Il problema delle fonti nell’interpretazione della realtà

Una caratteristica del bambino è di non saper discernere l’informazione che gli giunge; per sua natura, avendo un’esperienza limitata della vita, tende a confondere realtà e finzione.
Fatto salvo che l’interpretazione della realtà – e molta parte della realtà stessa – è soggettiva, e quindi anche un fatto puramente illusorio può essere considerato nel proprio intimo profondamente reale, va considerato come l’adulto si relaziona con le fonti dei dati che gli sono necessari.
Il fatto che la realtà sia soggettiva ha alcune implicazioni:
-non si può commentare la credenza altrui essendo incommentabile data la premessa;
-si può prendere atto che un dato sentire di coscienza e una data strutturazione del corpo mentale non possono che dare luogo a certe interpretazioni.
La realtà soggettiva comporta verità relative e l’impossibilità di fare riferimento ad una verità certa, ma tutt’al più ad una verità condivisa. Il fatto che un tale dato sia condiviso e approvato da milioni di persone non significa che sia vero e reale, o giusto.
L’esperienza del nazismo e del fascismo dovrebbero insegnare molto; l’esperienza del berlusconismo dovrebbe ricordarci la tragedia che si può generare dalla farsa.
Sembra che non ci sia soluzione e che davanti alla moltiplicazione delle fonti e delle interpretazioni, noi si possa solo tacere non potendoci appellarci a nessuna verità certa.
Questa è la conclusione alla quale giunge la mente ma non il sentire.
Agli occhi del sentire la situazione appare molto più chiaramente:
-ciò che penso, ciò cui aderisco, ciò su cui ripongo la fiducia, dipende dall’ampiezza del sentire che mi guida. Un sentire ampio dà luogo ad una visione neutrale, ad un’osservazione disincantata, ad una partecipazione distaccata.
Un sentire ampio conosce bene l’illusorietà delle verità della mente e quindi filtra le fonti di dati alla luce non del contenuto mentale, ma del sentire acquisito.
Un sentire ampio conosce il limite della propria comprensione e dubita anche di ciò che sente.
Uno dei dati tragici di questo tempo è rappresentato dall’espressione: -Sento che è così e quindi mi faccio guidare dal mio sentire.
E’ un’espressione in sé giustissima ma che non tiene conto della limitatezza del proprio sentire; un’affermazione più corretta potrebbe essere: – Sento che è così ma so che il mio sentire è limitato e allora chiedo, mi confronto, accetto la sfida dell’opinione dell’altro e, infine, scelgo un orientamento che sono disposto a rimettere in discussione da subito.
La prima espressione è caratterizzata dal fideismo, la seconda dal dubbio.
Guardo con stupore a questi adulti con la mente piena di favole e non posso dire niente, posso fare il ragionamento che ho fatto e che fondamentalmente vuol dire: – Non con la fede guardo la realtà, non con la ragione, ma con il sentire sapendo che anch’esso è limitato e non affidabile, e allora mi affido a una molteplicità di fonti lasciandomi interpellare e mettere in crisi dalle molte soggettività che mi si presentano.
Quella fede che ci conduce ad aderire a prescindere, è un veleno per la nostra intimità e niente ha a che fare con la fiducia che può guidare le nostre vite.

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1 commento su “Il problema delle fonti nell’interpretazione della realtà”

  1. Però sentire con chiarezza il limite di ogni interpretazione (compresa la propria), di ogni sentire (compreso il proprio), può far sentire sbagliati in alcuni momenti della vita. Mi è capitato da ragazza di invidiare le certezze di alcuni, a volte ho provato a integrarmi, mi buttavo decisa, ma non riuscivo mai del tutto e cambiavo direzione. Allora sarebbe stato riposante e rassicurante riuscire ad aderire completamente a un’interpretazione, identificarsi con un modello, anziché sentire di navigare a vista sentendosi incapace di riconoscere l’assoluto (in una consapevolezza di solitudine, ma con una avvolgente sensazione di non essere mai sola). Forse era proprio la non accettazione del limite soggettivo, l’incapacità di stare nel relativo tipica di un’età caratterizzata da slanci assoluti. Però dalla confusione che comportava il proliferare di: “ogni descrizione ammessa, ogni interpretazione possibile – orrore, forse sono una schifosissima individualista, un’indifferente senza personalità, una incapace di schierarsi” è come se emergessero, a posteriori, degli indicatori di direzione invisibili, come se guardando indietro mi accorgessi di aver incontrato persone e fatto scelte che hanno focalizzato, spinto in una direzione, anche interpretativa, che nella sua soggettività mi assomiglia, mi riconcilia col limite, con lo stato di moto perpetuo nel quale, in fondo, si può semplicemente stare, scoprendo una crescente tenerezza e molte sospensioni…

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