Vite dedicate all’unificazione in Dio: la via dei certosini

Fonti: Toscana Oggi, 2013, è l’articolo sotto riportato.
I certosini di Farneta, Pdf
Statuti dell’ordine certosino

Abbiamo chiesto, con estremo pudore, qualche informazione sulla vita dei monaci nella Certosa di Farneta, in occasione della giornata della vita consacrata.
In forma anonima, vorremmo dire quasi impersonale (ma di voce comunitaria potremmo pure parlare), un certosino ha risposto ai nostri interrogativi: ne emerge una viva realtà di preghiera che diffonde i suoi bonifici contemplativi sull’intera umanità.
(Nella lettura delle risposte «St» è abbreviazione che sta per «Statuti dell’Ordine Certosino»).

Quante persone compongono la comunità? Qual è l’età massima e minima? Da quali ambienti di vita provengono gli attuali monaci?

«Tenendo conto delle variazioni dovute alle entrate e uscite, specialmente dei candidati in prova, si può dare un numero approssimativo di circa 25. Si passa dai “picchi” dei due monaci più anziani, 92 e 87 anni, ai 34 anni del più giovane, con una variazione media progressiva. Ad ogni modo, la nostra è una comunità relativamente giovane, tenendo conto che l’età minima di entrata in Certosa è di 20 anni, con la tendenza a richiedere qualche anno in più prima di entrare. Gli ambienti di vita di provenienza sono molto vari: ci sono operai di vario tipo, studenti entrati alla fine del loro percorso di studio, religiosi di altri Ordini, presbiteri diocesani.

Qual è il carisma del vostro Ordine?

«La ricerca di Dio nella solitudine e nel silenzio. “La nostra vocazione è di stare incessantemente desti alla presenza di Dio” (St 21,15). “Il nostro impegno e la nostra vocazione consistono principalmente nel dedicarci al silenzio e alla solitudine della cella. Questa è infatti la terra santa e il luogo dove il Signore e il suo servo conversano spesso insieme, come un amico con il suo amico” (St 4,1). Questa ricerca, sostenuta dalla grazia dello Spirito, che tende ad aderire a Dio nella profondità del cuore, quando è vera, non chiude in se stessi ma apre la mente e dilata il cuore tanto da poter abbracciare l’universo intero e il mistero salvifico di Cristo. “Separati da tutti, siamo uniti a tutti, per stare a nome di tutti al cospetto del Dio vivente” (St 34,2)».

Come si svolge una giornata tipo?

«Alle 22.45 suona la campana della chiesa che chiama i monaci alla preghiera. In cella essi recitano il Mattutino della Madonna.
Alle 23.30 la campana suona di nuovo e la comunità si ritrova in chiesa per cantare il Mattutino e le Lodi del giorno. Terminate le Lodi, i monaci rientrano in cella e pregano le Lodi della Madonna. Poi si torna a dormire. Mediamente siamo alle 2 del mattino, ma anche più tardi, a seconda della durata degli Uffici.
Alle 6 si recitano le Prime e segue un tempo di preghiera fino alle 7, in cui ci raduniamo per la Messa conventuale. Nelle domeniche e nelle solennità la Messa è posticipata di un’ora ed è preceduta dal canto dell’Ora Terza.
Dopo la Messa i Fratelli hanno un po’ di preghiera e di lettura in cella e poi si dispongono al lavoro fino all’Ora Sesta.
I Padri, invece, celebrano generalmente a questo punto la Messa solitaria in una cappella. Al ritorno in cella pregano le due Terze (“due”, perché c’è sempre l’Ufficio della Madonna che accompagna l’Ufficio del giorno) e fanno una lettura spirituale e pregano per un certo tempo. Fino all’ora di pranzo ci si dedica alla preghiera, alla lettura e a qualche lavoro manuale.
Il pranzo è alle 11 preceduto dalle due Seste. Dopo il pranzo, fino alle 12.30, si ha un po’ di tempo libero.
Alle 13.30 si pregano le due None. Segue il tempo dedicato al lavoro, alla lettura o allo studio fino ai Vespri. I Fratelli tornano al loro lavoro.
Dopo la recita del Vespro della Madonna, si cantano in chiesa alle 16.30 i Vespri del giorno. Dopo i Vespri, il tempo è riservato ad attività spirituali e alla cena o a una piccola refezione nei giorni di digiuno.
La giornata si conclude alle 18.15 con l’Angelus della sera e dopo un’ora circa con il riposo, dopo la recita delle due Compiete. La domenica e le solennità hanno orari propri».

Di che cosa vivete?

«Le Certose generalmente svolgono delle attività compatibili con la vita di clausura. In passato noi avevamo un pollaio razionale; poi abbiamo coltivato delle vigne e prodotto un liquore (il “Certosino”); ora coltiviamo degli oliveti e produciamo un po’ di miele; affittiamo delle case; poi ci sono le offerte. “Tuttavia, crediamo che con l’aiuto di Dio ci basteranno modeste risorse, se persiste l’amore del primitivo ideale di umiltà, povertà, sobrietà nel cibo, nel vestito e in tutti gli oggetti di nostro uso, e se, infine, progrediscono di giorno in giorno il distacco dal mondo e l’amore di Dio, per il quale tutto va fatto e sopportato. A noi certamente si riferiscono le parole del Signore: Non affannatevi per il domani; il Padre vostro celeste sa infatti che avete bisogno di queste cose; cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia” (St 29,6)».

Come si scopre la vocazione alla vita contemplativa?

«All’inizio vi è come un’attrattiva interiore, come un innamoramento, una simpatia che spinge alla ricerca di luoghi e persone che vivono tale vita. Che poi si tratti di una vera vocazione va verificato, perché sono facili anche le illusioni. Un indizio importante traspare dalle motivazioni che uno porta in vista di una scelta di vita contemplativa. Se è l’amore di Dio che lo muove, ci sono buone speranze per continuare la ricerca. Motivazioni troppo incentrate su se stessi, invece, sono assai sospette. Ad ogni modo, l’attrattiva interiore ha sempre bisogno di una conferma esteriore del proprio direttore spirituale e della comunità in cui si vuole entrare».

Perché un giovane dovrebbe prendere in considerazione la scelta di vita contemplativa?

«Propriamente parlando un giovane non “sceglie” la vita contemplativa, perché essa è prima di tutto un dono, una grazia, una chiamata. Ma se questa chiamata è vera e verificata, allora è chiaro che l’interessato deve proprio prendere in considerazione la novità che entra nella sua vita, perché tale invito viene da Dio, e Dio non dà le sue grazie invano. La risposta è prima di tutto un atto di gratitudine per il dono di Dio, e poi va da sé che il seguire con fedeltà l’invito che Dio fa, riempie di senso la vita di chi si abbandona alla volontà del suo Signore e la porta al suo compimento naturale e spirituale».

Quali difficoltà si incontrano nella vita claustrale?

«Il discorso si farebbe lungo. Comunque è chiaro che noi, che siamo così miseri e peccatori non semplicemente per modo di dire ma perché così è in realtà, siamo riluttanti a seguire gli inviti di Dio anche quando questi sono così necessari per il nostro bene, così importanti per compiere il meraviglioso progetto di Dio su di noi e sul mondo intero.
Abbiamo degli attaccamenti tenaci a tante cose, anche buone in se stesse ma che non possono essere preferite a Dio.
Così abbiamo difficoltà a lasciare genitori, parenti, amici, lavori gratificanti, tutte le possibilità di formarci una famiglia, una carriera e così via.
Se con l’amore di Dio non andiamo al di là di tutto questo, prima o poi la tentazione di lasciare il cammino intrapreso può diventare pericolosa.
Quando poi si dà un taglio a tutto per seguire la chiamata, spunta inevitabilmente quella che viene chiamata “lotta spirituale”: è il nostro mondo interiore che si fa avanti e si scatena quella guerra di cui tanto hanno parlato i monaci antichi e che è sempre attuale, perché l’uomo è sempre lo stesso nelle sue dinamiche interiori. È l’uomo vecchio che muore per far nascere l’uomo nuovo, ma questa morte non è indolore: è la condizione per raggiungere la verità su noi stessi, ma anche su Dio, di riconoscere che Egli è Colui che è e noi siamo coloro che non sono senza di Lui e che Egli è Misericordia che accoglie la nostra miseria.
I nostri Statuti ci avvertono: “lungo è il cammino attraverso brulla e riarsa strada prima di arrivare alle fonti d’acqua e alla terra promessa” (St 4,1).
“Chi dimora stabilmente in cella e da essa è formato, mira a rendere tutta la sua vita un’unica e incessante preghiera. Ma non può entrare in questa quiete, se non dopo essersi cimentato nello sforzo di una dura lotta, sia mediante le austerità nelle quali persiste per la familiarità con la Croce, sia mediante quelle visite con le quali il Signore lo avrà provato come oro nel crogiolo. Così, purificato dalla pazienza, consolato e nutrito dall’assidua meditazione delle Scritture, e introdotto dalla grazia dello Spirito nelle profondità del suo cuore, diverrà capace non solo di servire Dio, ma di aderire a lui” (St 3,29)».

Ma in fondo che senso ha oggi questa «fuga dal mondo»?

«Usando termini oggi un po’ troppo frequentati, si può dire che la nostra separazione dal mondo ha un senso “profetico” e una provocazione “escatologica”.
Non tutti evidentemente sono chiamati alla vita del chiostro. Vivere nel mondo può essere una chiamata di Dio e per la maggior parte degli uomini e delle donne è così.
Ma per ogni cristiano vale la parola di Gesù di non essere del mondo pur vivendo nel mondo. Non si può essere così ingenui da pensare che il mondo non proponga le sue attrattive che sono in rivolta contro Dio.
“Consacrandoci con la nostra professione unicamente a Colui che è, rendiamo testimonianza davanti al mondo, troppo irretito nelle realtà terrene, che non vi è altro Dio fuori di lui.
La nostra vita dimostra che i beni celesti sono già presenti in questo secolo, preannunzia la risurrezione e in certo modo anticipa il mondo rinnovato” (St 34,3).
È come ricordare a tutti che ci sono realtà ultime che vengono… prima delle penultime e che le penultime devono essere non degli idoli, ma dei mezzi per raggiungere le realtà ultime, cioè Dio stesso, che è il fine di tutto».


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7 commenti su “Vite dedicate all’unificazione in Dio: la via dei certosini”

  1. Da giovane sorgeva un moto di ribellione di fronte alla scelta della clausura. Mi chiedevo perché, con con tutte le guerre e situazioni di sofferenza che ci sono nel mondo, si scegliesse di rinchiudersi in una cella piuttosto che adoperarsi fattivamente. Oggi invece riesco, per quel che mi è possibile, a coglierne l ‘essenza.

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  2. Ognuno può accedere alla Via della contemplazione. Per tutti c’è un tempo, e un modo, immagino. Anche se la solitudine ed il silenzio sono necessari, strutturare la giornata in maniera così rigida mi fa sorgere sempre un po’ di diffidenza. Non voglio essere giudicante, ma sento che quel modo non mi appartiene, almeno x ora. Profondo rispetto per questi fratelli che sento comunque vicini.

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    • A Natascia
      Ci sono molte ragioni per cui loro sono giunti a quella struttura, ragioni derivanti da molte esperienze..
      La disposizione alla preghiera continua, li ha condotti ai molti momenti di ritualità personale e collettiva, ai molti ritorni a zero, come noi diremmo.
      Noi viviamo quei ritmi come imprigionanti, ma questo parla delle nostre identità: quei ritmi che disciplinano le menti e le vuotano dei loro contenuti, sono in sé profondamente liberanti..

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  3. Grazie Roby, è come se mi fossi accostata per la prima volta ad un tema, quello della vocazione, su cui in realtà ho sentito molto in passato. La vocazione è per tutti, nelle mille forme dell’esistenza umana, pochi però sanno osservare ed ascoltare per trovare quella via che la Vita ha già aperto e preparato. Troviamo quel senso del nostro esistere a cui tanto aneliamo, almeno a parole, nel percorrere quella via e non altre. Non dobbiamo aprirla, ne’ costruirla, solo trovarla leggendo i
    numerosi simboli del quotidiano. Ad un passaggio dell’intervista non riesco ad aderire, quello della contrapposizione Dio e mondo. Se tutto quello che accade è per noi e niente è contro di noi, il mondo con le sue illusioni rimane un’opportunità. Semmai il mondo ci stana e ci fa vedere dove siamo.
    L’esperienze e le scelte altrui mi fanno vedere dove sono, di fronte a questa solitudine certosina ho provato un brivido.

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    • A Mt
      Capisco la tua perplessità ma, in realtà, lui non parla di un conflitto mondo/Dio, ma semplicemente del fatto che, per alcune persone, la priorità non è il mondo, con le sue distrazioni e le sue mille possibilità di insegnamento: la priorità è la relazione con l’interiore e in quel microcosmo si svela il limite proprio e la natura di Dio, la possibilità di superare il primo e di approfondire il secondo.
      Ci sono persone, e senz’altro io sono tra queste, che imparano anche senza grandi relazioni: a loro basta guardare l’interiore suscitato da piccoli e irrilevanti fatti di un quotidiano magari vissuto all’interno di una cella..

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