Identificazione e disidentificazione (La disposizione interiore unitaria 3)

3- Coltivare ed osservare il ritmo di identificazione/disidentificazione: spendersi fino in fondo e dubitare fino in fondo

Definiamo identificazione la disposizione interiore che conduce a sentirsi d’essere e d’esistere come una entità con una relativa definizione soggettiva, diversa dalle altre, che mentre pensa, si emoziona, agisce aderisce a questo sperimentare e lo considera una prerogativa a cui non rinunciare, pena il non-essere.
Definiamo disidentificazione la capacità e la pratica di spostare la consapevolezza dalla identificazione allo zero, dunque di non continuare ad aderire al pensiero, all’emozione e all’azione in corso considerandoli manifestazioni determinanti di sé.
Se il pensiero, l’emozione, l’azione non sono manifestazioni determinanti di sé, cosa lo è? Ed è necessario che esista tale determinante?
L’esperienza stessa della disidentificazione chiarisce i quesiti posti: il ritorno a zero apre spazi di sostanza d’essere che non necessitano di alcun determinante.
Lo zero, l’essenziale basta a se stesso e ad una vita intera.
Fino a quando la persona è immersa nel divenire, essa impara solo spendendosi fino in fondo nella vita.
Da un certo punto in poi dell’evoluzione del suo sentire, essa può coltivare identificazione e disidentificazione senza problemi per la propria stabilità psicologica.
In una fase avanzata del suo sentire, può coltivare in modo preponderante lo zero frutto dell’incessante lasciar andare e di una condizione d’essere oramai lievitata nel proprio interiore.
Nella fase intermedia del sentire, quando identificazione e disidentificazione convivono, la capacità di dubitare di ciò che l’identità afferma è determinante: la pratica della disidentificazione può innervarsi, nelle mille situazioni del quotidiano, solo se la persona è capace di osservare e dubitare quanto afferma, ciò che la muove come intenzione e come proposito, ciò a cui sembra aderire mettendo in discussione non solo il suo punto di vita, ma prestando somma attenzione a quello dell’altro.
La successione diviene dunque questa: spendersi/identificazione-dubitare/disidentificazione.
Nella fase avanzata del sentire, lo spendersi non è più legato all’identificazione, ma è mosso dalla gratuità che opera in vario grado.

 

1- Non apporre etichette sui fatti
2- Sviluppare la consapevolezza del presente attraverso il ritorno a zero e alla presenza delle sensazioni
3- Coltivare ed osservare il ritmo di identificazione/disidentificazione: spendersi fino in fondo e dubitare fino in fondo 
4- Essere disposti a togliere
5- Sapere che la vita provvede il necessario a ciascuno: la fiducia
6- Sviluppare lo sguardo del genitore che osserva la processione dei fatti, sa intervenire e sa astenersi
7- Salire sul monte, contemplare l’accadere come Ciò-che-è


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16 commenti su “Identificazione e disidentificazione (La disposizione interiore unitaria 3)”

  1. “Non sempre la disidentificazione è sana ed opportuna”…
    Riflettevo proprio su questo ultimamente. Non so se per quanto mi riguarda potrei impegnarmi di più nella disidentificazione, ma nella fase che sto attraversando, ho delle resistenze a disidentificarmi. Lo posso fare, non è che non lo posso fare, ma è come se questo mi distogliesse dal vivere il processo fino in fondo. Quando i dubbi sulle scelte da prendere influiscono a livello emotivo buttandomi giù di tono essa può aiutarmi a sollevarmi nei momenti di sconforto e a ricaricarmi dell’energia necessaria per affrontare i problemi senza soccombere, ma è come se un certo tasso di identificazione sia necessario per arrivare poi alla comprensione. Di solito è come se avvenisse una sorta di macerazione che a un certo punto lascia il posto alla comprensione e alla pacificazione che ne consegue.

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  2. leggere il post e i commenti aggiunge vari gradi di comprensione in più a quello che credevo essere già chiaro. Ti chiedo Robi, si capisce che uno “ha speso tutto” quando non si ripresenta più una certa scena ? in alcune situazioni mi sembra di raschiare il fondo del barile. Come se sentissi di aver dato tutto, ma quella scena mi si ripresenta. Chissà…….

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  3. Che poi la disidentificazione rappresenta anche la condizione necessaria per spendersi fino in fondo. Penso alla figura archetipica di Gesù in croce. Se si fosse identificato troppo col proprio corpo fisico o con le proprie emozioni, non avrebbe certamente potuto affrontare la croce. Disidentificazione direi, è quindi anche il presupposto per vivere fino in fondo le scene richieste dalla nostra coscienza.

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  4. Dipende quindi dal livello di sentire acquisito. Non bisogna forzare troppo sulla disidentificazione se questo non corrisponde al proprio sentire, altrimenti potrebbe essere un tentativo di rimozione o di soffocamento di una spinta a vivere spendendosi fino in fondo. Però la disidentificazione ti conduce anche all’eremo interiore che penso sia esperienza profonda a qualsiasi livello di sentire. Sono un po’ in confusione, scusate.

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    • Samuele: non sempre, come tu dici, la disidentificazione è sana ed opportuna. E questo per il meno evoluto come per l’evoluto.
      Se è vero che la disidentificazione conduce nell’eremo interiore, è anche vero che a quell’eremo ha accesso chi non è più ammantato di illusione: finché è avvolto in quel manto, non ha il problema né dell’eremo interiore, né della disidentificazione.

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  5. Grazie Roby, chiari gli step. Osservo il processo identificazione/disidentificazione e non mi è difficile coltivare la fiducia. Prossimo passo: sviluppare lo sguardo del genitore che agisce con il giusto distacco dai moti emotivi. Grazie!

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