo Dio interno a ciò che già sperimenta, essendo ciò che sperimenta.
E, quando ancora il suo sperimentare è solo agli inizi, quando è un apprendista della compassione, magari nemmeno sa di esserlo, nemmeno sa che quella è la sua strada, avverte con chiarezza una resistenza a pronunciare il nome di Dio, ad entrare in quella logica io/Tu: qualcosa che sorge dal suo intimo le dice che non è quella la sua strada.
La compassione è la via dell’esperienza, dell’incarnazione,  della comprensione unitaria che supera la separazione io/Assoluto.
Ci sono persone che non si occupano di teologie, né di filosofie, che non scaldano il proprio cuore con il fuoco degli affetti, che non si dedicano anima e corpo al fare: ci sono persone che, nella discrezione e quasi sempre nella solitudine, sono attraversate dall’esigenza urgente di trovare una connessione diretta tra intenzione ed azione, tra sentire conseguito, pensiero prodotto, emozione provata, azione realizzata.
Queste persone non si rivolgono ad alcun Dio, hanno in sé compreso che quel Dio è Essere-in-atto che si realizza nel laboratorio delle loro esistenze.
Queste persone sono fortemente interiorizzate e compenetrate del loro compito esistenziale: in esse la realtà unitaria sorge nell’interiore e tutta la realtà del divenire è funzionale a quel sorgere e a quel laboratorio interiore.
Questo modo di procedere rende queste persone lontane dalla fiera delle religioni e delle correnti spirituali: la compassione non può essere mostrata, né scambiata, né dialogata, né testimoniata in qualche simposio; può essere solo vissuta, è una lente con la quale si vede la realtà, meglio, con la quale la si sente.
Questo spiega perché il Sentiero sia un fatto così appartato, così al margine, così invisibile: a chi dovremmo mostrare ciò che proviamo, ciò che abbiamo compreso e andiamo comprendendo? Con chi dovremmo dialogare in merito allo scomparire come soggetto e all’avanzare del sentire compassionevole che ogni cosa sente vera e giusta per quel che è?
Il cammino interiore, un certo cammino, ci porta ad azzittirci, a sprofondare nell’osservazione, nell’ascolto, nell’irrilevanza di noi: devoti a chi, quando tutta la vita è un piegarsi, un accogliere, un benedire?
Celebranti chi, quando tutta la vita è celebrazione?
Non c’è spazio che per il processo interiore che come un fiume carsico ci scava e ci cambia: non c’è spazio che per l’affiorare della consapevolezza contemplativa.
Non c’è spazio che per il risiedere nei fatti che parlano della Totalità senza avere alcuna necessità di definirla con un nome, di chiamarla, di invocarla, di pregarla, di anelarla.
Pregare chi?
Vi rimando a “La preghiera nel Sentiero contemplativo“, a quella linfa che ci attraversa, ci costituisce, ci nutre rendendoci Sé e non altro da Sé.
Se leggete attentamente, vedrete che anche noi frequentiamo la preghiera, ma non come soggetti attivi, come ospiti che vengono da essa attraversati. OE21.4


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