Il seme della vita nella malattia

Ho incontrato ieri una persona, un poco più giovane di me, con una malattia oncologica e un passaggio esistenziale delicato.
La posta in gioco per quella persona è il poter considerare lo stato di malattia nel quale si trova, come la chance più importante che la vita poteva offrirle.
Indipendentemente da quanti fogli il suo calendario le riservi, una manifestazione oncologica rappresenta un avviso ultimativo:

C’è qualcosa che non va nel sistema, puoi limitarti a considerarti vittima del male o puoi coglierne il valore simbolico, la portata esistenziale e interrogarti su cosa nella tua vita non va, e non va da tempo. Questa interrogazione, e la possibile conseguente revisione di vita, non ti garantiscono né la guarigione, né la sopravvivenza ma di certo daranno ai tuoi giorni un altro senso e un’altra completezza.

Man mano che la nostra conversazione andava avanti e ci addentravamo nei simboli e nelle possibilità esistenziali di affrontarli, il viso della persona si rischiarava, la tensione diminuiva e l’insieme del suo essere iniziava ad essere avvolto in una fiducia, in un respiro fiducioso.
Quella vita non ha ancora conosciuto la fiducia, il non vittimismo,il divenire artefici: è una vita che deve sbocciare, un seme sotto la neve, un essere in potenza che la malattia, il suo simbolo nella carne, urla alla consapevolezza.
Prima di divenire quello che è nella carne, il disagio esistenziale ha attraversato tutti gli altri piani, purtroppo inascoltato: quando ha morso nel corpo, non ascoltarlo non è stato più possibile.
La possibilità della fine parla dunque di un inizio, di una nascita: nascere alla conoscenza, alla consapevolezza, alla comprensione.
Nascere alla vita, vera, unica, reale quale quella che emerge da conoscenza-consapevolezza-comprensione.
La morte possibile che annuncia la vita necessaria.


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