La dialettica fra essere e divenire

Questo post è un seguito esteso ai commenti intercorsi con Leonardo su L’unica via di uscita reale: il silenzio di sé.

La discussione ha proceduto su un’ambiguità di linguaggio ove la “logica” è stata infine equiparata alla “ragione” e al pensiero. Nel seguito tento di dare un chiarimento più esteso che confido porterà a stabilire un accordo di fondo nella visione, cercando di increspare il meno possibile lo spazio di silenzio. Al fondo spiego tuttavia perché ritengo utile addentrarsi in questa speculazione, magari digerendola a piccole dosi per non diventare troppo colmi di fotogrammi in troppo poco tempo.

Essere e divenire procedono inevitabilmente uniti. Non esiste uno spazio di contemplazione isolato che non proceda con una strutturazione della comprensione, che è nel dominio del divenire. Se esistesse, verrebbe meno il senso della manifestazione della Coscienza nella materia, ove è proprio attraverso l’attrito della dualità che si trasforma e si rende più complessa e unitaria. Più precisamente diventano più unitarie le informazioni in essa contenute, benché essa sia di per sé indivisa. Isole di coscienza si fondono ed uniscono nella comprensione. Ovvero, una contemplazione “passiva” astratta dal divenire non esiste e non può quindi essere una via d’uscita se presa isolatamente.
In questo territorio siamo ancora molto lontani da pensiero e ragione. Viceversa, stabilire il primato di un dominio sull’altro opererebbe una impossibile esclusione all’interno di un’unità, che inevitabilmente sarebbe operata proprio da una mente analitica che rientra dalla finestra. Come sia possibile alla ragione farlo a partire da una realtà che è unitaria è un discorso troppo lungo e non mi addentrerò ora.

L’informazione della Coscienza è espressa in termini di relazione. La relazione è espressione unitaria di ciò che nella dualità può essere visto sullo sfondo come l’insieme delle interazioni fra attori illusoriamente separati. La logica è una funzione – non ancora mentale – che “mastica” le relazioni e le mette in contatto creandone altre di più alta complessità ed unitarietà che vengono restituite alla Coscienza. La logica parte da ciò-che-è, lo mastica nel divenire strutturando comprensione e restituisce al ciò-che-è una nuova forma. La logica opera sulla base della ridondanza: stimoli completamente aleatori non generano comprensione, mentre una ridondanza percepita crea una nuova relazione.

Questo processo è la natura stessa del sentire: difatti l’aspetto manifesto di questo processo è solo ologramma di ciò che avviene nel regno informazionale della Coscienza. Esso procede attraverso una elaborazione, ovvero una logica fondata su capacità di associazione che è guidata dalla complessità della comprensione e quindi dalla struttura stessa dell’essere, il quale non è separato dal suo ambiente né dallo stimolo stesso.

L’elaborazione procede attraverso lo stato del percettore in parte attingendo dalla natura autentica dello stimolo in presenza (ciò che un contemplatore valorizza al massimo), in parte dalla memoria (che conferisce la colorazione dell’identità) e in parte dalla struttura, dall’organizzazione interna stessa del percettore, che è data dal grado di comprensione.
Questa struttura non è (solo) nel sistema nervoso. Ciò che distingue il capire dal comprendere è la profondità di senso della nuova relazione che si innesta nell’organizzazione complessa della struttura del percettore stesso, ovvero diventa “carne” e si innesta nei comportamenti spontanei dell’individuo. Il corpo stesso è plasmato nella sua struttura dall’ambiente e dalle comprensioni su di esso, e ciò determina le possibilità di percezione e comprensione successive come essere complesso con una sua omeostasi e quindi con una sua conseguente identità illusoria.

Il processo coinvolge l’essere intero attraverso sensazioni, percezioni, emozioni (identitarie), sentimenti (non identitari), attivazioni biochimiche, pensieri (non necessariamente identitari). Di più, comprende l’interazione con l’informazione universale (in quanto espressione della Coscienza), poi personalizzata dal medesimo grado di comprensione come una qualità individuale.

Quando un neonato nasce, possiede solo strumenti minimi innati, relativi ai così detti principi della Gestalt. Ovvero ha le basi minime per evidenziare relazioni semplici. La sua comprensione si accresce nel corpo in livelli che si strutturano come proprietà sistemicamente emergenti dalla complessità. Un livello di discernimento e distinzione di un oggetto dall’altro; un livello in cui emozioni e sentimenti conferiscono agli oggetti – frutto dell’elaborazione del livello precedente – un valore (è bene o male per me, la possibilità di giudizio, ma anche elementi più integrativi); un livello funzionale in cui si strutturano conseguentemente comportamenti complessi; infine un livello in cui la complessità dei comportamenti pone le basi per una struttura generativa del linguaggio, in cui a partire da simboli analogici compaiono frasi di simboli digitali. Ovvero: le lettere C-A-S-A cominciano a rappresentare in modo indiretto ed arbitrario elementi che prima erano universali: l’immagine analogica di una casa per contro è non ambigua per chiunque.

Quando pensiamo a un’elaborazione tuttavia non dobbiamo pensare a un processo ordinato. Da uno stimolo si scatena una tempesta di simboli fra tutti i “corpi”, indistintamente, fino a che l’insieme raggiunge una nuova stabilità. Vedi una bicicletta e ne emerge il concetto ma anche il ricordo del vento nei capelli, la forma rotonda delle ruote, lo sforzo delle gambe; e questi a loro volta sollecitano altri simboli anche e soprattutto in associazioni metaforiche. Infine emerge un nuovo stato dell’insieme.
In sostanza una mente troppo attiva è vittima di interazioni fra simboli digitali in loop autoreferenziali, ma una mente può rimanere in stretta relazione con elementi analogici del sentire e di conseguenza rimanere attinente alla realtà (e quindi sana) pur sconfinando nel pensiero (mi fermo qui).

Infine, a che vale dunque speculare su questo?

Il mio commento in origine è partito poiché ritengo ugualmente importante sottolineare da una parte l’esistenza del sentire al di là della ragione (che definisco come chiarito diversamente dalla logica); ma dall’altra, viceversa, anche sottolineare il ruolo della comprensione nel divenire al di là della presenza nell’attimo che non può essere usata come via di fuga. E’ illusorio identificare la dualità solo nella ragione: la dualità permea tutto il processo del sentire, benché nei suoi livelli analogici esso tenda ai confini più prossimi dell’unità.

Secondo la mia esperienza accade spesso che l’importante scoperta del silenzio, quando la comprensione non è completa e quindi l’approccio al silenzio consegue da una fuga dalla mente, anziché da un abbraccio della stessa seguito da una PREFERENZA al silenzio, crea un punto di minimo con un attaccamento in cui molte persone si incagliano. Diventano partigiani del silenzio (o similmente dell’olismo, o delle buone emozioni), che diventa un rifugio dorato in cui una identità non pronta a comprendere e a morire consola se stessa rallentando appunto la comprensione anziché attivare la ricerca dei primi grani di coscienza disponibili entro nuovi stimoli non ancora compresi. Il confronto muore privato di dignità e il silenzio diventa zona di comfort.

In altre parole, spesso non si attiva la responsabilità di essere stati attraversati dalla percezione di un evento e di disporsi a decodificarlo per il solo fatto che se è arrivato ha probabilmente un senso per me. Certamente l’approccio e il processo variano come detto con il grado di comprensione. Tuttavia non ci si può efficacemente rifugiare nel silenzio senza prendersi la responsabilità della propria interezza, inclusa una mente che va ancora in cerca di comprensione su di sé. Il che presuppone una disponibilità – come detto altrove – ad elaborare ogni tanto una quantità di fotogrammi, per quanto moderata, per espletare funzioni che esistono in quanto anch’esse utili fintanto che non sconfinano dal loro posto. Ogni tanto una “sbrodolata” come questa è la quantità minima per un salto ostico, poi si ritorna alla moderazione.

E’ forse possibile giungere a una comprensione completa non includendo qualcosa?

Grazie per l’accoglienza e soprattutto per la pazienza. A presto


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1 commento su “La dialettica fra essere e divenire”

  1. Grazie Massimo per la delucidazione puntuale e articolata.
    Ora mi risuona più chiaro e armonico il tutto.
    Da meditarci su. Molte informazioni.
    Grazie ancora.
    A presto.

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