Tra accoglienza e rifiuto non vediamo il problema della giustizia

Stretti nella morsa dell’emergenza immigrazione non riusciamo a discernere, a vedere il problema nella sua interezza, cogliamo frammenti, ci dividiamo e iniziamo il rito del configgerle: quando non sappiamo trovare soluzioni, facciamo guerre.
Rito antico, rito tra maschi, rito inguardabile per chi ha occhi per vedere il reale.
La questione generale: il problema non è quello dell’accoglienza, ma quello della giustizia.
La questione particolare: l’accoglienza deve essere realistica e commisurata alle possibilità di ciascun popolo.
1- Siamo stretti nella morsa dell’accoglienza perché nessuno in occidente ha mai voluto affrontare il problema della giustizia:
– giustizia nelle relazioni economiche, negli scambi commerciali, nella distribuzione della ricchezza, nella proprietà e tutela delle risorse naturali;
– giustizia nelle questioni geopolitiche.
Non voglio entrare nel dettaglio, non ne sarei nemmeno capace, ma vi faccio un esempio: se l’America di Trump fa un accordo con l’Arabia Saudita per la fornitura di 100 miliardi di dollari in armamenti, cosa produrrà quella mole di strumenti di morte? Non contribuirà a produrre conflitti, devastazioni, profughi in fuga dalle zone dei conflitti che prima o poi verranno generati?
Se la ricchezza è così mal distribuita all’interno dei paesi e tra i paesi, se lo scambio commerciale tra i paesi è così viziato dalle logiche del profitto e dell’egoismo di pochi grandi attori che operano sullo scacchiere planetario, come potremo alimentare e dissetare una popolazione in costante crescita nei paesi meno sviluppati economicamente e dunque meno in grado di provvedere? E come potremo sperare che quei diseredati non bussino là dove intravedono una possibilità?
Il primo problema è dunque di giustizia e a quel livello va affrontato ma, è evidente a tutti, la riflessione non è nemmeno iniziata e questo è tragico e dimostra l’impreparazione di una classe dirigente, la sua subalternità agli interessi di parte, la mancanza di visione e di lungimiranza, e dimostra anche l’assenza di una pubblica opinione consapevole, reattiva, attenta e sensibile, capace di imporre una agenda.
Incapaci di provvedere e di agire alla radice del male, si balbetta qualcosa ogni volta che un aspetto del problema esplode.
2- L’accoglienza di un popolo è commisurata alle sue possibilità economiche, sociali, culturali, dunque è un fattore soggetto a molti distinguo e mai dato per acquisito una volta per tutte.
L’accoglienza non deve divenire la foglia di fico dietro alla quale si nasconde l’ingiustizia, come il volontariato non è il supplente dello Stato latitante:
ogni questione va risolta al livello necessario, pensare di mettere una pezza all’esplodere di questioni di ingiustizia globale che a monte producono squilibri planetari, significa condannarsi all’impotenza e al fallimento certi.
Siamo in questa situazione e non la vediamo: il simbolo grida e noi balbettiamo amenità.
L’accoglienza a oltranza produrrà la ribellione dei popoli devastati nei loro equilibri fragili e quella ribellione sarà pericolosa perché figlia di una paura irrazionale.
Certo, io ritengo che mai bisogna adagiarsi supinamente sui dati, sulla percezione degli umori e su quel che è accettabile per un popolo oggi: penso che l’accoglienza di un popolo vada sottoposta ad un certo grado di stress affinché quel popolo si misuri con qualcosa di più grande di sé che lo faccia migliorare, che lo porti ad interrogarsi e ad ampliare il proprio orizzonte esistenziale, stando però ben attenti a non fomentare gli spiriti più oscuri del suo ventre: bisogna sapere quando lo stress diviene pericoloso e fermarsi prudentemente prima.
Il rimandare e il negare il problema della giustizia produrrà un cancro così diffuso da enfatizzare ogni simbolo fino all’estremo dolore per i singoli e per i popoli.
Ancora una volta, come sempre, impariamo solo facendoci male e sviluppiamo conflitto perché incapaci di discernimento.
Discernere significa individuare le responsabilità e i correttivi necessari, e significa assumere la capacità di imporre il bene comune sul bene particolare: quasi una bestemmia per il sentire medio planetario presente oggi.
Ciò che accade è dunque lo specchio di un tempo e qui non voglio convincere nessuno, ma solo parlare a quelli che hanno orecchie per sentire: non lasciamoci tirare dentro la dicotomia accoglienza/non accoglienza, non diventiamo partigiani, coltiviamo uno sguardo largo che ci permetta di vedere l’insieme dei simboli, non lasciamoci manipolare e non diveniamo strumenti per la propaganda delle parti.
Se il nostro sguardo è chiaro, se non faremo parte di questa immonda casciara, se non saremo condizionati dal nostro ventre e dalle nostre paure, bene, allora staremo gettando le basi per l’avvento di quella giustizia di cui parlo e che è l’unico strumento e criterio che può guidare un’azione di governo planetaria che sappia riconoscere i simboli e provvedere.
In attesa di questo, ogni persona che abbandona la sua casa da qualche parte dell’Africa, o del Medio Oriente, o dell’Estremo Oriente ci interroga e ci impedisce di dormire il sonno dell’ignaro.
Ogni persona che muore in mare, che sbarca sulle nostre coste, ogni immigrato che chiede un aiuto davanti ad un supermercato, ognuno di questi è il nostro maestro di vita, è colui che ci chiede: e tu? Tu mi riconosci come simbolo vivente?
Auguro a me e a voi di non poter mai più dormire il sonno dell’inconsapevole.


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10 commenti su “Tra accoglienza e rifiuto non vediamo il problema della giustizia”

  1. Grazie. il quadro è ineccepibile. Sta a noi, giorno per giorno, interrogarci e agire di conseguenza nei limiti delle nostre possibilità, facendo attenzione a non barare con noi stessi sulla reale entità di quelle che sono le nostre possibilità.

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  2. Fai bene a spronarci, l’attenzione su un problema così grande, in parte può forse essere orientato dalle nostre scelte di vita, per quanto piccole e insignificanti siano. Consapevolezza dunque, ma non è facile muoversi in uno scenario così complesso.

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  3. Una scossa efficace in questo post: la consapevolezza non può lasciarci indifferenti e ci costringe a scuotere i nostri microcosmi.
    Grazie

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  4. Mi chiedo: se queste complesse dinamiche sono karmiche, cosa posso fare io? Il senso di impotenza e frustrazione, almeno per me, e’ ormai connaturato. Se il pensiero si spinge a tutte le ingiustizie di questa terra si rimane smarriti e, ripeto, impotenti.

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  5. Grazie per questo importante appello. Ogni volta che vado al supermercato mi sento interpellata, ogni volta sono confrontata da interrogativi e da un desiderio di giustizia. Le tue parole danno un orientamento chiaro su ciò che ognuno di noi può fare per alimentare questa giustizia e andare oltre il senso di impotenza.

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  6. Quanta chiarezza c’è in quanto hai scritto!
    Concordo in pieno: l’immigrazione non ci interroga sull’accoglienza, ma sulla giustizia.
    Il problema gravissimo di tutta questa popolazione mondiale costretta a fuggire dalla loro terra a causa dei nostri appetiti, dei nostri soprusi, delle nostre ipocrisie, mi interroga profondamente e spero di non dormire il sonno dell’inconsapevole.

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  7. Visione e proposta saggia in un campo minato. Grazie Roberto.
    Ci penserò bene, perché ora sono davvero sfiduciato sull’uomo.
    Grazie tanto.

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