Dove le cellette non sono mai pentagonali

La lezione di yoga del mercoledì mattina è dedicata a un gruppo di persone che provengono da diversi CDD (centri diurni per disabili).
Il disordine pare sia nella loro mente e, di riflesso, nelle emozioni e nel corpo.
Alla fine della lezione ci si ritrova nello spogliatoio.
Qui prende forma un impasto di voci e di gesti che assomiglia a una danza postmoderna . Le conversazioni sembrano binari intrecciati che a volte si interrompono di colpo, ma soffici, senza fragore, a volte si attorcigliano, a volte scorrono veloci, a volte fanno l’impennata.
Una parola può nascere dalla desinenza di un’altra, da un’assonanza, da un’analogia misteriosa. C’è chi si veste da solo, chi aiuta qualcun altro, chi chiede aiuto.  Sembra un po’ di stare dentro una filastrocca di Rodari, o in un grande “telefono senza fili” ad alta voce, o un’arnia creativa, dove le cellette non sono mai pentagonali.
In questo movimento di parole che si addensano e si fluidificano e di gesti che si sovrappongono, gli educatori scambiano pareri e informazioni, pronti a lasciarsi coinvolgere da una comunicazione di passaggio o da una stringa da allacciare. Ed è qui che un giorno un’educatrice solleva lo sguardo e dice: ”Valentina, ma queste non sono le tue scarpe, sono quelle di Eleonora, che è rimasta al CDD!”
Valentina si guarda le scarpe e constata con stupore: “Eh già”. “Ma scusa – prosegue l’educatrice – mi chiedo cos’abbia Eleonora ai piedi in questo momento e come le sue scarpe possano essere qui”. Valentina si guarda i piedi per un tempo che sembra lungo, con grande concentrazione, poi solleva lo sguardo, sorride, allarga le braccia e con tono di indulgente ovvietà dice: “Beh, si saranno sbagliate!”

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