Non-mente. Il “ciò che è” come realtà

Una comunicazione di Soggetto, via della Conoscenza (12)
Non v’è modo di inoltrarsi sul terreno della non-mente se non mettendovi via, via in imbarazzo, se non sradicando i vostri concetti, se non facendovi intuire che tutto ciò che voi dite è astrazione, è costruzione concettuale ed è eredità del passato: non è presente e non può essere futuro, ma è solo eredità del passato.
E’ sul passato che voi costruite concetti ed è sulle culture che vi hanno plasmato che si fondano i vostri concetti che, anche quando vogliono parlare dell’indescrivibile, sono costretti a
rapportarsi con il passato, con la vostra storia, con i vostri limiti e con le vostre concezioni.
Ed anch’io, nel momento in cui voglio farvi misurare i vostri limiti, devo usare i vostri concetti, sia pure alterandoli.
Non c’è spazio alla non-mente se non provocando in continuazione i vostri concetti: la non-mente è soltanto un concetto e la mente universale è soltanto un concetto; tutto è concetto e in quanto tale soffre di una limitazione sostanziale, e cioè che il concetto non è la realtà, poiché la realtà è inafferrabile, la realtà fluisce, la realtà si sperde, la realtà va, va e va. Nel momento in cui la si limita o nel momento in cui la si ingabbia diventa concetto. Però la realtà non è afferrabile dentro il concetto e lo sperimentare la realtà non è descrivibile attraverso i concetti, ma è soltanto limitabile dai concetti.
Ed allora a che serve parlare? Serve, nella misura in cui il parlare consente il comunicare, consente il focalizzare, consente l’incrementare una propria consapevolezza di quanto si sia poveri-poveri nella propria capacità di essere nel Tutto.
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