Contro la storia del sentire

La Gran Bretagna lascia l’Unione Europea: il piccolo, locale e autonomo ha la meglio sul grande, globale e interdipendente.
Siamo sicuri che questa fosse l’alternativa? Per le menti limitate, forse questa era l’alternativa, non per chi coglieva il respiro del tempo che viviamo.
Qual’è questo respiro?
1- I problemi causati da ciascuno per conto proprio, vanno risolti da tutti assieme, perché su tutti sono ricaduti (penso ai problemi ambientali, all’uso delle risorse, alle conseguenze delle guerre e alle migrazioni, ad esempio).
2- Il sentire delle nuove generazioni è fondato sulla condivisione, sulla collaborazione, sulla cooperazione, sull’incontro: internet, è l’esempio più eclatante; lo spostarsi dei giovani per studio e per lavoro, è un altro esempio. Il flusso dei migranti economici e dei rifugiati, è un esempio ulteriore.
3- Il futuro è nella capacità di tenere assieme il piccolo, il locale, l’autonomo con il globale: “agire localmente, pensare globalmente“.
E’ come nella via interiore: vivere il presente e attraverso esso sperimentare la natura dell’Assoluto.
La scelta dei cittadini della Gran Bretagna non fa che rendere più faticoso, nel breve periodo, il cammino del sentire, l’evoluzione della sua storia che dal particolare conduce all’unitario, ineluttabilmente.
Nel medio periodo è un fattore di chiarezza: l’ipocrisia dell’unione fondata sugli egoismi, dovrà lasciare il passo ad un autentico processo di integrazione tra i popoli.
Una sfida esistenziale si apre per i singoli e per i popoli e forse ora si potrà veramente discutere del cammino comune, senza delegare a rappresentanti che nulla e nessuno rappresentano, se non gli interessi costituiti.
Siamo pronti? Dubito.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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6 commenti su “Contro la storia del sentire”

  1. Oh mio dio, Trump…
    spero tanto che si possa imparare anche da una forte presa di posizione responsabile, e non necessariamente ripassando dal medioevo! 😀

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  2. Condivido pienamente, Max!
    E’ questa una opportunità di chiarificazione delle motivazioni e delle intenzioni, dei ruoli e delle possibilità, vedremo in che modo potrà avanzare un’Europa dei popoli e non degli interessi.
    E’ un processo che ha i suoi tempi e si suoi inevitabili traumi.
    Siamo nella palude delle ipocrisie e degli egoismi, guadagneremo in chiarezza: ci sono volontà interiori, sociali e politiche che attraversano tutta l’Europa e che hanno uno sguardo per andare oltre la palude, non so se siamo pronti ma, certo, il processo è in corso e le forze in campo sufficientemente chiare.
    Credo, temo, che a novembre ci troveremo la sorpresa Trump, e allora le forze in gioco saranno ancora più chiare..

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  3. Ho interpretato il referendum proprio negli stessi termini. La mia conclusione è stata: qualcuno deve pur fare l’esperienza di tornare indietro, e vederne le conseguenze. Oggigiorno troppe persone hanno troppe soluzioni facili senza visione organica. Perciò è un evento doloroso ma necessario, perché questa esperienza è richiesta in tutta Europa, e andava vissuta, era lì pendente pronta perché qualcuno la facesse. E’ l’opportunità di far emergere una volontà di unione esplicitamente espressa grazie all’esperienza contraria.

    Penso che i britannici siano i più attrezzati ad affrontare l’evento, peraltro. Oltre tutto, erano già i meno europei, avendo molte particolarità (no euro, no Schengen). Ma “spero” che non siano così “bravi” da non mettere in luce i danni della mancanza di integrazione, così che questo impatto possa essere appreso su larga scala e tutti ne possano beneficiare per traslato.

    La cosa interessante è che la futura riunificazione potrebbe passare per un’ulteriore disgregazione di un’integrazione “posticcia”: il Regno Unito stesso. Altra ipocrisia di unione di popoli in antagonismo secolare. Irlanda del Nord e Scozia sono fortemente europeiste, e potrebbero perfino sganciarsi per tornare in Europa. Vedremo.

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