Non è la coppia un laboratorio, una officina esistenziale quotidiana? E non lo sono i rapporti di amicizia veri, o quelli di lavoro intensi?
Una coppia certifica la propria crisi quando viene meno questa funzione esistenziale, quando uno o l’altro, o entrambi si sottraggono non comunicando più, non offrendosi come limite vivente allo sguardo dell’altro, alla sua ira come alla sua compassione.
L’offrirsi come limite vivente è la chiave di accesso a questa dimensione dell’officina esistenziale: senza timore mi dono a te con l’interezza del mio limite; senza prudenza ti doni a me.
Questo sono i rapporti intimi e funzionano finché gli operai portano legna al fuoco comune, finché c’è questo offrirsi, un gesto che richiede una capacità di osare ma anche una grande fiducia nell’altro e una estrema umiltà, la capacità di mostrarsi miseri nel proprio esserci.
Le dinamiche di una comunità spirituale non differiscono granché da quelle di una famiglia o di un ambiente di lavoro: anche qui ci sono umani e qualunque sia l’evoluzione del sentire, comunque portano la densità di ciò che sono.
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Chi scrive ha fatto di questa complessità la cifra della sua pedagogia e didattica e in questa direzione ha speso una grande quantità di energie: il rapporto discepolo maestro non è esterno a questa complessità, a meno che non avvenga nelle forme stereotipate e generiche che permettono al maestro di non esporsi e al discepolo di salvaguardarsi. Per curiosità, qui potete osservare il fenomeno piuttosto comune di quei maestri che vanno per il mondo a predicare il verbo, scodellandone i principi fondanti ed essenziali a un pubblico di neofiti.
La nostra scelta, nel Sentiero, è stata molto diversa: divenire officina vivente il maestro, divenirlo i discepoli. Quando abbiamo iniziato pensavamo che l’unico modo di cambiare e di aiutare a cambiare fosse quello di compromettersi, di stare in una relazione circolare dove le vite si incontrassero, si scontrassero, si sostenessero e si smentissero creando l’ambiente adatto per andare incontro alla scacco di sé, e oltre sé, limite illusoriamente invalicabile.
È riuscita la nostra opera, è fallita? Come saperlo, esso è ancora in corso e di ciò che accade nell’intimo delle creature chi può dire qualcosa?
Certo, il senso del fallimento ci ha attraversati frequentemente, ma qualcosa ci ha sempre ricordato il nostro non conoscere nulla e ci ha ricondotti al mistero del procedere di ogni creatura.
Nessuno considera le ansie profonde del contadino, forse il più grande consumatore di benzodiazepine: semini e non sai se pioverà e quanto seme nascerà; arriva un temporale e distrugge il raccolto. Così è per un insegnante, per una guida: non c’è giorno che non si confronti con il senso della pochezza della sua opera, e non c’è attimo che non ricordi che la sua azione gratuita non deve allevare aspettativa; tutto riceve, tutto dona.
Rimane, per un insegnante, la lezione più dura da assimilare: l’essere una canna che nessun vento decide di attraversare e far risuonare. Questa è non solo la lezione più dura, ma anche la più grande, perché parla dell’irrilevanza di sé di fronte alla vita, canta il dono che si è ricevuto nel momento in cui si è potuto insegnare e l’opportunità sottratta lasciando la canna abbandonata a terra.
Potrebbe sorgere il senso di un fallimento, ma anche di un abbandono più radicale: non io, non la mia vocazione, ma ciò che Tu disponi ogni giorno io lo considererò il nuovo dono che giunge a me, dono gratuito che celebra la mia irrilevanza.
Il Tuo dono è nel rendermi niente.
Chiedetevi perché tanti maestri hanno fatto riferimento al culminare le proprie esistenze con una grande risata: sono giunti a quella comprensione passando attraverso molti degli stadi che ho descritto e, infine, davanti alla loro irrilevanza, non hanno potuto che ridere.
Grazie!
“Una coppia certifica la propria crisi quando viene meno questa funzione esistenziale (essere officina esistenziale), quando uno o l’altro, o entrambi si sottraggono non comunicando più, non offrendosi come limite vivente allo sguardo dell’altro, alla sua ira come alla sua compassione. L’offrirsi come limite vivente è la chiave di accesso a questa dimensione dell’officina esistenziale…”
Questa affermazione mi ha colpito, significa (credo) che quando “chiudo” una relazione di coppia o amicale perchè c’è qualcosa che nell’altro che mi infastidisce, che non mi fa stare in pace, che non mi accontenta… mi sono dimenticata la funzione insita nella relazione, e nella vita tutta. Questo modo di vedere le relazioni le rende portatrici di vita e ci rende operai alle prese con materiale ed attrezzi da sperimentare, con pazienza.
Nel tuo essere maestro, il più grande insegnamento, che solo basterebbe ad inchinarmi mille volte, e la grande umiltà.
Una grande risata.
Tutto crolla e rido.
Eppure vedo il dolore, vedo la tragedia.
E mentre rido provo compassione.
Follia.
Profondo inchino.