Contemplare l’accadere come Ciò-che-è (La disposizione interiore unitaria 7)

7- Salire sul monte, contemplare l’accadere come Ciò-che-è

Il gesto del salire sul monte corrisponde ad un tirarsi fuori da un groviglio, dal rumore di sé, dall’eccesso di sé che, forse, oramai possono essere lasciati alle spalle: salendo il sentiero del sentire, lo sguardo della comprensione si amplia, il respiro del vivere è più pieno. Ciò che affollava la mente e lo sguardo, ora, passo dopo passo si allontana  e possiamo risiedere in uno stato a noi più naturale.
La pratica quotidiana e ripetuta delle 6 disposizioni descritte nei post precedenti, produce lo stato del salire sul monte: lasciare alle spalle il troppo di sé e incontrare l’essenziale, il poco che basta, il fatto piccolo e insignificante che satura di senso un’esistenza intera.
Se ne avete la capacità, dunque se il vostro sentire è pronto per quest’opera, la coltivazione di queste disposizioni non sarà faticosa, vi risulterà necessaria e, per tanti aspetti, ineluttabile, qualcosa che non può che essere coltivato perché quella è la vita che possiamo e desideriamo vivere.
Se non siete pronti nel sentire, e dunque una certa fatica può accompagnare la ricerca di queste disposizioni, provate comunque a misurarvi con esse: vi accompagneranno nel cammino verso il monte su di un sentiero certo e che non vi metterà in pericolo, ma sappiate interpretare correttamente ciò che è detto, perché numerose espressioni hanno molteplici interpretazioni e molte di queste non sono corrette.
Per coloro che sono pronti nel sentire, l’invito è a guardare in faccia senza orpelli il reale quotidiano: ai vostri occhi potrà configurarsi il disegno unitario che si esprime nella forma del divenire, del molteplice, del differenziato; se non vi lascerete abbacinare dall’illusorio frastuono degli eventi, se saprete guardare oltre ciò che appare, se sarete disposti a vedere l’Eterno nell’effimero, Esso si mostrerà.
Ciò -che-è, la sostanza unitaria ed assoluta di ogni fatto, si dischiude alla vostra comprensione nella contemplazione, nel salire sul monte lontano dal rumore di sé.
Se volete questa pace, forse siete pronti per essa, forse potete provare.


1- Non apporre etichette sui fatti
2- Sviluppare la consapevolezza del presente attraverso il ritorno a zero e alla presenza delle sensazioni
3- Coltivare ed osservare il ritmo di identificazione/disidentificazione: spendersi fino in fondo e dubitare fino in fondo 
4- Essere disposti a togliere
5- Sapere che la vita provvede il necessario a ciascuno: la fiducia
6- Sviluppare lo sguardo del genitore che osserva la processione dei fatti, sa intervenire e sa astenersi
7- Salire sul monte, contemplare l’accadere come Ciò-che-è


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14 commenti su “Contemplare l’accadere come Ciò-che-è (La disposizione interiore unitaria 7)”

  1. Consapevolezza che tutto e’ in funzione del sentire raggiunto.
    Non e’ poco, non e’ troppo, ne buono ne cattivo….. e’ il limite con cui dobbiamo misurarci.

    E quel limite non e’ fisso

    Piu ci misuriamo con cio’, piu ne prendiamo consapevolezza, piu saremo in grado di procedure con la giusta andatura. Per giusto si intende cio’ che e’ possibile in quel preciso momento e che non lo sara’ un momento dopo.

    Pretendere di andare a 200 all’ora con una cinquecento non e’ sano.
    Ognuno si confronta con gli specifici mezzi a disposizione.

    Questo e’ e questo ci viene chiesto di incarnare da quella spinta interiore che tutto muove

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  2. L’incessante ritorno a quel che si è, e la piena accettazione di questo, non debbono farci perdere il sogno del poter essere diversi: se quel sogno ha i colori di una aspirazione, è sano; se eccede, diviene una proiezione e ci fa solo male perché ci allontana da quello che siamo e che dovremmo lavorare.

    Pienamente d’accordo.
    È una misura che va sapientemente bilanciata da parte di chi per amore si è caricato la fatica di essere insegnante.
    E per ogni coscienza che gli si avvicina c’è una misura specifica.
    Quel sogno aiuta chi è all’inizio a muoversi ed è necessario quanto il togliere, poi in un successivo momento gli si toglie progressivamente quei sogni da sotto i piedi.
    Ho questa immagine arrivata ora, quella di una mongolfiera.
    Ha bisogno di tanta aria calda per staccarsi da terra poi quando è in quota una soffiata ogni tanto in giusta proporzione per riportarla poi a terra, mano a mano che ha visto coi suoi occhi cosa gli si indicava prima che spiccasse il volo..

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  3. Qualche suggestione mi arriva, leggendo il post e i commenti. Echi lontani che rivelano da una parte il mio non essere pronto e dall altra la mia non totale estraneità. Salire sul monte è una bellissima metafora. Ma c’è ancora tanta zavorra. C’è di bello che rispetto ad altre possibili metafore, come potrebbe essere quella di alzarsi in volo con la mongolfiera, questa dà l idea dei piccoli passi che piano piano ci condurranno in cima.

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  4. Togliere, svuotare lo zaino dall’ingombro di sé. Sembra possibile, pare di aver intrapreso la direzione giusta. Poi, si ripropone l’inciampo, vecchie dinamiche che riaffiorano e parlano ancora del mio limite. Quanto tempo, quanto ancora dovrò razzolare impantanata nel fango, quali comprensioni raggiungere per poter lasciare tutto a valle e finalmente alleggerirsi per salire sul monte? Accolgo e mi affido.

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  5. Le indicazioni di questi post sono chiare. Sta a noi ora metterci all’opera per proseguire il cammino con rinnovata disposizione. Grazie.

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  6. Ho letto oggi tutti i 7 post e ora non trovo le parole adatte per commentarli, ne servirebbero troppe e andrebbero solo a stemperare i concetti che ho letto.

    Posso però incarnarli nel mio quotidiano vivendoli fino in fondo, e se non dovessi riuscirci, coltivare la fiducia che domani potrò fare meglio.

    Grazie Roberto

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  7. Questi post sono talmente densi che in questi giorni di grande stanchezza, c è fatica ad addentrarsi…ora c è soprattutto gratitudine per questi ennesimi e profondi solchi che hai tracciato lungo la Via…

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  8. Grazie, Roberto, di questi sette post che riassumono (anche se non mi sembra un verbo del tutto appropriato) il cammino del Sentiero.
    Mi sembra che osservare la scena ed i fatti che contiene sia relativamente “facile” (anche se occorre ogni volta che me lo ricordi, occorre che io sia “sveglia” perché l’identificazione è automatica, mentre la disidentificazione ha bisogno di un atto di consapevolezza) quando la scena mi coinvolge sino ad un certo punto, quando l’ho vista già tante volte e l’ho compresa e anche quando sono “in forma”, lucida, stabile.
    Ma quando il fatto arriva all’improvviso, coinvolge persone molto “vicine” (il partner, ad esempio) e mi trova impreparata, l’identificazione scatta automatica, ed io entro totalmente nel fatto. L’osservazione disidentificata di cui parlavo prima è assente, purtroppo!
    Serve allenamento, credo. Entrare nel ritmo identificazione/disindentificazione.
    E forse serve ricordare che l’altro, di cui sono vittima, è lì per “stanarmi” e che è irriducibile.
    Anche le persone che dovrebbero amarci?!
    Dalle quali ci aspettiamo solo amore?!
    Sai, mi resta difficile guardare anche loro con una modalità da “osservatrice” disidentficata….
    Sono riuscita a spiegarmi?

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  9. Essere disposta a concepire la possibilità che esista un Eterno senza averlo conosciuto ed averne fatto esperienza e’ forse cio’ che sostiene e motiva tutto il percorso delle sei tappe precedenti :il punto di arrivo e’ dunque gia presente nel punto di partenza ? Un abisso e un monte …due opposti che attendono di essere conciliati, la necessita ‘ di non fermarsi nel procedere e’ al momento l’unica certezza.grazie Gloria

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    • Gloria. Un abisso e un monte: non si sale con lo zaino pieno di sé, il peso ci sovrasterebbe.
      Dunque la salita del monte implica lo svuotamento di sé.
      Da un certo punto in poi – non prima, non quando il sentire acquisito non è adeguato – tutta la vita altro non è che un togliere.

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  10. Leggendo queste parole c’è una cosa che vorrei esprimere ma non so se trovo le parole così la metto come domanda: forse che a volte è anche bene essere un po’ “ipocriti”? So che la direzione è quella di salire sul monte, di essere lì a guardare, ma ancora non mi viene così bene e allora mi sforzo di salire e magari, consapevolmente, faccio anche un po’ finta di essere lì in cima e non certo per sentirmi figo, ma spinto da una profonda intenzione di andare oltre la nebbia del fondovalle? Boh spero di aver detto qualcosa che abbia senso!!!!

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    • Quando la persona è consapevole di salire sul monte, tiene insieme la realtà delle sue limitazioni e la sua aspirazione a superarle: ciò che ne scaturisce è un mix di realtà e di illusione.
      L’incessante ritorno a quel che si è, e la piena accettazione di questo, non debbono farci perdere il sogno del poter essere diversi: se quel sogno ha i colori di una aspirazione, è sano; se eccede, diviene una proiezione e ci fa solo male perché ci allontana da quello che siamo e che dovremmo lavorare.

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