Ciascuno vive niente altro che la vita che può vivere

Dice Anna: “Conosco persone che si lasciano condurre solo dal senso del dovere, almeno, così dicono e, in effetti, pare proprio questo che trasmettono. E’ possibile che sia realmente così?”
Quale aspetto, livello di consapevolezza, genera il senso del dovere?
L’identità, con il suo programma morale, e la coscienza.
Come si manifesta il senso del dovere? Faccio una determinata cosa, anche una determinata vita, non perché l’ho scelta, ma perché le circostanze, che non riesco o non voglio cambiare, mi inducono a farla. Oppure, conduco determinate scelte perché un imperativo interiore me lo impone.
Chi è il soggetto di questa affermazione? La mente/identità. Vittima delle circostanze, sempre. Colei che subisce.
Da dove sorgono le scene che nel quotidiano vivo e che affermo essere generate dal mio senso del dovere?
Dall’intenzione.
Dalla mente/identità.
Può una scena di vita ripetersi per tutta una esistenza se non è sostenuta da una intenzione che sorge dalla coscienza? Dubito. Prima o poi, se una scena è prodotta prevalentemente dalla mente, giunge una crisi e la cristallizzazione si rompe: se così non fosse dovremmo ammettere che ci sono vite cristallizzate e improduttive per sempre, ma è una credenza che non condivido.
Penso invece questo:
-l’intenzione genera la scena che, essendo attuata dalla mente/identità, subisce un certo grado di distorsione ma è comunque tale da essere funzionale al progetto della coscienza;
-l’identità interpreta quella scena nella logica della vittima e afferma: non è quello che volevo ma lo faccio per senso del dovere;
-la scena viene vissuta, nel lamento della mente, e la coscienza ne estrae i dati di cui ha bisogno, le comprensioni che le necessitano nel suo viaggio da ego ad amore.
La sostanza è molto diversa da come appare all’identità o allo spettatore estraneo o esterno.
Quella persona che lamenta, o non lamenta, di aver condotto una vita all’insegna del dovere, in realtà ha vissuto niente altro che la vita che poteva vivere: la vita che possiamo vivere è esattamente quella che è funzionale ai processi del nostro sentire.
Conclusione: ciascuno vive niente altro che la vita che può vivere. Il “se”, il “ma” il “l’ho fatto per dovere” appartengono all’interpretazione e al lamento della mente.
E’ un’affermazione dura, lo so, carica di implicazioni e non la faccio con leggerezza.

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