Quando abbiamo parlato della identificazione abbiamo detto che il problema risiede in una identificazione/consapevolezza che si sviluppa essenzialmente su di un piano e abbiamo proposto una consapevolezza simultanea su più piani, una identificazione globale che, coinvolgendo la totalità dell’essere supera la nozione stessa di identificazione.
Nella sostanza non abbiamo proposto altro che disconnettere in continuazione da una consapevolezza parziale per risiedere in una globale.
Il ritmo identificazione/disconnessione è questo e riguarda ogni momento della nostra vita. Noi abbiamo questa strana inclinazione a focalizzarci su un piano, un aspetto, certi sensi piuttosto che altri, ma è possibile coltivare una consapevolezza con un altro respiro. Altri parlano della figura dell’osservatore: uno stato della consapevolezza che precede l’identificazione, noi parliamo di consapevolezza simultanea, ma è la stessa esperienza.
Ora, quel che mi preme sottolineare è che l’identificazione sempre oscilla tra il particolare e il generale: comunemente la consapevolezza è focalizzata su di un elemento ma con un atto di volontà può divenire simultanea espandendosi a tutti i fattori presenti.
Il passaggio dal particolare al simultaneo/generale avviene, come ho detto, con un atto di volontà:
– vedo dove è appoggiata l’attenzione;
– vedo che sto navigando con la mente, o recependo con l’emozione, o soccombendo a una pressione istintiva;
– sono consapevole che è un’ottica troppo stretta, troppo condizionata;
– faccio un passo indietro con la volontà, scelgo deliberatamente di “zoomare” all’indietro;
– il particolare si allontana, il globale si presenta all’attenzione.
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È un processo che accade perché scelgo che accada e compio quella scelta perché ho imparato e compreso che l’ottica stretta sul particolare non risponde al mio bisogno di senso o, semplicemente, mi soffoca, mi far star male, mi rende insoddisfatto.
Il ritmo identificazione/disconnessione può avere la stessa naturalezza del ritmo giorno/notte o del ritmo del respiro: dal particolare al generale, dal generale al particolare stabilizzando la posizione di partenza sul generale.
Normalmente noi partiamo da noi stessi, dal nostro bisogno e dal nostro punto di vista, lì siamo focalizzati, quello è il punto di partenza: dobbiamo imparare ad allenarci su un procedere diverso dove al centro, al punto di partenza, c’è il generale, il noi, non l’io. Questo è possibile quando abbiamo compreso il limite della visione individuale e quando veramente siamo influenzati interiormente dalla spinta dell’amore.
Ti faccio un esempio: i genitori, i componenti di una coppia ben collaudata e con dei figli, non pensano/sentono nei termini dell’io ma sempre, o quasi, nei termini del noi. Hanno imparato a coltivare la visione di sé come parte di un organismo: un genitore mette prima i figli; un partner, se ha compreso qualcosa, mette prima l’altro.
La famiglia è un’officina formidabile dove ci si allena in continuazione a superare il proprio limitato punto di vista per guardare alla realtà con gli occhi dell’organismo: se vuoi vivere in una famiglia devi imparare l’ottica del noi, altrimenti prima o poi soffochi.
Questa è quella che chiamerei la disconnessione naturale: un genitore impara da subito a preoccuparsi per un figlio, per un partner, per la casa, per il lavoro, ovvero a mettere da parte sé e il proprio piccolo mondo e guardare l’insieme dove tutti i protagonisti si collocano.
Il proprio piccolo mondo non scompare ma diviene parte tra le parti, perde la sua centralità.
Il proprio piccolo mondo non scompare ma diviene parte tra le parti, perde la sua centralità.
A questo si giunge attraverso le esperienze, la pratica, l’allenamento: la relazione con l’altro da noi ci induce costantemente a disidentificarci, a disconnettere da un piano, da uno sguardo unilaterale, critico, selettivo, per integrare, accogliere, inglobare, capire, comprendere.
Tutti partiamo dal particolare e tutti sperimentiamo l’apertura verso il globale e questa esperienza ci diviene tanto più familiare e alla fine automatica, quanto più la coltiviamo nella consapevolezza, sapendo ciò che stiamo facendo, riconoscendo il processo nel quale siamo immersi.
Come respiriamo senza accorgercene, allo stesso modo, nel tempo, passeremo con estrema semplicità dall’identificazione parziale alla simultaneità dello sguardo e avremo interiorizzato il ritmo identificazione /disconnessione a tal punto che permeerà ogni aspetto del nostro vivere.
Tu sei madre, nell’assolvere questa funzione credo ti sia famigliare questo continuo cambiamento di priorità di cui parlo.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
“Nella sostanza non abbiamo proposto altro che disconnettere in continuazione da una consapevolezza parziale per risiedere in una globale.”
Questo processo, che si riassume in 4 righe, in realtà comporta un’attenzione continua. Nel ritmo della giornata, a volte pressante, se non c’è un allenamento, è facile perdere la connessione.
Diventa molto più semplice, se sostenuto da una pratica, perché continuamente sei portato a fare i conti con la tua irrilevanza.