La natura della trascendenza, l’esperienza della disconnessione, l’equivoco della meditazione

Chi trascende che cosa?
Io trascendo il mio limite? Lo vedo, ne sono consapevole e poi? Appoggio la consapevolezza su altro? Mi focalizzo sul respiro, sulle sensazioni, su un contenuto concettuale, sapienziale, spirituale?
Prendo atto che il limite esiste: basta così?
Oppure osservo quel limite e cerco di imparare da quello che mi porta, che mi induce a fare, ad essere?
Se osservo ed imparo, inizia il cammino del capire che conduce all’essere consapevole e sfocia nel comprendere.
Se osservo e basta, che cosa inizia? Una disconnessione. Ma la disconnessione se non è legata all’analisi dell’insegnamento che quel limite porta, è semplice rimozione: vivo una vita di pratica della meditazione, della contemplazione – entrambe incernierate sulla disconnessione – e in me cambia poco, pochissimo.
Se la disconnessione non è associata in modo indissolubile alla via del “conosci te stesso” è pura rimozione.
Se la meditazione è solo pratica dell’adesso non germoglia in altro, se non in modo residuale.
Se la meditazione cammina assieme all’insegnamento che sorge dalla pratica del limite, fiorisce in contemplazione.
La contemplazione esiste solo nel ventre dell’immanente: nell’adesso illuminato dalla conoscenza, dalla consapevolezza, dalla comprensione fiorisce la scomparsa del soggetto che conosce, che è consapevole, che comprende.
Ha un senso la pratica della meditazione? Si, se è integrata nel complesso processo del conoscere, essere consapevoli, comprendere.
Si, se è integrata in un paradigma, in una lettura della realtà personale e sociale.
Ha senso relativo quando è consumata come esperienza tra esperienze, disgiunta dal processo di conoscenza-consapevolezza-comprensione, praticata per rilassarsi, concentrarsi, divenire efficienti.
In altri termini, ha funzione relativa tutte le volte che viene utilizzata e vissuta in un’ottica mondana e utilitaristica.
Un esempio. Anni fa tenevo delle meditazioni guidate tutti i sabati; venivano diverse persone e tornavano a casa rilassate e centrate: mi sentivo un bancomat del benessere, ho smesso.
Non mi interessava, non mi interessa far star bene le persone, mi interessa dare il mio minuscolo contributo perché possano trasformare se stesse e le proprie vite e questo non necessariamente avviene “stando bene”.

Immagine da: http://goo.gl/swaFVl


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2 commenti su “La natura della trascendenza, l’esperienza della disconnessione, l’equivoco della meditazione”

  1. Già, Stare bene è proprio quello che ha provato quella signora…quel senso di irritazione, disagio, fastidio preludio di un processo autentico….se Arbitrio appoggia. Buona giornata C.

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  2. Grazie Max, mi ci voleva. Una persona, l’altro ieri, è andata via molto scossa e irrigidita. Ho avuto dubbi e poi mi son detta che non era venuto lì per delle conferme, ma per trovare una soluzione al suo problema. Anche non stando bene. Grazie ancora. Un bacio.

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